Piero Bruno è un ragazzo che ha sempre 17 anni.

“Piero è un ragazzo che ha sempre 17 anni” Dice Alfredo, portiere di palazzo, Roma, parlando di Piero Bruno ucciso dai carabinieri nel novembre del 1975 mentre manifestava contro lo Zaire che aveva invaso l’Angola appena liberato dal dominio portoghese.

Ieri sera ci siamo teletrasportati al teatro dell’Orologio a vedere “Gli occhi di Piero” dell’amico Massimiliano Coccia, autore poco più che ventenne, del libro da cui è stato tratto lo spettacolo.

Il monologo del portiere (interpretato da un bravissimo Fabrizio Giannini) diviene un viaggio. Un bel viaggio. Un viaggio nella Roma di quei tempi, un viaggio di classe, un viaggio dentro quel tempo.

Ieri, poi alla fine mi sono anche commossa, ho detto a Max che trasudava veltronismo da tutti i pori nella sua scrittura. Sia nel bene che nel male. Non mi piace la consacrazione mitologica di quegli anni, pur con l’ansia di volerli superare. Non mi piace che si assuma che coloro che sono morti giovani siano eroi che volevano cambiare il mondo, è un torto che facciamo a chi invece è divenuto adulto e persino al nostro invecchiare. E’ un torto dire che essere giovani nel 1968 o nel 1977 era più bello che esserlo oggi. Essere giovani è bello sempre ed essere giovani è sempre vivere in modo estremo la vita. All’epoca non erano la maggioranza, quei giovani, proprio come oggi. Ma se ne parlava con fascino letterario. Oggi no. Oggi noi siamo descritti da un giornalismo cinico che è poi è “fatto” da coloro che sono stati giovani allora e rivendicano, ancora, di essere stati gli ultimi ad essere stati giovani. Non si può banalizzare, certo. Nel 1968 c’era un fermento collettivo che ha invaso tutto e tutti e tutte, anche chi non partecipava in modo diretto. Il 1977 ha falcidiato un’intera generazione se non con le pallottole con la droga o con gli aperitivi craxiani che hanno ammazzato i neuroni avanzati alla droga. Ne ho incontrato uno lunedì sera, in pieno testaccio, era accanto al nostro tavolo e aveva un’intera storia scritta in faccia. E’ rimasto per strada a parlare con me fino a notte fonda. Era triste. Desolato e aveva abdicato.

Diceva Guccini: “ ci vuole scienza, ci vuol costanza per invecchiare senza maturità”. E forse un giorno dovremo celebrare i vivi e i sopravvissuti. Non lo abbiamo mai fatto.

“Gli occhi di Piero” è sublime quando lascia fluire l’ironia sull’essenza di Roma. Un atto d’amore dell’autore. E’ scritto da un ventenne quando parla di amore e di giovinezza (e quindi ci sta). Va visto perché comunque due schiaffi in faccia te li dà. E, infine, è recitato e tenuto in piedi da un bravissimo Fabrizio Giannini.