Roma, Torino, Napoli e quella piccola parte di noi che dice che in fondo va bene cosi’.

Torino. Dopo due aerei con problemi tecnici il terzo era buono e siamo atterrati a Torino con 3 ore di ritardo. IL tassista mi ha invitato a mangiare la pizza con lui e altri tassisti (ho declinato solo per stanchezza) dopo una bella discussione su Torino andata piu’ o meno cosi’:
“Che ne dicono i tassisti della vittoria di Chiara Appendino?”
“Siamo contenti.”
“Ah, proprio cosi’?”
“Ho cinquanta anni e da che mi ricordo Torino e’ sempre stata amministrata dalla sinistra, era ora di cambiare.”
Mi prodigo in grandi complimenti sul fatto che Torino e’ una delle citta’ piu’ avanzate d’Italia in termini di servizi.
“Si’, lo so ma ci voleva un cambiamento e Fassino non lo era.”
Io silenzio. Lui continua: “Poi questa cosa della nomina di Profumo cosi’, all’ultimo.”
“uhm..si'”.
Ora sono davanti ad un’insalata in albergo e ricevo un sms da una delle mie ex il cui cognato e’ diventato sindaco in Emilia Romagna. E’ una brava persona, probabilmente l’avrei votato anche io. Metto insieme i pensieri di questi ultimi mesi, il dolore per come sono andate le cose a Roma, lo schifo che ho visto a Napoli che in confronto l’arroganza dell’ego smisurato di De Magistris era nulla, e provo a dirlo in modo chiaro come sono abituata: forse questa e’ un’opportunita’.
E’ un’opportunita’ per noi per capire che forse a sinistra dobbiamo promuovere il merito e non la fedelta’ (mi sembra di averlo gia’ detto in altri tempi, ehm) alla politica in termini di professione (se ci sono candidati che portano tante preferenze non e’ detto che facciano bene all’immagine del partito, finalmente il M5S ci ha dato questa lezione, portando candidati sconosciuti con poche preferenze, forti del “brand” del loro partito, scusate io lo chiamo cosi’, quindi possiamo asfaltare i baroni delle preferenze e prendere con questa mossa 20% in piu’ del nostro 20% che resiste, fidatevi).
E’ un’opportunita’ a Roma (e quanti di noi lo hanno pensato per mesi, anche facendo campagna elettorale senza risparmio, prendendosi anche dei vaffa e se noi lo abbiamo anche solo pensato, noi che siamo quelli border line, quanti elettori lo avranno “fatto” nell’urna) perche’ volenti o nolenti la Raggi continuera’ lo smantellamento dei vecchi poteri romani iniziato da Marino (il che e’ un bene, poi bisogna vedere cosa sa fare ovviamente una volta scardinato il vecchio sistema, ma io non saro’ mai dalla parte di chi cerchera’ di affossarla coi dossier e la foto dei maiali nella monnezza sul NYT, che si sappia).
E’ un’opportunita’ perche’ finalmente i ragazzi del M5S non potranno piu’ fare solo opposizione, ma dovranno confrontarsi con la gente e il consenso (un po’ lo stesso che accade al PD di Renzi passato da rottamatore a premier). Un’opportunita’ per capire, per molti matusalemme della politica (con tutto il rispetto non e’ un’offesa, ma impariamo dai paesi anglossassoni per favore, non puoi stare tutta la vita a vivere di politica, puoi farla, ma non camparci, non e’ sano) che anche basta.
p.s. su Fassino lo avevo detto nel 2010, quando la Leopolda si chiamava Prossima Fermata Italia e molti erano su un altro carro (purtroppo ora sono sul carro sbagliato…)
Suggerirei a Fassino molta autocritica sulla sua sconfitta, non andrei a cercarla fuori. A Napoli, Torino e Roma abbiamo perso perche’ non siamo stati all’altezza della citta’. Non sappiamo se gli altri lo saranno, ma i cittadini hanno deciso che noi non lo eravamo piu’. Forse abbiamo isolato i pezzi buoni in queste citta’? Come mai a Milano non ho sentito di isolamenti e abbiamo vinto e a Roma, Napoli e Torino non conto piu’ pezzi di gente del PD incazzata con il PD? Altrove dove eravamo alternativa o speranza, non c’e’ stato spazio per loro. Questa decisione va rispettata.
Questo significa che dove lasciamo spazio, la rabbia cresce. Lasciare spazio significa cacciare le persone.
Un esempio: mi hanno raccontato che qualche giorno fa in un Comitato del Si’ a Roma c’erano un paio di vecchissime conoscenze della politica romana in prima fila, chi li ha visti e’ scappato a gambe levate. Ecco eviterei di dire che i comitati del si’ saranno il nuovo partito. No, non lo sarete, quindi e’ inutile che vi affannate perche’ non avete nulla da fare nella vita e organizzate comitati del si’ in cerca di uno strapuntino…mi immagino le liste dell’Italicum con voi. Sai la corsa a votare M5S.
Mettiamoli in mano ai giovani i comitati del si’, delle casalinghe, degli studenti, di chi ha un lavoro (qualsiasi), ma vi si dedichera’ perche’ crede nella governabilita’ del Paese e non in cerca di uno strapuntino.
My two cents.

