Una storia di strada.

Una storia d’amore durata un pomeriggio tra case cantoniere diroccate, vecchie ferrovie arrugginite annegate nel biondo del grano e campi e campi sterminati.

Campi già colti o da cogliere.

Il vento ci accarezzava lassù dove dominavamo la valle, soli, e faceva girare forte, ma proprio forte, le pale eoliche di enormi impianti lontani dal mondo.

Così mi rotolavo su di lei, inciampando sulle sue manie, incerto a volte se rallentare, accelerare oppure addirittura se fermarmi, accanto a lei, a guardarla andare.

Era solitaria e l’avevo incontrata per caso. Direi quasi per sbaglio.

Si vedeva che era in là con gli anni, in alcuni punti il tempo aveva causato un vero e proprio dissesto, l’aveva ferita a morte, fatta crollare. Accanto a lei già si affollavano sostitute belle e giovani, senza troppe curve, come si usa ora. Ma non erano ancora mature e in certi tratti era evidente che per questo erano state abbandonate.

Sopra di lei scivolavo via a volte senza rendermene nemmeno conto, altre volte invece dovendo fare molta attenzione a non farmi male io, a non sbagliare e con questo strapparmi da lei, perdere il contatto, cadere giù.

L’ho sentita e toccata e amata.

C’è stato un momento in cui non capivo da che parte stavamo andando, qual’era la direzione, la meta del nostro andare. A volte ho detto vaffanculo ma chi me lo ha fatto fare di seguirti. Altre, imploravo che non finisse mai. E non sapevo se per non finire bisognasse fermarsi o continuare.

Poi, è finita, senza che nemmeno me ne accorgessi. All’improvviso. Prima uno stop, feroce. Poi via. E lei non c’era più.

Mi sono ritrovato altrove, lontano da lei, vicino ad una altra, una più semplice dove tutto si capiva alla perfezione: la meta, la direzione, il verso. Una di quelle lineari che le leggi nel pensiero, ti accompagna senza difficoltà, la puoi fare ad occhi chiusi senza nemmeno amarla.

Io un randagio, lei la SS87 che da Campobasso porta a Termoli.

*Da: “Lettere semisincere di un randagio qualunque.”