Vini, libri e fondazioni.

Io non trovo normale che si acquistino libri o vino di un politico o si diano soldi a fondazioni politiche da parte di una coop che riceve appalti dalla pubblica amministrazione. Credo che debba essere fatta luce su tutta questa vicenda il prima possibile. E magari verificare se ci sono altri donatori o acquirenti troppo generosi. Se non c’è un problema legale (forse) c’è sicuramente un tema etico.

Così dannatamente….di destra.

“Troppo facile diventare maggioranza con il pensiero degli altri.” Così Massimo D’Alema questa mattina al raduno della minoranza PD.

Ecco io questo principio che un altro pensiero sia un pensiero di destra e non forse una nuova strada da seguire, lo trovo così reazionario, così conservatore, così dannatamente….di destra.

Vorrei ricordare a Fassina.

Vorrei ricordare a Fassina e a tutti quelli con le mani nei capelli da ieri che la parola Inciucio ha la seguente storia (Da Wikipedia): “Il termine è entrato nel gergo della politica italiana in seguito all’uso errato che ne fece il giornalista Mino Fuccillo, in un’intervista a Massimo D’Alema per il quotidiano la Repubblica, il 28 ottobre 1995. Da allora, “inciucio” è divenuto un termine comune per riferirsi a un accordo informale fra forze politiche di ideologie contrapposte che mette in atto un do ut des o addirittura una vera e propria spartizione del potere. Nel caso italiano, un tacito patto di non-belligeranza sarebbe stato stipulato, secondo alcuni giornalisti, tra Massimo D’Alema, presidente dei Democratici di Sinistra, allora ancora segretario, e Silvio Berlusconi, durante una cena a casa di Gianni Letta, il cosiddetto patto della crostata (in riferimento al dolce preparato per quell’occasione dalla signora Letta).” Io mi sono sempre vergognata di questo (quando lo ho saputo) e non mi vergogno delle cose fatte alla luce del sole, anticipate, raccontate e commentate in diretta da tutti. Matteo Renzi si è preso una responsabilità. Commentiamo il modello della legge elettorale, non il resto. E non mi dite che Berlusconi oggi è un condannato visto che sono venti anni che sappiamo che è inquisito e la condanna è stata solo ritardata da leggi ad personam favorite dall’inciucio. Appunto.

Buongiorno, Sinistra!

Da giorni mi chiedo perché un mio collega che non ha mai votato a sinistra – figuriamoci alle altre primarie – oggi vuole venire a votare Renzi alle primarie.

Lui non ha mai votato a sinistra, ma non è di destra.

Insomma in Italia c’è un pezzo di Paese che – negli anni – ha votato a destra non perché era di destra, ma non ha votato a sinistra perché non ha mai ritenuto credibile quella parte politica.

Berlusconi ha usato quel pregiudizio a suo favore, l’ha sempre usato, sintetizzandolo nel pericolo comunista delle tasse, dello statalismo, della burocrazia, della tristezza. Ma non era solo questo.

C’è un’altra questione che la campagna di Renzi sta insegnando a tutti noi “gente di sinistra”, noi che non abbiamo mai tentennato, che dal 1994 non abbiamo mai avuto nessun dubbio.

C’è il fatto che noi ci siamo sempre sentiti superiori e diversi, insomma migliori. Quelli impegnati, quelli pronti al sacrificio, quelli seri, quelli responsabili. E nel tempo abbiamo compiuto una discriminazione che ci consentiva di sentirci il meglio del Paese e nel frattempo buttavamo tra le braccia di Berlusconi la parte restante del Paese e più quest’ultima si allontanava più davamo la colpa alla televisione, all’ignoranza, ad una sorta di alienazione, determinando quindi un recinto intorno a noi: chi era fuori era cretino. Era manovrabile. Non si rendeva conto. Era peggiore di noi.

Per questo non siamo mai stati credibili per quella parte del Paese. Perché l’abbiamo denigrata.