Roma. Mi avete fatto incazzare.

Non ne posso più. Lo confesso. Sarà che non abito a Roma da più di un anno e che giro l’Italia da sempre, ma non è tollerabile questo bombardamento ipocrita. Una specie di moda. Come un Moncler. Spara Gassman (a dire il vero l’unico che almeno ha mostrato un po’ di senso civico) arrivano Verdone, Muccino (che pare abbia postato foto del 2009 e del 2013 e sarebbe da chiedergli i danni)  e Proietti (anche lui propositivo va detto). Tutti romani. Tutti der cinema, tutti der salotto buono della Roma passata. E qui mi fermo non voglio infierire sulla Grande Bellezza. La grande Cultura del modello Roma consumata come una cicca di sigaretta evidentemente (io se fossi un intellettuale romano di quella generazione un po’ di autocritica indivanata me la farei)

Si sono svegliati con il New York Times? Si sono svegliati perché sui giornali non si parla di altro? O forse ad un certo punto è scattato l’effetto bullismo da branco? Come con il compagno di scuola brufoloso preso in giro dal bullo della classe, tutti cominciano a tirargli i cartoccetti per non sentirsi meno sfigati del bullo della classe.

Possibile che Muccino non si fosse accorto degli abusivi di cincaglierie a Fontana di Trevi ai tempi di Veltroni? Li vede solo ora?

Allora ho fatto un esercizio. Ho aperto google e ho cominciato a scrivere il nome di una città qualsiasi, fregandomene di che colore sia il sindaco, con la parola degrado accanto. Come filtro ovviamente ho messo gli ultimi 12 mesi. Non le troverete in prima pagina sui giornali nazionali e internazionali, ma questo vi dovrebbe fare pensare. Come se l’Italia fosse un buco nero inghiottito da Roma e non ci fosse niente altro. Che non significa che a Roma non ci sia un problema, ma non sarà che forse andrebbe fatto un bel discorso serio sul patto di stabilità, sul governo delle municipalizzate, sulle politiche di accoglienza e di contenimento (o gestione) del degrado sociale di TUTTE le città? Non sarà che abbiamo un problema in tutta Italia e vada fatto semplicemente un bel ragionamento politico complesso e collettivo invece di fare la sassaiola contro uno per non guardare il resto?

Ecco cosa viene fuori.

Cagliari.

Torino.

Padova.

Brescia.

Palermo.

Milano.

Napoli

Firenze.

Parma

Ah, dimenticavo Roma. Prima di Marino. E prima di Alemanno, giusto per non apparire di parte.

Potete continuare. Io ora ho sonno e vado a dormire.

A Torino voterei Daniele Viotti.

Se fossi a Torino voterei per le primarie Daniele Viotti (e chi se ne frega che hai votato Bersani, per dire). Lo farei insieme a Giovanni Minerba (patron del festival del cinema LGBT torinese) e Ilda Curti, la mia sindaca di Torino al prossimo turno (che bello vederti a Roma) e lo farei perché durante le primarie, Daniele, ha fatto un servizio al Paese: ha inchiodato tutti i leader a rispondere a domande chiare sui diritti civili aiutando tutti noi ad alzare (ancora un po’ più su) l’asticella del PD su quel tema. Ecco: Daniele è uno di quelli del #pdchevorrei e lo voterei.

Il giovane Coppola (candidato a sindaco di Torino) già da rottamare.

