L’articolo 18 spiegato a un bambino.


Ci prova Luigi Marattin sul blog de IMille, qui. Da stampare e leggere e rileggere.

Leggete anche i commenti, c’è il caso Omsa nel dibattito.

p.s. Luigi è assessore a Ferrara.

9 pensieri riguardo “L’articolo 18 spiegato a un bambino.

  1. Spiegato ai bambini? Raccontato ai bambini, come quando si raccontano loro delle balle come Babbo Natale.
    Trovo l’articolo dei mille vergognoso e falsante, e l’entusiasmo della tua sponsorizzazione mi farebbe quasi tenerezza se già non mi facesse cascare le braccia

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  2. “Mentre tu difendi l’articolo 18, chi non ha un contratto non ha alcuna tutela”: dunque, vediamo se ho capito la logica: ad esempio, se X ha il diritto di voto e Y non ha il diritto di voto, per difendere i diritti di Y tolgo il diritto di voto a tutti…

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  3. Comunque l’articolo prospetta un mondo migliore a partire dall’abolizione dell’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori, senza spiegare da dove dovrebbero venire fuori le risorse economiche necessarie ad attuarlo.
    Non è che l’abolizione dell’art. 18 si traduce in finanziamenti sonanti!
    Quindi l’articolo è perlomeno reticente su un punto FONDAMENTALE: le risorse ovvero i SOLDI necessari.
    E poiché a questa reiterata – nei commenti – perplessità nessuno risponde con un minimo di chiarezza, mi sa che da reticente a bugiardo il passo è breve…

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    1. vero. Quello che dicono gli economisti è che l’abolizione dell’art.18 può essere vista come una “concessione” alle aziende in cambio di molte altre cose, tra cui fondi per finanziare formazione. E che non si potrà solo abolire l’articolo 18 ma andrà fatta una grande riforma del welfare. E’ chiaro che in un Paese dove tutti sono abituati a fregare ed essere fregati la fiducia sullagestione dei corsi di formazione è bassa e, ad oggi, spesso serve per finanziare associazioni o enti che satellitano intorno alla politica. Ahimé.

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  4. Dunque, la tua logica è: all’OMSA sono nei guai anche con l’articolo 18, quindi aboliamolo.
    Ti riporto una domanda dai commenti all’articolo che descrive gli esempi di paradiso sociale che sorgerebbero praticamente spontanei senza quel terribile articolo: “Perché toccare l’art 18? Tutte le meraviglie che decanti previste da questa riforma, si possono tranquillamente introdurre senza che per questo si tocchi l’art 18. Che c’azzeccano i corsi di riqualificazione con l’art 18?”

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    1. Non ho detto questo. Dico che oggi stando così lecose con la delocalizzazione le ragazze stanno tutte a spasso. E quindi non è difendendo l’art.18 che le salviamo. Per favore discutiamo senza cercare la malafede reciproca. Cerchiamo di trovare una soluzione.

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  5. Vi posto l’ultimo commento di Marattin al pezzo sui IMille che può essere utile per continuare a discutere.

    Non credo di avere tempo e modo di rispondere in dettaglio ad ogni commento, in ogni caso grazie a tutti per aver voluto trovare il tempo di leggerlo e commentarlo. Ha ragione chi, con garbo, avvicina il mio piccolo racconto di fantasia ad una sorta di “middle ground” tra provocazione e spiegazione didattica. Certamente, se avessi saputo di dover scrivere una proposta di legge dettagliata avrei fatto almeno due cose: i) approfondito in dettaglio ogni singolo aspetto dal punto di vista inanzitutto giuridico ii) evitato di scriverla, visto che – professionalmente – non mi occupo di politiche del lavoro bensì di politiche fiscali e monetari, oltre che di bilanci pubblici.
    In quest’ottica, ha certamente ragione chi sottolinea che Giulio avrebbe diritto, in caso di reintegro, anche alle annualità arretrate dello stipendio. La lettura dei dati forniti dal Corriere della Sera oggi tuttavia (secondo cui solo l’1% delle cause contro i licenziamenti illegittimi si risolvono col reintegro del lavoratore, indipendentemente dalla durata del contenzioso e quindi dall’ammontare delle retribuzioni pregresse) mi fa credere che la mia imprecisione non cambi la sostanza del ragionamento: in quei casi il lavoratore sceglie il risarcimento e non il reintegro, in maniera probabilmente indipendentemente dall’ammontare del risarcimento. La contestazione principale, a parte quelle di spiccata natura ideologica, mi pare quella delle risorse. Curioso, tra l’altro. Da molto tempo ormai, in particolare dall’insediamento del governo Monti, vi è un fiorire di proposte di politica economica: diminuire le tasse per il lavoro dipendente, aumentare gli investimenti pubblici in scuola e università, piani straordinari di stabilizzazione dei precari nella pubblica amministrazione, allentamenti del Patto di Stabilità interno, ri-pubblicizzazione del ciclo idrico, piano straordinario di investimenti pubblici. In nessuno di questi casi vi è la minima preoccupazione in merito al reperimento delle risorse; invero, chi si azzarda a porre il tema del vincolo di bilancio, viene da più parti (destra e sinistra) zittito e tacciato di “essere un tecnico”, di “voler fare il ragioniere”, a discapito delle ben più alte esigenze politiche. Curioso che l’unico campo in cui, invece, il vincolo delle risorse viene sbandierato come motivo ostativo sia quello del mercato del lavoro…..In ogni caso, qualche precisazione. La puntualizzazone che mi viene fatta sul caso di Francesca (“per lei ci sarebbe la cassa integrazione in deroga”) non mi convince. Sappiamo infatti che tale misura ha carattere emergenziale e temporaneo, la cui copertura finanziaria è spesso stata trovata tra le pieghe del bilancio dello Stato (ad esempio lo storno dei fondi Fas e Fse). Non si tratta quindi di una misura strutturale, e pertanto il paragone con un sistema diverso (in cui la protezione di Francesca sarebbe invece affidata ad un meccanismo stabile e automatico) mi sembra fuorviante. Per il resto, sappiamo che la natura di un vero sistema di protezione contro la disoccupazione può essere assicurativa (e quindi venir finanziato dalla contribuzione di lavoratori e datori di lavoro) o assistenziale (e quindi finanziata dalla fiscalità generale). O, più probabilmente, da un mix delle due. Sul versante assicurativo, è chiaro che un sistema del genere implicherebbe una profonda revisione dell’istituto della cassa integrazione, da più parti ritenuto ormai totalmente inadeguato alle esigenze moderne. Molte risorse potrebbero venir da lì, così come da una riforma organica (la attendiamo da anni) degli istituti di previdenza sociale. Andrebbe inoltre condotta una approfondita analisi sui costi della situazione attuale, per avere un termine di paragone e per capire di quante risorse addizionali ci sarebbe effettivamente bisogno. Personalmente (ma preciso che è ben lungi dall’essere un’opinione scientifica o persino adeguatamente informata) non mi stupirei che la selva di inefficienti istituti attuali (CIG, CIGS, CIGS in deroga, mobilità, disoccupazione, ecc) – sommata alle inefficienze complessive del sistema – comporti una spesa non molto diversa da quella che si renderebbe necessaria con una riforma organica che vada nella direzione che abbiamo finora discusso.

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