E’ stata un’operazione involontaria, forse figlia di una classe dirigente che nella vita ha fatto della politica una professione e quindi non ha vissuto l’evoluzione del mondo  del lavoro, non si è accorta del superamento della lotta di classe come dualismo perfetto.  E questo vale anche  per i giovanissimi che finiscono nel tritacarne di partito senza mai passare per un lavoro vero. Purtroppo l’essere vecchi non è una categoria anagrafica, ma una categoria legata ai metodi di indagine del mondo: se già da giovane ti chiudi nel pensiero unico dentro un sistema che non ti consente dubbi, sei già vecchio, vecchissimo. La lotta di classe non è morta. Si è solo trasformata in una dialettica molto più complessa in cui il figlio dell’operaio fa l’impiegato o magari si è laureato e ha cambiato classe sociale in quell’ascensore sociale tipico delle società occidentali negli ultimi 40 anni. Non sto dicendo che chi era povero oggi è ricco, attenzione. Sono rarissimi i veri salti sociali ed anzi molti figli della media borghesia oggi sono precari e impoveriti.

Un partito fatto di vecchi e giovani professionisti della politica ha vissuto di feticci ereditati in un’altra era. Dell’operaio della grande industria che lavora nella linea fordista e non dell’operaio della fabbrichetta con meno di 15 dipendenti con i polsi distrutti dal tunnel carpale, senza sicurezza, schiavizzato e umiliato e sotto continuo ricatto in mancanza di qualsiasi tipo di concertazione.

Esiste solo un operaio per questa sinistra: quello Fiat. Egli viene assurto a simbolo oggi come negli anni settanta. Ed anche qui: attenzione. Non sto dicendo che fare l’operaio in Fiat è bello e altrove no.

Poi c’è lo statale che una volta lo piazzavi per controllare il governo della cosa pubblica (e aveva almeno un senso visionario sanamente socialista) ora ce lo piazzi per avere in cambio voti. Ma il vero statale, quello alienato allo sportello, quello innamorato del suo lavoro, quello che meriterebbe di fare carriera  viene umiliato dall’egualitarismo o dalla raccomandazione. Guardate cosa abbiamo fatto: abbiamo umiliato i lavoratori pubblici, rendendoli uguali ai bassi livelli oppure distorcendo la macchina statale dandola in mano a manager strapagati e raccomandati e rendendola inetta, inefficace e preda degli speculatori.

Quel partito fatto così riconosce le maestranze della cultura, dell’università, della ricerca perché in qualche modo gli sono utili alla sopravvivenza. Ma quella roba lì non ha conferito in questi anni la dignità ad un larghissimo pezzo del Paese.

Ecco cosa è successo. E’ successo che il mio collega fa un lavoro che non è sufficientemente degno. E’ un quadro aziendale. Non è un lavoro romanticamente ignobile e nemmeno un lavoro intellettuale. La classe media per la sinistra è un melting pot di paraculi, di gente che ha rinunciato ad inseguire il suo sogno di gioventù (magari creativo). E’ il perdente, il traditore. Non è un caso che ci siano pochissimi lavoratori nel settore privato nella dirigenza apicale dei partiti di centro sinistra. E nel 2012 chi si è laureato e lavora nel privato è considerato buono per le destre. Non ci siamo accorti che magari sono i figli degli operai. O della borghesia illuminata degli anni settanta che tanto piaceva alla sinistra e che non necessariamente hanno seguito le orme dei padri o magari quelle orme non erano perseguibili.

C’è un’intera generazione di diseredati politici. Quelli che si accontentano di accendere un mutuo, di comprare una macchina, andare in vacanza. Quelli che a noi ci fanno schifo perché non sono impegnati secondo il nostro metro di giudizio.

La verità è che non abbiamo conferito alcuna dignità alla semplicità dell’esistenza, la verità è che noi guardiamo con terrore a quel prototipo. Perché pensiamo che un operaio, se solo potesse, farebbe altro e quindi è un lavoratore da salvare dal sistema. Invece pensiamo che l’agente commerciale, il negoziante, il commerciante, il piccolo imprenditore abbia deliberatamente scelto di fare quel mestiere. E quindi ha una colpa: essere il sistema, incarnarlo. Abbiamo privato quella dimensione di emozioni e affetti. Non l’abbiamo considerata degna di poter contenere dentro di se i germi sani del futuro. E quindi l’abbiamo espulsa, epurata dal nostro bel immaginario fatto di cultura, di intellettuali e di operai.

