Roma Pride 2010: perché io il 3 luglio ci vado

Vado, perché il Pride è una parola non registrata da alcuno, anche perché chi doveva farlo, al massimo, era un gruppo di trans newyorkesi che si ribellò alle aggressioni indiscriminate della polizia.

Vado, perché la vera piattaforma politica è dentro ognuno di noi, ognuno gli dà il senso del proprio coming out, dei propri affetti, della propria piccola personale battaglia. E’ così, non possiamo negarlo, se ci saranno 10 mila persone, ci saranno 10 mila battaglie da portare avanti. Ciò non significa che io ritenga che il Pride debba essere politicamente svuotato, anzi, tutt’altro. Il Pride deve essere una manifestazione fortemente politica in termini di contenuti e rivendicazioni. Il massimo possibile per tutte le componenti della comunità. Non tutti gli omosessuali vogliono il matrimonio? E’ possibile. Neanche tutti gli etero, però il matrimonio c’è, è lì, si può scegliere.

Vado, malgrado la frattura del movimento e l’accanimento di certa stampa che si sofferma su un spot, imboccata da qualcuno, che sì, fa schifo (per me, per me Cristiana Alicata che rappresento solo me, quindi 1 milionesimo della comunità come ognuno di noi), ma ridurre un Pride, a Roma, capitale d’Italia e luogo di domicilio della Chiesa Cattolica, alla discussione intorno ad uno spot, mi sembra ridicolo. I giornali parlino degli adolescenti che si ammazzano. Parlino dell trans costrette a prostituirsi, parlino delle coppie omosessuali con figli, parlino di altro. Parlino di noi come parlano di lavoro e di precari. E non sempre cercando il glamour ovunque. Sì, noi siamo anche piume rosa e tacchi a spillo e tatuaggi aggressivi su bicipiti muscolosi di qualche ragazza con la faccia incazzata. Questo lo stereotipo. Davvero la nostra stampa liberal non riesce ad andare oltre e ad essere onnicomprensiva? A vedere solo ciò che ci distingue e ci fa essere strani?

Vado, perché la gente, i romani, la comunità, non capirebbe nemmeno una virgola di quello che sta accadendo nel movimento.

Vado, perché vorrei che da questo Pride a Roma partisse una forte riflessione che valorizzi la positività che pure c’è, deve esserci, nel movimento romano e la faccia crescere. Dobbiamo fare, insieme, una montagna di cose. Chi sta nei partiti, chi nelle associazioni. Dobbiamo, tutti, rimettere al centro della nostra azione collettiva la comunità. Non la nostra visibilità. Non la supremazia. Non il business. Per farlo ognuno dovrà fare un passo indietro e un serio esame di coscienza. Che non significa mischiare tutti in un unico calderone e buttarla in caciara, ma la situazione è così tragica che ognuno sa dove deve guardarsi per trovare da dove ricominciare. Permettetemi un piccolo plauso al PD Roma che ha voluto sapere cosa stava accadendo, come si fa con qualsiasi comunità di qualsiasi tipo e che, durante la festa cittadina, ha messo il suo spazio a disposizione di tutte le associazioni, proprio nell’ottica di mantenere pluralità e distanza tra le parti.

Personalmente, perché questa volta andrò al Pride senza aderirvi come dirigente del PD (vista la divisione del movimento) comincerò con il farlo camminando al Pride in fondo al corteo simbolicamente protestando contro le divisioni, da semplice lesbica.

E chiedo a tutti di venire al Pride e nello stesso tempo, per chi lo ritenesse giusto,dare un segnale a tutti in qualche modo (tutti, nessuno escluso) che un movimento diviso è un danno per tutti e ci indebolisce politicamente.