Gentile Coppola (assessore alla cultura della regione Piemonte nonché candidato sindaco per parte del centro destra),

è di questa sera (ieri per chi legge) la notizia che in qualità di assessore alla cultura della regione Piemonte lei ha revocato il patrocinio della Regione Piemonte al Torino Gay & Lesbian Film Festival, una manifestazione che è alla sua 26° edizione.

Ventiseianni, Coppola. Quando è nato il Festival lei aveva 11 anni. Lei è quasi un mio coetaneo.

E’, dovrebbe essere, uno di quelli che noi chiamiamo contemporanei. Di destra, ma contemporaneo.

Non solo.

Se ha ereditato il dicastero regionale della cultura dovrebbe avere i dati di partecipazione del festival e sapere molte cose. Sapere che la cultura costa, ma ha un impatto forte sulle città e su chi ne fruisce.

Sapere che la cultura unisce, incolla pezzi della società. Fa discutere e quindi fa crescere. Occupa spazi, illumina le notti, impedisce le spaccature, gli abbandoni.

Lei si sta candidando a sindaco in una città che, oltre ad essere rinata sotto il profilo culturale ed industriale, ha una fortissima comunità omosessuale. Se ne è accorto?

Dirà, lei, che ci sono omosessuali dappertutto.

E’ vero.

Ma la comunità torinese ha una particolarità che forse solo Bologna le può contendere. E’ più organizzata. Si muove. Si sposta più in massa che altrove. Insomma pesa.

Con questa mossa incauta – della quale in fondo da militante del PD dovrei essere felice – lei ha perso un bel pezzo di voti. Anche di parte della comunità che ricorda certe posizioni di Fassino non proprio felici e che ora, finalmente tornato in città, si è accorto di cosa è diventata Torino negli ultimi otto anni, complice un sindaco che invece se ne è accorto, ha amato quella comunità come ha amato tutto il resto della città e non l’ha fatta sentire esclusa.

Eppure, c’è una cosa che mi fa disperare. Ed è la bassezza a cui sta riducendo, anche lei mio coetaneo, questa campagna elettorale.

Lei farà come tutti i suoi colleghi. Sposterà il problema. Parleremo di chi è più dalla parte della famiglia non su quanti asili nido aprirà, ma misurando la contrarietà agli omosessuali. Non parleremo di strade, di sicurezza, di riqualificazione, di fabbrica. Ma di valori e morale.

Che tristezza, mio caro Coppola. Che tristezza per la politica italiana che anche un 37enne si pieghi a questo gioco perverso che inganna gli elettori.

Faccia una cosa.

Ridia il patrocinio, chieda scusa e consenta agli elettori di giudicare lei e Fassino su altri temi. Mi creda. Patrocinare una delle più importanti manifestazioni della città di Torino non dovrebbe essere terreno di scontro politico.

Piuttosto di competizione e se non lo capisce lei che ha 37 anni, lei è già vecchio e da rottamare.

Torino, Torino. Primarie a Torino.

Se proprio non volete votare Fassino (che vi capisco e non saprei come darvi torto se non fosse che pare farà il sostituto del Chiampa, anche se lo aspetto al varco sui diritti civili) lui (Gianguido Passoni) è l’uomo per voi.

Squadra Chiamparino e uomo di rinnovamento.

Passato comunista? E chi non ce l’ha…Fassino compreso. 😉

Qui la lettera di Gianguido ai cittadini ed alle cittadine di Torino.

p.s. il resto non è potabile, anche se si presenta bene. Attenzione ai piccoli berlusconi de noartri e quando dico de noartri intendo del PD ed intendo nomeecognome Gariglio.

p.s.2 la politica è schierarsi. non è appartenenza.

Perché la sinistra non è pronta e manca ancora tempo.

In questi giorni ho dato qualche testata contro i miei muri preferiti.

Ho girato e rigirato pezzi di partito, amministratori, leader, rottamatori, extraparlamentari. Tutto.

Verrà il tempo, ma non è oggi.

Ci sono due enormi questioni irrisolte e particolarmente annodate tra loro, che costringono la sinistra a morire di atomizzazione, atomizzazione i cui effluvi velenosi sono tutti quanti presenti nel PD.

I due nodi (annodati e confusi tra loro) sono i diritti sociali (lavoro) e quelli civili.

Tutti. Dalla sinistra DC a Rifondazione Comunista in realtà nel PD c’è tutto. API, Rifondazione e SeL potrebbero benissimo far parte del PD e non cambiare di una virgola tutto questo.