E ora che uno del PD riesce a parlare con quella gente senza farla sentire reietta noi ci incazziamo? Sì, è vero. Lo faceva anche Berlusconi di parlare con alcuni di loro. Buongiorno sinistra! C’è un pezzo di Paese che vota chi lo considera. La diversità sta nel messaggio non nel modo di comunicare con quella parte di Paese.

Io non penso affatto che la sinistra moderna passi per la resa al governo delle banche e della finanza. Non penso che dobbiamo arrenderci al consumismo, ad andare in macchina anche per andare dal tabaccaio di quartiere. A non leggere più libri sulla carta. Ad inquinare perennemente. E nemmeno che dobbiamo arrenderci allo smantellamento della cosa pubblica perché non riusciamo a farla funzionare (anche perché l’abbiamo umiliata lottizzandola di gente incapace, ma fedele e diciamocelo!)

Penso piuttosto che la sinistra moderna debba passare per un sguardo diverso, quello sguardo da cui si è sentito colpito il mio collega. Uno sguardo, quello che dobbiamo acquisire, che conferisca dignità a tutta la società, che comprenda che a volte uno fa l’impiegato o l’agente di commercio o la cassiera per campare mogli e figli (o viceversa) e magari nei fine-settimana invece di andare in un circolo del PD, porta i figli al parco, e magari sì…anche in un centro commerciale per passarci un po’ di tempo e non solo perché si sia arreso a sognare un mondo migliore. Magari il mondo migliore si può costruirlo tutti insieme, ognuno come può e secondo le sue possibilità, senza pretendere alcuna supremazia intellettuale. Noi non dobbiamo imporre una visione del mondo, dobbiamo portare la maggioranza del Paese a riconoscersi in un Paese migliore  e a partecipare alla sua costruzione: innescare un senso di collettivo è una cosa profondamente di sinistra ed è ciò che serve davvero per ripartire. La redistribuzione delle responsabilità è una missione di sinistra ed è la base (anche) per una redistribuzione della ricchezza.

Se pensiamo che più della metà del Paese sia cretino, asservito alla TV e inconsapevole della propria deriva cultura vuol dire che sotto sotto sogniamo una dittatura che imponga a tutti un modello di vita, quello da noi considerato migliore.

E forse è venuto il momento di farsi un paio di domande su cosa sia una democrazia matura perché forse, noi a sinistra, non lo sappiamo fino in fondo.

Buongiorno, sinistra. Svegliati.

p.s. ah, tutto questo rimane vero comunque, anche se domani dovessimo scoprire che Renzi è l’anticristo mandato da Satana per distruggere il mondo. I compagni (me inclusa) ci riflettano bene.

Ovazione per Veltroni (contestualizzata)

Ovazione per Walter Veltroni non perché se ne va, ma perché forse ha compreso responsabilmente che può essere a disposizione delle nuove generazioni in modo diverso e più credibile.

Lo fa nel giorno del compleanno del PD che più di ogni altro ha contribuito a creare e su cui però pesano tante responsabilità per l’avere ceduto alle correnti e avere lasciato sul più bello. Lasciato a quelli che rimpiangono il PDS e forse il PCI, per lo meno nei metodi.

Come dicono in molti anche lui sta al non so qualche numero di mandato parlamentare, con una parentesi da sindaco non del tutto opinabile. Discutibile in alcune logiche (non ho mai risparmiato critiche al modello Roma di Veltroni e Bettini), ma almeno una logica ce l’aveva, soprattutto confrontata con il disastro Alemanno.

Un’ovazione però perché se ne va nel momento in cui D’Alema invece non se va più (pappapero) per far dispetto (infantile) al ragazzo di Firenze e si aspetta un seggio ed anche un ministero. E come ci ricorda Pubblico lancia la raccolta di firme tra i dalemasessuali per chiederne la candidatura (lo sappiamo tutti che sono numerosissimi, non c’è bisogno che vi contate).

Insomma, contestualizzando: bravo Uòlter.

