Giornata mondiale contro la omotransfobia. Siate felici. (Dalla postfazione di Verrai a Trovarmi d’inverno)

Dovrei scrivere un altro libro per raccontare la storia di Verrai a trovarmi d’inverno.

Ma ci sono cose che l’autore è meglio trattenga per sé, che fanno parte dell’involucro in cui nasce un libro. La placenta non interessa a chi abbraccia il bambino: è un affare soltanto materno. […]

Verrai a trovarmi d’inverno, è stato l’esercizio di raccontare le difficoltà che non ho mai avuto nel dirmi lesbica e di dirlo al mondo, di infilarmi nell’essenza dell’altro da me e, infine, comprenderla. A te, lettore, chiedo di compiere lo stesso esercizio, anche se la realtà è spesso molto meno dolce di come ve l’ho propinata.

Liz è dedicata a tutte le persone transessuali coraggiose del mondo, a chi nasce bozzolo e vuole diventare farfalla e se lo merita, di volare. Dalle persone transessuali è cominciato il movimento di liberazione della nostra comunità. Non dimentichiamolo mai.

Elena è dedicata a tutti i giovani omosessuali che sanno cosa prova il brutto anatroccolo e ai quali chiedo di resistere perché un giorno incontreranno un branco di cigni ad accoglierli e con i quali dovranno costruire quella comunità omosessuale di cui si sente sempre più il bisogno e che una volta c’era. Il tasso di suicidi degli adolescenti che si scoprono omosessuali è altissimo e la nostra comunità ha il dovere morale di farsi presenza e di sopperire alle mancanze delle famiglie e delle istituzioni. Dobbiamo. Un omosessuale non nasce in una famiglia di omosessuali come accade a chi porta incisa una diversità ereditaria: il colore della pelle, un credo religioso. Tutti i razzismi sono insopportabili, ma il ritorno tra le mura di casa è, in generale, sempre protettivo ed identitario. Esiste un luogo familiare e di cui si conosce la strada di ritorno, dove altri coltivano un orgoglio per ciò per cui si è discriminati fuori. Un bambino o un adolescente che si scopra omosessuale, non ritrova la stessa diversità in casa. A volte questa voragine diventa insanabile fino alla rottura interiore. È per questo deve esistere e che serve una forte comunità omosessuale. Dobbiamo essere una famiglia dove essere “simili” – quel luogo in più rispetto alla propria, di provenienza – dove completare il senso ultimo dell’appartenenza, dove essersi solidali, dove accogliersi dopo il viaggio della rinascita. Perché di questo si parla, parlando di noi. Senza pietismo. Questa è solo l’analisi dura e cruda di ciò che accade a quella solitudine.  […]

Verrai a trovarmi d’inverno a Firenze

Alla presenza dell’autrice, Cristiana ALICATA e della giornalista Francesca FORNARIO (l’Unità)
Readings a cura dell’attrice Fiorella SCIARRETTA
Introduzione a cura di www.laicitaediritti.org
http://www.lacitelibreria.info/

VERRAI A TROVARMI D’INVERNO, secondo romanzo di Cristiana Alicata: è la storia di Elena, giovane chirurgo ortopedico, che in seguito ad un incidente motociclistico decide di trascorrere la convalescenza a Pantelleria, in pieno inverno. Qui conosce Liz, fisioterapista transessuale in attesa di cambiare sesso, e Gina, meccanico, che ha paura d’amare. Nel limbo spazio-temporale proprio delle Isole, le due donne l’aiuteranno a ricostruire le dinamiche dell’urto, sentimentale prima che fisico. Di pari passo al riaffiorare dei ricordi, remoti e recenti, anche la realtà muterà i suoi connotati, fino a svelare vite segrete e intrecci imprevedibili: Aldo, padre di Elena, non risparmierà sorprendenti rivelazioni su un passato, che brucia ancora, portando con sé le ciniche conseguenze di sogni infranti. “Verrai a trovarmi d’inverno” è un doppio viaggio: alla scoperta di un’isola e della capacità di parlare di se stessi, aprendosi agli altri…

Ora
sabato 1 ottobre · 18.00 – 20.30

Luogo
Libreriacafè “La Citè” – Borgo San Frediano 20/R – FIRENZE

Verrai a trovarmi d’inverno a Benevento.

