A proposito di fascisti mascherati (per la serie l’omofobia tollerata)


Oggi a Roma il corteo del 25 aprile.

L’ANPI non ha voluto Alemanno al corteo di oggi (ed ero d’accordo).

Avete invitato la Polverini, turandovi il naso. Meglio andare fino in fondo e non tornare sui propri passi.

E invece, avete lasciato sfilare Savino Pezzotta, portavoce della manifestazione “Family Day” che papa Benedetto XVI° ha nominato componente del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace.

Per me un fascista perché per me chi ritiene che i gay siano malati o non possano accedere agli stessi diritti è esattamente come chi promulga le leggi razziali. Senza alcuna differenza.

(questo intendo quando chiedo meno retorica e più sostanza)

2 pensieri riguardo “A proposito di fascisti mascherati (per la serie l’omofobia tollerata)

  1. Copio, sintetizzo e incollo, con qualche taglio …….

    “Col decreto del 17 dicembre 1933 e con la legge del 7 marzo 1934, l’omosessualità nell’URSS divenne un reato penale. Articoli di criminalizzazione furono inseriti nei codici di tutte le repubbliche sovietiche. Secondo l’articolo 121 del Codice penale della Repubblica Sovietica Russa, l’omosessualità (muzhelozhstvo) era punibile con la privazione della libertà per un periodo fino a 5 anni.
    Nel gennaio del 1936 Nikolai Krylenko, Commissario del popolo per la giustizia, annunciò che l’omosessualità è il prodotto della decadenza delle classi sfruttatrici, che non hanno niente da fare, ma che in una società democratica, fondata su sani principi, per tali persone non c’era posto (Kozlovsky, 1986).
    L’omosessualità fu così legata alla controrivoluzione. In seguito, i giuristi e i medici sovietici descrissero l’omosessualità come una manifestazione “della decadenza morale della borghesia”, reiterando parola per parola gli argomenti dei fascisti tedeschi. Il numero esatto di persone incriminate in base all’articolo 121 è sconosciuto.”

    “L’articolo 121 del codice criminale prevedeva in effetti la reclusione fino a cinque anni, con il possibile aggravamento fino a otto in caso di coercizione della vittima, di rapporto con minori o di violenza. Spesso l’imprigionamento veniva tramutato in condanna ai lavori forzati presso uno dei molti gulag, dove gli omosessuali subivano umiliazioni e pestaggi anche ad opera degli altri condannati.
    Nei gulag finirono milioni di persone per i più svariati motivi, impiegate spesso in opere faraoniche, come il canale del Mar Baltico-Mar Bianco. Gli internati morivano di stenti, di freddo, di malattie, di botte o di fame, scavando nelle miniere o disboscando le zone sperdute della Siberia. Fra loro, gli omosessuali erano considerati, dai loro stessi compagni di sventura, particolarmente “sacrificabili”. Per questo motivo, benché per la condanna degli omosessuali fosse previsto un internamento di pochi anni, di molti di essi non si ebbe più notizia.
    Dal 1934 ai primi anni ottanta vennero condannati, in base all’articolo 121, circa cinquantamila maschi omosessuali. La cifra dei gay incriminati cominciò a calare gradualmente solo negli anni novanta. Ancora nel 1992 si ebbero, nel primo semestre, le ultime 227 condanne in base alle leggi sovietiche.
    Il Kgb, il temibile servizio segreto sovietico, utilizzava la minaccia di rendere nota l’omosessualità (vera o falsa) per spaventare l’intellighenzia russa. Vi furono architetti, artisti e dirigenti pubblici o di partito che persero il lavoro o vennero incriminati. Questo provocò fra i gay un vero e proprio clima di terrore che, tra l’altro, ostacolò lo sviluppo dell’autocoscienza o di una cultura gay in generale.
    L’omosessualità era vista, oltre che come un reato e un atto controrivoluzionario, soprattutto come una patologia psichiatrica: l’individuo era visto come soggetto a una vera e propria perversione, con infantilismo psichico, difetto organico e disordine ormonale

    “I rapporti lesbici non rientravano in nessun caso di alcun codice penale, e i legami stretti fra donne sono stati meno visibili e meno soggetti ad attacchi. L’opinione pubblica è stata, verso le lesbiche, altrettanto inflessibile che verso gli uomini gay. Le lesbiche venivano ridicolizzate, incriminate, licenziate, espulse dalle università e minacciate di essere private della custodia dei figli.
    La psichiatria punitiva sovietica fu una delle armi principali della repressione sia legale che illegale.
    In tutti i libri sovietici di “patologia sessuale”, l’omosessualità era descritta come una “perversione sessuale” perniciosa, una malattia da curare. (Vasilchenko, 1977, 1983).”

    Due domande:

    1) Le atrocità sopra descritte perpetrate contro le persone omosessuali, possiamo definirle opera dei compagni o il dogma della Chiesa antifascista (in assenza di Fascismo) ci obbliga a definirli camerati?

    2) Tutte le forme di autoritarismo sono fascismo?

    Un saluto Romanesque,

    Gherio I. Lacroix

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