Sui manifesti e sul femminicidio politico: riflessione notturna sulla Festa dell’Unità romana.

Abbiamo talmente rotto le palle che nell’ultimo esecutivo del PD Roma addivenirono ad un compromesso.

Meno manifesti dell’anno scorso: solo per i BIG e generici per il lancio della Festa e cose particolari. Vago, ma sfidante.

Traduzione di Big: D’Alema e Veltroni (Big ontologici a prescindere a dimostrazione che anche se non si ricandidano: comunque comandano). Bersani (segretario). Enrico Letta (vicesegretario). Rosy Bindi (Presidente). Capogruppi (Finocchiaro, Franceschini, Sassoli). Punto.

Questa decisione è stata vissuta dagli aspiranti big (cioé da quelli che NON lo sono) come un boicottaggio. Anche perché in effetti D’Alema, Veltroni e Marini rappresentano delle eccezioni. Sono BIG del partito? Ad onore del vero fanno solo parte della direzione nazionale. Alla faccia del “ci siamo fatti da parte”.

Pare che qualche giovane (turco) ed anche qualche meno giovane veltroniano di primo pelo si sia arrabbiato. Qualcuno si è scaricato il formato dal sito e si è fatto i manifesti da solo.

Non è bello, visto che il partito aveva preso una decisione e  i manifesti continuano ad essere tutti, maledettamente, abusivi.

Ma superiamo per un attimo l’abusivismo. Facciamo finta che per noi non sia un mantra politico di legalità, lavoro nero da fare emergere, inquinamento, bellezza di Roma e chi ne ha più ne metta. Insomma: Alicata formàttati.

E riflettiamo.

Per esempio. Lo psicologo Fagioli (quello di Bertinotti per intenderci per cui i gay si possono sposare ma sono psicologicamente ciechi, già cacciato dalla società psicanalitica italiana nel 1976 ed editore della rivista Left recentemente gemellata con l’Unità i cui applausi degli adepti ieri sera riempivano inquietamente le Terme di Caracalla) non ha avuto i manifesti e ha portato più gente di D’Alema che è stato quello che ha avuto più ripassate di manifesti e si era accoppiato con la glamourissima Chiara Gamberale, scrittrice e conduttrice radiofonica, simpaticissima (almeno a me).

Quindi? I manifesti servono o no? Boh.

E ancora. Manifesti solo per maschi. Palchi pieni di maschi. (d’altronde le donne di potere si contano sulle doppie punte di un calvo).

Ma insomma. Se proprio dobbiamo fare i manifesti non dovremmo farli ai più sconosciuti? Non so, a Orfini per esempio che invece se li è pagati di tasca sua (istituzionalmente parlando)?

Tutti i big non hanno già la tv e i loro settemilioni di mandati parlamentari?

E ancora.

Abbiamo dei candidati alle primarie da sindaco. Non li invitiamo sul palco della festa a dirci come pensano Roma?

Quello sì che sarebbe un dibattito figo e appassionante (yawn).

No, c’è la festa del PD e invece Zingaretti riempie una piazza il 16 luglio.

La Prestipino ha fatto un evento qualche giorno fa altrove.

Ecco, appunto.

Altrove. Tutto è altrove.

Le donne sono altrove. Pare a ragionare sulla portavoce, nel frattempo i palchi della festa sono infestati di soli maschi. Un femminicidio politico quasi totale, d’altronde l’impresa più ardua nel PD è convincere una donna intelligente a candidarsi (lesbiche escluse, lo ammetto).

Problema culturale? Remissività compulsiva? Incapacità di partecipare al gioco di “chi ce l’ha più lungo?”. Ma cambiare tutto, no?

I candidati a sindaco sono altrove, ma vengono a parlare di altro. Come se niente fosse.

I giovani non sono ammessi se non i fedelissimi e in modalità autoreferenziale. Figuriamoci.

Non resta che esprimere solidarietà ai dirigenti del PD Roma oggetto delle pressioni collettive. Si viaggia a un centinaio di sms di pressione al giorno cadauno. Roba da stressare anche un amministratore delegato di una multinazionale (ahem).

