Il programma per il PD Lazio di Giovanni Bachelet e due sassolini dalla mia scarpa di oggi.

In queste settimane in cui i notabili del PD Lazio continuano ad ignorare che ci sia un candidato e continuano ad aderire all’appello all’unità che lancia il (con tutto il rispetto ma è un dato di fatto) non-candidato Gasbarra, la voglia di alterarsi è tantissima.

L’atteggiamento che ignora, non nomina, fa finta che della non esistenza è afferibile alle peggiori tradizioni italiche. E non vado oltre.

Democrazia vorrebbe confronto. Anche aspro. Nominare l’avversario politico, che comunque resta un compagno di strada, è rispetto. E’ dibattito. E’ discussione. Noi questo volevamo.

Invece silenzio. Franco Marini interviene e NON nomina Bachelet. I segretari di Municipio (tranne quello del XV, Maurizio Veloccia al quale posso assicurare che non resterà mai solo) aderiscono all’appello all’unità di Gasbarra ma non nominano mai l’unico candidato. La stessa cosa il segretario Marco Miccoli ed altri sparsi, come se in ballo, nella NON nomina di Bachelet, ci fosse chissà quale ragion di stato intoccabile. Insomma un deputato che accetta di dimettersi per prendersi cura del partito non è nemmeno degno di un comunicato stampa. Resto senza parole.

Ma poi che vuol dire “appello all’unità”? Unità su cosa? Quale idea? Quale programma? Quale strategia? Si può essere uniti su qualsiasi cosa. La cosa che NON riesco a tollerare, per essere chiari, non è l’adesione ad una eventuale candidatura altra di Gasbarra e ci mancherebbe.

Anche Moscardelli (consigliere comunale e consigliere regionale in cerca della terza medaglia) sta con un piede nella candidatura.

Quello che NON tollero è l’omertà. Il silenzio. Il “non ti nomino”. La paura che questo partito, nei suoi poteri forti ha della democrazia partecipata è incredibile. E questa, va detto, fu una grande intuizione male applicata di Veltroni. E questo è il miglior modo di scavare la fossa all’idea originaria di questo partito. Un partito che dialogasse con il mondo di oggi e i suoi profondi cambiamenti, in particolare la voglia collettiva di partecipare. Ogni chiusura da parte nostra è un regalo al populismo. Un punto per la demagogia. I partiti saranno forti quanto più saranno permeabili in modo organizzato. Né veltronianamente lliquidi e ingestibili, né dalemianamente blindati e sordi.

Ora, io dico, Gasbarra si candidi. Si confronti. Ci dica cosa vuole fare del PD del Lazio. E con lui chiunque abbia un’idea per il PD Lazio. Abbiamo avuto mesi. Ad oggi, a 4 giorni dall’assemblea che deve adempiere al regolamento statutario, io NON conosco cosa vuole Gasbarra per il PD Lazio. In compenso ho la lista di persone che sono intervenute a suo favore. Un po’ poco no? In compenso ho la lista degli iscritti e dei dirigenti che aderiscono alla candidatura di Bachelet. Vogliamo ignorarli? Gli appelli all’unità significano che NOI non esistiamo? Fate degli appelli su come gestire il bilancio del partito, o il tesseramento, o le nomine in regione. Fateli su come aiutare i nostri consiglieri a fare opposizione. O su come ripensare la mobilità e la gestione dei rifiuti.

Il nostro programma è qui sotto. Leggibile, trasparente, diffondibile e soprattutto discutibile. Noi non vogliamo l’unità. Noi, invece, facciamo un appello ai vostri contributi. Ricostruiamo il PD Lazio, tutti insieme.