L’IDV è un partito di scontenti (a livello elettorale). Sfumerà e si distribuirà così come si è aggregato. Questione di tempo. Poco.

***

Diritti Sociali.

Leggo Vendola e mi vengono i brividi: “Per me avere un giudizio di neutralità o addirittura di consenso nei confronti del modello Marchionne significa esser subalterni a una trasformazione autoritaria del capitalismo mondiale e nazionale”.

Leggo Di Pietro e penso che insegue Vendola su questo terreno (sempre e comunque anti-PD): “Trattative ed accordi sindacali possono mettere in discussione tutto, ma non la Costituzione repubblicana. Quello è un confine che non si può oltrepassare – scrive Di Pietro nel suo blog – .  Oggi Maurizio Landini e la Fiom combattono contro l’instaurazione di un regime e noi dell’Idv combatteremo questa battaglia con loro”.

Qui il progetto di riforma proposto da un gruppo cospicuo di esponenti PD (mariniani e veltroniani e torinesi). Intraducibili le parole di Stefano Fassina (bersaniano): la via d’uscita possibile è “un accordo interconfederale sulle regole per la rappresentanza, la validazione vincolante per tutti, il diritto alla rappresentanza sindacale per le minoranze in dissenso, la partecipazione dei lavoratori e delle lavoratrici alla vita delle imprese. Auspichiamo che all’inizio dell’anno le disponibilità manifestate nei giorni scorsi da tutti i sindacati e da Confindustria portino a passi avanti concreti”.. Non lo capisco. Ma gli voglio bene.

Poi capirete perché cito le “correnti” PD. Ha un senso farlo. Stavolta.

La cosa che mi meraviglia di tutta questa storia è la caciara delle competenze e l’ideologizzazione del dibattito.

Non voglio entrare nel merito delle cose che sono cambiate in Fiat. Ho uno sguardo evidentemente di parte (come i torinesi del PD).

Però mi stupisce che non ci sia da parte di Vendola e Di Pietro alcuna critica al sindacato. Un appiattimento sulla FIOM fideistico. Nessuna riflessione sul fatto che fino ad oggi il sistema malato che permette di ammalarsi per finta, di assentarsi in massa sotto elezioni sia anche colpa di chi non sa gestire la fabbrica da dentro.

Fare l’operaio non è bello. Andare in CIG non è bello. Eppure stiamo parlando di fabbriche altamente meccanizzate ed ergonomiche, di diritti che, il resto della manodopera italiana, non ha. Addirittura tanti impiegati di piccole aziende non hanno gli stessi diritti e le stesse condizioni. C’è gente che lavora al freddo. Che non ha la carta in bagno. Che non può fare figli. Insomma stiamo montando un caso (dove ci sono comunque delle rivendicazioni giuste, come è ovvio!!!!!) per una parte di lavoratori che ha e conserverà diritti che in Italia NON ha più nessuno. E non sto dicendo affatto che allora i diritti devono diminuire. Mi sto chiedendo chi combatte per gli altri lavoratori. Nessuno. Credetemi. Lo vedo con i miei occhi ogni giorno.

Mi stupisce che nessuno dica – al tavolo delle trattative – che non se ne fa niente finché non interviene la politica.

Io questo direi. Al tavolo, invece di guardare Marchionne, se fossi i sindacati, guarderei il rappresentante del Governo e direi: “ehi tu…noi non firmiamo finché tu non fai questo e quello”.

Perché questo andrebbe detto ora (bene perciò il PD che interviene con un DDL). Manca un piano di investimenti per consentire il re-impiego delle forze e rendere più competitivo chi lavora affinché non sia carne da macello.  Manca un controllo dei medici che falsificano certificati. Manca un piano strategico sulla mobilità in Italia che sappia quante macchine ancora e di che tipo e con quale carburante. Cioé la Fiat sta nel XXI secolo, la FIOM nel XX e la politica non esiste proprio. Sono tutti in errore, in ogni caso. Fiat non andrà nel nuovo millennio senza FIOM e tutte e due saranno lì, bloccate, se la politica non prende in mano il timone. Manca la riforma fiscale. Manca il welfare. Questo accordo industriale non è rivoluzionario. E’ una toppa nella falla Italia. Anche raffazzonata alla meglio.