Quasi quasi chiamo anche io, mi incazzo perché nessuno mi ha invitato a parlare di nulla e chiedo pure i manifesti.

(nel caso a qualcuno venisse il dubbio: scherzo).

Però pensiamoci seriamente.

Non sarebbe bello che invece di far salire tutti quelli (vecchi) che pestano i piedi sul palco ci fosse una regia (non solo tematica, ma politica) mirata a far vedere il talento e le cose da dire? Ma non alle 19 sul palco del PD Roma tra gli arancini e il caffé macinato. Dico proprio in prima serata.

All’apparenza mi pare che i palchi siano seguiti dalle solite persone. Tanta gente che mangia, poca gente interessata a ciò che abbiamo da dire, malgrado la diffusa competenza che abbiamo messo in campo negli ultimi lunghi mesi.

Farsi qualche domanda e darsi molte risposte. Prima che sia troppo tardi.

Il 2013 incombe.

Renzi, Berlusconi, gli Ufo e il vero piano segreto per il 2013

Dicono che Verdini (ex consigliere di D’Alema e ora di Berlusconi) abbia consigliato a Berlusconi di fare un accordo segreto con Renzi e di mandare a casa tutto il PDL.

Fossi Renzi farei l’accordo, vincerei le elezioni, poi li manderei a cagare.

A parte le battute, sembra che sia partita la sagra delle bufale per eliminare gli avversari scomodi. Evviva.

Facciamo finta che questo documento esista. E che i giornalisti siano in buona fede. Lo ricevono. Gli dicono che è vero. Lo pubblicano.

E se fossero stati imboccati apposta?

E’ vero, come dice Gilioli che un tale scenario non dà alcuna colpa a Renzi, anche se non capisco le conclusioni del pezzo secondo cui dovremmo da sinistra farci domande su Renzi se piace a destra. L’unica questione è il tema del lavoro, visto che Renzi sui diritti civili ha posizioni più avanzate di Bersani. Cioè ha un collocamento politico simile ai democrats americani, all’ala veltroniana del PD. Non è il solo. Anzi.

Ed è vero come dice Sofri che messo come è messo l’articolo sembra più una roba che danneggia Renzi che altri. In effetti tutto sembra insinuare che lui sia d’accordo (le parole una messa accanto all’altra hanno un senso oppure ne hanno un altro).

E se invece l’accordo (come si dice sul serio nei corridoi) fosse un accordo vecchio regime PDL e vecchio regime PD per portare D’Alema o Berlusconi al Quirinale e Casini premier?

E se Grillo e Renzi in fondo fossero gli outsider, in tutto questo, che rompono lo schema?

E come mai nessuno parla delle liste civiche che Italia Futura sta costruendo in giro per l’Italia, anche a Roma?

Anche io davo dei consigli alla dirigenza PD su come vincere le prossime elezioni e su certe cose (tabula rasa della dirigenza PD) somigliava tanto al piano di Verdini (diciamo che ci vuole poca fantasia oggi per capire cosa vorrebbe il Paese).

Mi domando come mai (vi prego cogliete sia l’ironia che l’autoironia) il piano segreto di Alicata non sia stato pubblicato su alcun giornale.

La democrazia iperdiretta ovvero la dittatura.

La democrazia iperdiretta che declama Grillo e’ la strada con cui sono iniziate le peggiori dittature, nate sul non ricambio di democrazia rappresentative.

Se i partiti NON cambiano saranno i primi responsabili dell’ennesimo ventennio. Sia chiaro. La colpa non è di Grillo, ma di chi si ostina a non vedere.

Benito Mussolini in un’epoca simile a questa, maestro di scuola, bestemmiava Dio e faceva il giornalista in un Paese per più della metà analfabeta. Il 28 gennaio del  1924, Mussolini lancia il #LISTONE aperto a chiunque voglia collaborare con il fascio “al di fuori, al di sopra, e contro i partiti”.

Insomma niente di nuovo sotto il sole.

Tenetelo a mente: i partiti sono i più grandi responsabili dell’epoca che verrà.

Grillo è oggi un blogger come una volta Mussolini era un reduce di guerra, ex maestro di scuola. Lui fa il su0 mestiere insieme al suo Guru di Casaleggio: si infila nella voragine.