Dopo un terribile incidente di moto, Elena, giovane e brillante chirurgo ortopedico, decide di trascorrere il periodo di convalescenza a Pantelleria, interrompendo drasticamente tutti i rapporti con l’esterno, fatta eccezione per suo padre, che rimane l’unico a sapere come poterla rintracciare.

Restano invece tagliati fuori Mattia, innamorato di Elena da sempre, seppur legato a lei da un vincolo familiare un po’ particolare, e Viola, la ragazza che Elena ama.

Nel suggestivo scenario dell’isola di Pantelleria, rinomata meta turistica che dal romanzo emerge anche come ruvida dimora e luogo simbolico di un isolamento cercato, talvolta subìto, si sviluppa una trama densa di ricerca del sé, nella quale fanno irruzione dei flashback che la protagonista rielabora per raccontare quanto accaduto, svelando man mano cosa ha sconvolto la vita dei protagonisti.

Verrai a trovarmi d’inverno, di Cristiana Alicata, è un libro che racconta luoghi e sentimenti, da sublimare nelle numerose e diverse nuances delle vicende umane che vi ritroviamo, indipendentemente dalle singole storie individuali.
Esploreremo queste pagine mettendo in gioco i nostri sensi in un reading multisensoriale che dia spazio, oltre che all’ascolto di alcuni brani del libro, narrati dalla voce dell’attrice Martina Iorio, anche alle altre percezioni del lettore. Lo faremo attraverso percorsi audio/video, odori e sapori in omaggio al territorio in cui il libro è ambientato, in una location suggestiva ed ammaliante allestita per l’occasione.

Ci guiderà in questo viaggio tra i sensi l’autrice insieme ad amici, artisti, lettori e tutti quanti vorranno liberare al mondo, partendo dalle impressioni offerte dal libro, un po’ di sé.

L’appuntamento è per il 10 settembre alle ore 19.00 presso la Libreria Luidig, Palazzo Collenea, Corso Garibaldi 95, Benevento.

Verrai a trovarmi d’inverno – La recensione di Zandel sulla Gazzetta del Mezzogiorno.

Personaggi e paesaggi… “Tanto bene descritti da fare fatica a comprendere come ad esserne autrice è una giovane donna che, stando al risvolto di copertina, di formazione è ingegnere.”

Poteva aggiungere: “stupisce che sia del Pd” 🙂

Pantelleria – Le porte dell’inferno si affacciano in Paradiso.

“Che cos’è per te la mafia?” Questa domanda, con l’aria da sbruffone, me l’ha fatta un giovanissimo imprenditore siciliano che si è infilato a forza tra noi. La breve paralisi a cui è andato incontro il mio volto sembrava un cedimento al silenzio, una mia resa alla risposta. Il suo racconto era come una scure che si abbatteva sulle mie dita e le mozzava una per una, lasciandomi infine incapace di afferrare. Impotente.

“Io non ho paura della mafia.” Ha concluso.

E io l’ho fissato negli occhi e gli ho detto: “Tu sei la mafia. Tu sei anticorpo e corpo. Sei tu la tua stessa malattia.”

“Ci sono battaglie che non vale la pena di combattere. Devi imparare a discernere. Così è solo energia sprecata” Così una delle ragazze ha dato il colpo di grazia alla mia disperazione, alla fine.

Ci ripenso mentre salgo sul cratere del vulcano, verso le terme naturali. Sembra di essere in un’altra era geologica, un sentiero si inerpica circondato di cactus enormi. Il verde è più verde del verde. Come il blu ed il nero. Tutto, qui, è elementare. Come se nascesse qui e nell’andare via, nell’allontanarsi perdesse d’intensità. Come il vino puro e non annacquato. Come un colore non sbiadito da toni di bianco. Qui. Il bianco non esiste. Se esiste è artificiale. E’ un ospite.