Mentre il piano casa della Polverini diventa un caso nazionale, il PD del Lazio continua a non avere un segretario. Possibile? Industria, commercio e turismo, attività finanziarie immobiliari e servizi, producono nel Lazio circa il 20% del corrispondente segmento di PIL nazionale con circa il 10% della popolazione nazionale. Il Lazio ospita un grande stabilimento Fiat, le grandi istituzioni di ricerca italiane, la Capitale e tutto quel che consegue in termini di opportunità ma anche pendolarismo e inquinamento: è nel Lazio la piú grande discarica di rifiuti in Europa. Negli ultimi anni calo dell’occupazione, criminalità organizzata, clientelismo e inquinamento in almeno un paio di province rischiano poi di far risucchiare nel buco nero del sottosviluppo una Regione che potrebbe aprire al meridione la pista della crescita. Può permettersi il Lazio di stare per anni con un governo incapace e un partito di opposizione a bagnomaria? Certo le politiche del PD per il lavoro, la casa, l’ambiente, la ricerca, i trasporti, trovano negli amministratori locali, e particolarmente nei Consiglieri Regionali, un importante riferimento. Esse rischiano però di risultare lontane, a volte incomprensibili per elettori e iscritti, in assenza di un partito capace di suscitare ampia partecipazione democratica, al di là dei pur preziosi bacini elettorali personali (nel 2010 il 46% degli elettori PD non ha espresso preferenze e un altro 20% ha dato la preferenza a candidati non eletti). Eppure, a due anni dal rovinoso abbandono del governo regionale, il PD non è riuscito a darsi un gruppo dirigente: né primarie né voti assembleari né un anno di commissariamento hanno ancora sciolto la matassa dei veti incrociati, mentre non si arresta, dicono le ultime amministrative, la spirale di sconfitte elettorali ed emorragie. La fisiologia della competizione politica interna è diventata patologia, con interessanti capriole: chi in Italia vuole il partito solido, nel Lazio lavora alacremente alla sua liquefazione; chi vuole primarie sempre, nel Lazio predilige i caminetti; molti sembrano preferire che il PD perda le elezioni pur di mantenere il controllo delle tessere, o la certezza della propria candidatura (o ricandidatura) alle prossime politiche. Nell’ultimo anno, infatti, la presunta imminenza di elezioni anticipate, anziché indurre un rapido recupero di compattezza, autonomia territoriale e competitività elettorale attraverso primarie che la direzione del PD aveva affidato al commissario Chiti, ha purtroppo agito da ulteriore forza centrifuga: pochi lo ammetterebbero in pubblico, ma molti sono privatamente ossessionati dal problema di chi sarà segretario regionale al momento della composizione delle liste di Camera e Senato, con una legge elettorale che dà tutto il potere alle segreterie. In queste circostanze risultano coraggiose e legate fra loro piú di quanto non appaia a prima vista le due decisioni estive di Chiti: creare un coordinamento politico (che ha da poco stabilito un percorso per eleggere il segretario regionale secondo l’invito di Bersani all’ultima direzione nazionale) e una commissione incaricata di studiare le modalità con cui gli elettori saranno coinvolti nella definizione delle liste di Camera e Senato alle prossime politiche (uno dei temi all’ordine del giorno della prossima conferenza nazionale organizzativa del PD).

 

Nello stesso spirito un segretario capace di superare le divisioni e rilanciare il partito democratico nel rispetto dello statuto e del codice etico dovrebbe

  • promuovere nel partito regionale e nazionale la cessione di una porzione di sovranità dalle segreterie agli elettori nella definizione delle liste di Camera e Senato con elezioni primarie, da promuovere anche in tutte le elezioni monocratiche, a norma di statuto
  • rinunciare ad essere in lista e, se già parlamentare o consigliere, dimettersi da ogni altro ruolo elettivo in caso di elezione a segretario (ricevendo a questo punto dal partito un contratto a tempo determinato): per metter mano con libertà e credibilità a primarie e candidature, ma soprattutto per dedicarsi a tempo pieno al rilancio e alla ricostruzione del partito in tutta la Regione
  • girare le province per conoscere e vedere con i propri occhi, valorizzare i circoli sani, curare i malati, ricucire i divorziati, bonificare gli inquinati, certificare e seppellire i morti
  • voltare pagina rispetto a spartizioni e etichette che non ci hanno portato fortuna, non per fagocitare e annullare la diversità e il pluralismo, bensí per valorizzarle, anche con un censimento di competenze capace di coinvolgere nel governo del partito, a tutti i livelli, nuovi e vecchi militanti che hanno un contributo da dare
  • impegnarsi nella trasparenza dei bilanci; nella parità di genere, nella convocazione di riunioni cui per orario e ordine del giorno possa partecipare chi lavora; nel rispetto di doveri e diritti di iscritti ed eletti; nella periodica consultazione dei livelli territoriali inferiori
  • voltare pagina nel metodo e nel merito delle nomine nelle aziende partecipate, abbattere i costi principali ma occulti della politica: in Italia ci sono 3600 aziende partecipate, 23mila consiglieri d’amministrazione, 3mila incarichi apicali, e il 60% di queste aziende risultano in deficit (Cuperlo, l’Unità 8/8/2011); di queste un decimo si trova nel Lazio

Il partito democratico del Lazio non ha bisogno di rottamatori e neanche di disinvolti piloti che lo portino a un’altra sconfitta per poi cambiare scuderia: ha bisogno di ingegneri, gommisti e carrozzieri capaci di rimetterlo in pista per vincere la prossima corsa.

 

Giovanni Bachelet 

(seguono più di 300 adesioni di iscritti e dirigenti del PD laziale provenienti da tutta la regione)

La strana coppia del PD Lazio

ovvero la sottoscritta e Giovanni Bachelet così definiti da un articolo sulla situazione del PD Lazio…una coppia, ad onor del vero, che vorrebbe essere la norma e non vorrebbe affatto fare battaglie di principio, perché pensa – quella coppia – che i principi dovrebbero essere cari a tutti.

Anche ai capobastoni tutti intenti ad ignorare l’unica candidatura con programma, quella di Bachelet.

Perché il bello è che dall’alto…ma alto altissimo, stanno chiamando i delegati per far votare uno ancora non candidato e senza programma…a 4 giorni dall’assemblea. Ma un po’ di vergogna?

Roba ridicola.

E chiudo con un’informazione di servizio: il PD non è vostro. E’ degli iscritti e viene votato degli elettori. Noi siamo il 99%, voi l’1%.

Se aveste davvero senso di responsabilità vi affidereste alla democrazia.