Banalmente: la democrazia iperdiretta è quella cosa che avviene sulla foga emotiva, che sceglie tra Barabba e Gesù, che plaude alla cosa più semplice. Una democrazia sana ed adulta è una democrazia che sceglie dei rappresentanti, li delega e poi li giudica per il loro operato e, nel caso, li manda a casa. Il problema dell’oggi è una democrazia infantile ed oligarchica che non è nè diretta nè adulta, ma che vede se stessa nelle mani di pochi e sempre degli stessi. Come accadeva ai tempi di Giolitti al tempo in cui Mussolini era il nuovo. Come lo era al tempo del CAF + PCI/PDS quando Berlusconi e Bossi erano il nuovo. Insomma, Grillo è il Gattopardo italico che torna e ritorna per cambiare tutto e non cambiare nulla.

Attenzione, ci tengo a dirlo. Grillo. Non chi – cacciato a pedate dal sistema partitico italiano – ha trovato cittadinanza solo nel Movimento 5 Stelle. Confondere Grillo e Casaleggio con le persone incazzate coi partiti sarebbe come dire che Mussolini non andava confuso con chi, allora, era incazzato con un sistema Italia burocratico, clientelare e corrotto. Tutto vero. Peccato che il fascismo, come il berlusconismo, come il bossismo sono diventati – poi- parte integrante e peggiore dello stesso sistema che erano nati per distruggere.

Vi prego: studiate la storia. Oggi la strada giusta è abbattere il dalemismo (metafora del tempo post-berlusconiano), senza cascare nel grillismo.

p.s. A me dei sondaggi non me ne frega niente. Un tempo anche Berlusconi ha avuto consenso diffuso. Anche Mussolini. Non starei dalla parte di Grillo nemmeno se avesse il 50 +1 dei consensi. Come non sto dalla parte di D’Alema. Cerco una via diversa tra una democrazia malata con le piaghe da decubito ed una democrazia diretta che tende alla dittatura. Desidero ed esigo una democrazia normale, basata sulla rappresentatività, sulla delega e sul giudizio dell’operato di chi serve lo Stato e sulla sua breve permanenza nei luoghi di governo in modo da non incancrenire le relazioni tra cittadini e stato. Punto.

Altre vie sono solo forme dittatoriali con sfumature diverse.

L’unica vera novità in politica…

…sarebbe la notizia che la dirigenza PD fa un passo indietro e manda avanti compattamente una nuova classe dirigente, che esiste.

Non è una novità Montezemolo che – con tutto l’affetto per gli amici che ci lavorano prima adeguatamente snobbati dal PD vedi Irene Tinagli eMarco Simoni, tanto per citarne due importanti – è stato parte integrante del sistema che ci ha condotto fin qui.

Non lo è Grillo che incarna quella rabbia ciclica contro i partiti che esiste da quando in Italia esistono i partiti, giudizio che non condanna i militanti del M5S, ma che li esorta a liberarsi di lui come ho più volte scritto.

Non lo saranno Bossi, Di Pietro e Berlusconi che lo sono stati, novità, e ora sono vecchi come il cucco e parte integrante del sistema che volevano distruggere.

La novità, lo chiarisco, sarebbe il passo indietro, non la nuova generazione.

Nel senso che qui non sto dicendo lasciate spazio a quelli dopo, perché loro governeranno meglio (anche se lo penso), ma sto dicendo lasciate perche’ altrimenti perdiamo o rischiamo di perdere, anche se oggi siete convinti di vincere e non vi siete accorti che avete bombardato macerie, quindi vinto contro nessuno. E se arriva qualcuno? E se invece di correre il rischio che arrivi qualcuno, quel qualcuno lo facciamo arrivare a noi togliendo possibilità agli altri di fare il colpo dell’ultimo minuto e spiazzarci come nel 1994?

Lasciare oggi, tutti insieme in un unico gesto (immaginate una bella conferenza stampa collettiva), sarebbe letto come un’ammissione di inadeguatezza e salverebbe generosamente l’idea che abbiamo di democrazia, fondata sui partiti (sani) e non sul populismo ciclico come gli ultimi 100 anni sembrano raccontarci dell’Italia e della sua democrazia infantile.