Si arriva dove la pietra si spacca ed esce del vapore. Sono terme naturali. Tutto gratis in cima all’ultimo piccolo punto d’Italia che  si affaccia sull’Africa. Il vapore, però, si schianta sulla roccia, in alto, e poi ripiove addosso, inventandosi anche un bagno turco. Più entri nella grotta più è caldo. E’ il respiro della montagna, lo sbuffo di mille anni or sono. Il residuo della rabbia che più giù si può scorgere, nei lanci di pietre, nelle colate legnificate. Un’eruzione conservata e ricoperta di verde.

Un tempo queste erano le porte degli inferi. Quelle che gli antichi varcavano violando la legge dell’uomo. La porta per l’inferno. E’ buffo che qui, dove per molte volte al giorno, ti dimentichi di qualsiasi cosa possa accompagnarsi con la denominazione di origine controllata “civiltà occidentale”. Ti scordi a cosa servono i vestiti. Ti scordi il tempo. Riscopri il sapore della marmellata di arance. Dei capperi. Dei pomodori. Dell’olio non filtrato. Del vino fatto in casa a 2 euro al litro. Niente tv. Tutto si semplifica e ti fa considerare gli eccessi a cui, prima o poi, rassegnato, tornerai.

Qui ci sono pesci che non temono l’uomo. E’ perché lo conoscono poco.

E la Mafia esiste. C’è. Siamo noi. Ogni volta che cediamo, ogni volta che deviamo. Ogni volta che accettiamo. La porta dell’inferno si affaccia in paradiso. E così è. Anche se non vi pare.

Pantelleria tra abbandono e silenzio.

Quando scrivi un libro e lo ambienti in un luogo, praticamente dimori in quel luogo per tutto il periodo della scrittura. E’ per questo che mentre volo sul piccolo ATR ad eliche di Meridiana ho quasi l’impressione di tornare a casa e non di andare in vacanza. Mi è tutto familiare come se non fossi mai andata via.

Il pilota sbaglia il primo atterraggio e risale. L’isola è coperta di nuvole. La hostess, un’improbabile hostess vikinga e tarchiata di origini tedesche ci annuncia che non è stato possibile atterrare. Mi accorgo solo ora che davanti a noi viaggia un ministro perché gode di un’informazione riservata da parte del comandante. Forse delle scuse.

Ci riproviamo. L’effetto dell’atterraggio è che un istante sei a duecento metri da terra e poi non sei tu che scendi ma la montagna che è al tuo livello. La pista è cortissima, si tocca terra e poi si frena.

Terra. Pantelleria. Quel nome che quando lo dici subito tutti pensano ad una vacanza da ricchi. Mi fa sorridere questa cosa. Per la verità l’impressione che ho è che Pantelleria versi in stato di parziale abbandono e affermalo il 5 agosto è inquietante. Non  certo per i turisti, quanto per chi ci abita tutto l’anno.

Capire Pantelleria non è semplice. C’è anche chi è venuto fin qui e non sapeva che non esistono spiagge e così, alla fine, preferendo la comodità della sabbia agli spigoli degli scogli, negli anni successivi preferisce altre mete.  Qui non arrivano nemmeno i barconi dei profughi. Non c’è dove attraccare, ma da qui ogni giorno la Capitaneria di Porto va ad aiutare quella di Lampedusa. Anche a raccogliere i cadaveri, come ieri.

Sul volo Palermo Pantelleria (che per la cronaca costa un centinaio di euro, a costare un po’ di più è la tratta Continente-Sicilia, alla faccia della promozione turistica, sia che si voli, sia che si venga in nave, sia che si sia così folli di scendere in macchina come stavo per fare io alla fine) la rivista di Meridiana mi annuncia ogni tre pagine della vendita di appartamenti in resort mozzafiato, ville “pezzo unico” in Sardegna. Porto Cervo. Con tanto di foto e rendering. Sostanzialmente la confessione di una cementificazione selvaggia su carta patinata. La costa sarda. E sappiamo anche chi, come cosa e quando.