Continuo a pensare che se ogni 40 anni si alza uno a prendere a manganellate i partiti e’ perché da Giolitti a D’Alema i partiti si rinnovano solo a cannonate. 

Insomma dopo una conferenza stampa a 12 mesi dal voto in cui D’Alema, Veltroni, Finocchiaro, Bindi, Fioroni, Letta e tutta la bella compagnia ammettono gli errori e lasciano il testimone ad altri, proprio lì, davanti ai giornalisti, chi potrebbe offuscare questo atto? Quale uomo nuovo? Quale salvatore della Patria? Nessuno.

In queste ore i giovani del PDL provano a formattare il loro partito – capitanati da Andrea Di Sorte (mai sentito prima di ieri sera) – dopo la catastrofe. Scontata questa balcanizzazione (qualcuno definisce il PDL una Jugoslavia politica del dopo Tito non a caso) che segue il crollo di Berlusconi e quello elettorale che forse un pochino si parlano. Ma il PDL per 20 anni e’ stato solo Berlusconi. Non altro.

Dentro il PD lo sanno tutti che c’e’ una dirigenza diffusa, che ha ben amministrato le città, che da anni si parla, discute, insomma il PD esiste (nel bene e nel male).

Vogliamo aspettare di fare la fine del PDL o vogliamo salvare la nostra idea di democrazia, che solo se la esercitiamo dentro il partito puo’ crescere nel Paese?

Non voglio salvare il PD, a me del PD non me ne frega nulla. I partiti servono a fare bene per il Paese, se servono a fare bene a se stessi ha ragione Grillo e torniamo da capo a dodici. 

Una cosa e’ certa. Da qui ad un anno i pochi che non sono in coda per una poltrona per cooptazione (da cui la tipica tendenza a non disturbare il manovratore baffuto di molti giovinetti o ex giovinetti) devono tentare di fare avvenire le cose che dovevano avvenire due anni fa e che non hanno (abbiamo) avuto la forza di fare, forse anche per ingenuità.

Perché l’idea del “vota PD perché dentro ci sono anche Civati, Serracchiani, Scalfarotto e chi più ne ha più ne metta” tipo quelli che Civati ha citato qui, a me, insomma questa cosa comincia a starmi stretta. Ma voglio aggiungerci anche gli Orfin &Co. nel senso che è con loro che voglio confrontarmi.

E potremmo anche pensare di dire che se non cambiano le cose, ad uscire in massa potremmo essere noi. Questa potrebbe essere l’altra grande novità: il PD che vorrei, fuori dal PD.

Insomma io non voglio responsabilità di una sconfitta se stiamo seduti in panchina o di una vittoria con l’UDC che ingesserebbe il Paese per i prossimi 10 anni.  Non voglio prendermi una responsabilità senza nemmeno giocare. Grazie no.

Noi non eravamo qui per un posticino al caldo, ma volevamo collaborare a cambiare il Paese. Così stiamo collaborando alla sua devastazione culturale e politica.

Non volevamo fare le foglie di fico ad una generazione che è dagli anni di piombo che imperversa tra aperitivi, barche e nomine nei CDA e maneggi al Monte dei Paschi. E su. Anche perché non saremmo la prima generazione a diventare vecchi facendo i giovani. Vedi i vari Cuperlo, per citare il più eclatante, per dire. Soffocati nella culla e a fare i gregari di alto livello coi capelli bianchi.

Altrimenti grazie resto a fare l’ingegnere e a scrivere libri. Almeno conservo il fegato.

Ecco.

Una legge elettorale a misura di Casta.

A quanto pare Casini, Alfano e Bersani sono d’accordo sulla legge elettorale.

Una legge elettorale che: indica il premier, abbia una soglia di accesso, non obblighi a dichiarare le alleanze e consenta di esprimere le preferenze.

Sostanzialmente voi potete votare PD, non esprimere alcuna preferenza (poi ve lo spiego meglio), dare un voto al partito – che consente in base ad una quota proporzionale – l’ingresso in parlamento di quelli che beccano più preferenze, desiderare che il PD si allei con SeL e ritrovarlo con l’UDC, senza che il PD ve lo avesse preventivamente dichiarato.

Capiamoci meglio.

Esprimere la preferenza sembra che sia una cosa bellissima. E’ vero. Ma attenzione.

Cosa può (in termini elettorali) una persona onesta che sta nella stessa lista del barone locale che conta 22mila preferenze all’attivo (magari delle ultime regionali)? Nulla.

Scusa, Alicata e allora che cosa vuoi? I nominati dal partito che tanto sono comunque decisi dalle segreterie sulla base dei poteri interni al partito e quindi sempre dei baroni delle preferenze?

No.

Vorrei i collegi uninominali. Quella roba che devi candidare Mario Rossi contro Giuseppe Verdi e se Mario è un cretino la gente vota Giuseppe. Cioè una roba che costringe i partiti ad esprimere il meglio del territorio (o delle proprie file) perché si sceglie davvero la persona (ed anche la capacità del partito di schierare il meglio in quel dato territorio)  e nello stesso tempo non rende il partito prigioniero dei baroni delle preferenze.

Scusa Alicata, ma se il Partito in quel territorio schiera il barone in persona? L’altro partito deve schierare una persona onesta e magari uno del PD vota uno dell’altro schieramento se sa che è meglio di quello che il proprio partito propone.

Questo nell’ ottica sana che il Paese viene prima dei partiti. Chi vi mette il partito prima del Paese sbaglia.

Insomma i collegi uninominali mi sembrano il miglior modo di selezionare i migliori senza che debbano essere necessariamente i baroni mafiosi di cui ogni partito è infestato.

Vi comunico che con questa legge elettorale che Bersani Alfano e Casini vogliono fare passare, voi potreste votare PD e se non esprimete una preferenza contribuire a votare il barone locale e ritrovarvi Casini premier (e D’Alema presidente della repubblica) senza averlo nemmeno potuto decidere.

Mi piacerebbe moltissimo che il PD mettesse nelle liste tanta gente da poche preferenze, ma che fanno un partito globalmente forte e sano. Ma voi ci credete? Io no. Magari.

Vi dicono che gni partito può dichiarare il premier. Ma poi una volta che ha preso il 10% il partito che avete votato può allearsi con un altro partito e vi ritrovate il premier che non avreste scelto mai.

Vi dicono che questo metodo garantisce la massima rappresentatività. Io dico che garantisce la sòla, in stile Vanna Marchi. Voti una roba e te ne ritrovi un’altra. Quando capiremo che è meglio avere una rappresentatività meno definita , ma più responsabile e quindi giudicabile? (ho votato te, governi te, giudico te). Mi spiego: se un’idea pesa il 4% viene tagliata fuori. Non governa e non può fare cadere governi. La prossima volta però può prendere il 10% se gli altri hanno fatto male. Questo taglia fuori qualcuno nel breve periodo, ma consente di governare a chi vince e consente la netta individuazione delle responsabilità di governo e nessuno penserà mai che è un po’ colpa di tutti. Sarà sempre colpa (o merito) di chi governa.

Insomma il garantito da questa legge elettorale si chiama Pierferdinando Casini che una volta votato al solo 10%, può scegliere con chi andare e quindi dettare legge. Insomma potrebbe capitare che votare PD o PDL sia davvero la stessa cosa e a seconda della capacità di concertazione vi ritroviate comunque, in entrambi i casi, Casini premier.

Una legge elettorale così è una nebulosa politica, il nulla cosmico, il suicidio politico degli estremi moderati, inghiottiti dal grande centro estremista al grido di: “vogliamo morire tutti democristiani”.

Anche no.

p.s. Oggi Bersani ha lasciato intendere che se passa la riforma elettorale non c’è bisogno delle primarie. E chi decide i 20 nomi che devono stare in lista? Mettere 20 capo bastone in lista  senza ordine di elezione come nel sistema attuale è meno democratico? Non prendiamoci in giro, su.

(Nel frattempo Bersani smentisce che ci saranno le preferenze. )