A Pantelleria questo non può accadere. Nessun folle verrebbe a costruire ville e resort qui. Non ci sono accessi comodi al mare. L’isola ti rifiuta, è repulsiva. Non possono nemmeno inventarsi una spiaggia finta con villaggio come hanno fatto a Favignana.

A., che ci affitta la macchina, ci fa notare che stanno ricostruendo l’aereoporto.

“Che bisogno c’era di allargare l’aereoporto che viene usato, se va bene, due mesi all’anno. Con tutte le cose che servirebbero.”

“Cosa servirebbe?” Chiedo.

Sorride, scuote la testa.

“Aggiustare certe strade, costruire servizi….anche per i turisti. Qui d’inverno non c’è nulla. Il niente.”

A Pantelleria d’inverno, mi dice una ragazza, poi la sera, c’è solo il carnevale che si balla il liscio. E io che scrivo un libro, ma è un pensiero distratto, ironico, incondivisibile. Talmente cretino da non essere nemmeno narcisistico.

“A chi piace, però. Se non ti piace il liscio resta solo il karaoke.”

Lei ha studiato a Napoli. Ovviamente non ha trovato lavoro e ovviamente è tornata qui.

La verità è che a Pantelleria ci sono pochissimi turisti. Qualcuno dice che è colpa del costo dei voli. Qualcuno, la ragazza della trattoria, dice che “No, non sono i voli che costano troppo. E’ l’isola che non va più bene.”

Mi verrebbe da dire che non va più bene per i tempi che corrono, per i tempi in cui un luogo di vacanza deve avere una discoteca con il buttafuori e la lista e il privè. O per lo meno con il milanese che è rimasto qui, ha aperto un locale e fa l’aperitivo la sera e se non ci vai sei out. Qualche bar fighetto e ristrutturato. Niente. Qui non c’è nulla di tutto questo se si esclude la Nicchia a Pantelleria e O Friscu a Scauri.

Alla fine ho rinunciato alla presentazione del libro al Castello. Optato per un incontro ristretto e deciso che tornerò in inverno, alle soglie della primavera, almeno per coerenza con il titolo che ho dato al libro. Così la facciamo per l’isola e non per i turisti.

Il primo tratto di perimetrale è un necrologio di cemento e alluminio anodizzato. Vento e mare provano a buttarli giù con l’effetto che il tutto sembra diroccato e in stato di abbandono.

Sulla strada decine di dammusi in vendita. Eppure, questa solitudine turistica (ora arrivano le due settimane centrali di agosto e le cose cambieranno) non riesce a rendermi felice come dovrebbe perché l’impatto sull’economia locale è evidente e stride con l’idea che tutti hanno di quest’isola.

La verità è che la natura dell’isola ha attratto, tra i vip, gente sobria e senza troppe manie di grandezza. Persino Armani, l’ospite più ingombrante dell’isola per “nome”, viene qui per rifugiarsi e stare in pace, certo non per fare feste o far parlare di se. Sull’isola tutti lo amano, anche perché ha pagato un bel pezzo di ospedale tra cui l’attrezzatura per la Tac e per le mammografie che significa che le fai qui e non in Sicilia. Sobrietà e calma. Il piccolo alimentari di Rekhale è gestito sempre dalla stessa vecchia signora. Che le suona il telefono e si intrattiene con qualcuno dall’altra parte mentre c’è una piccola fila di tre clienti. Domanda. Risponde. Si informa di salute e di studi. A nessuno di noi salta nemmeno in mente guardando la vecchia cornetta del telefono della SIP di metterle fretta. Qui è così. E te lo devi fare andare bene.

La luce, il blu intenso, il verde. Soprattutto un silenzio profondo, che si annida ovunque.