Il centro sinistra NON è pronto. Non è d’accordo. I due partiti (+ la terza via che non sta né da una parte né dall’altra) sulla questione lavoro, in realtà, vedono un pezzo di PD più vicino al terzo polo e un pezzo di PD più vicino a IDV e SeL.

Diritti civili.

Inutile dilungarsi oltre su questo tema svolto su questo blog da anni. Un pezzo di PD è più vicino al terzo polo e non ha nessuna intenzione di considerare importante la modernizzazione in questo campo. Non è priorità ed, anzi, fa paura. Per assurdo qui si rimischiano le carte. Veltroni è più avanzato di Bersani in questo. Ma scrive il documento dei 75 con Fioroni. Marino è più vicino a Vendola ed IDV, ma sui diritti sociali ha idee diverse (vedere sopra).

***

La sinistra risulta così essere divisa in 3 grandi parti.

1) una parte più vicina al centro cattolico liberista che vede i diritti civili con il fumo negli occhi e tende ad avere una posizione troppo filo-confindustriale. Praticamente imbrigliata tra la Chiesa e l’impresa. Per carità.

2) una parte che si definisce di sinistra e si oppone alla modernizzazione non accorgendosi che tutto intorno si sta tornando davvero alla servitù della gleba e che questo NON riguarda le multinazionali, ma le piccole e medie imprese e ha un impatto pesantissimo soprattutto sulle nuove generazioni. Una parte che non comprende che non si tratta di una resa cambiare le cose, ma si tratta di avere coraggio. Una parte che si incazzerà leggendo questo post, ma NON lo leggerà attentamente e dirà: tu stai con i padroni. Questa parte è a favore dei diritti civili. Almeno a parole. Bisogna vedere se questo aspetto sarà comunque sacrificabile per altre cose. Al tempo dei DICO nessuno si strappò i capelli degli amici e compagni.

3) Una parte senza patria. Ancora. Quel parte che vuole un paese moderno, ma vuole un forte welfare. Vuole attrarre investimenti esteri, aiutare le imprese, ma difendere i lavoratori e creare per loro le migliori condizioni di vita e contrattuali (esempio stupidissimo: asili pubblici o libri di scuola gratuiti o mutui agevolati al di sotto di certi redditi- che sono provvedimenti politici – sarebbero più redditizi degli aumenti di stipendio di cui si sta parlando in maniera ridicola in questi giorni). Una parte che vuole ridare freschezza al paese anche liberandolo dai lacci “clericali”. Un paese dove i gay si sposano è un paese più felice. Un paese dove l’energia scorre e la creatività produce. Un Paese dove si lavora di più e meglio (ampiamente dimostrato in tutti i paesi dove accade). Una parte che non farà sconti e per la quale i diritti civili non sono elargizioni di beneficenza. Sono olio per rilanciare un Paese. Chi non lo comprende o è in mala fede o vada studiare.

Io sto con la terza parte.

Si diceva proprio ieri che in realtà il “mio” partito NON esiste. O meglio…è frammentato un po’ ovunque nel centro sinistra e sogno che un giorno nasca. Il PD doveva essere questo.

Oggi è un po’ lontano da quello spirito (il PD), ma resteremo per farlo diventare così. Mi ripeto – lo so – quando dico che guarda caso…Torino è stato il laboratorio di quello spirito che ha sposato in maniera indissolubile entrambi i campi dello sviluppo. Chiamparino ha fatto solo due errori: non avere raccontato al Paese cosa faceva a Torino (chi non è stato a Torino non può saperlo e questo, purtroppo, è un limite tutto sabaudo) e, oggi, appoggiare Fassino che in realtà è uno di cui al punto 1.

Su Fiat Chiamparino e Fassino sembrano avere la stessa idea. In realtà a Fassino manca tutto il paracadute intorno.

E’ complicato. E ci sarebbero ancora tante cose da dire. L’unica cosa che vi chiedo è di riflettere. Mettetevi il cappello dell’operaio. Poi mettetevi quello dell’imprenditore. Poi quello del governo. Ci vuole senso di responsabilità per distinguere un ricatto da un accordo, una necessità da un’angheria. Proviamoci.

Però buon 2011.

Questa destra ossessionata dai gay. Vogliamo ricominciare a parlare di asili nido?

Il primo pensiero di Cota va al Gay Pride di Torino.
Pare che toglierà il patrocinio della Regione. Ho in mente che sarà un Pride ancora più partecipato dell’anno scorso e consiglierei un passaggio colorato in Val di Susa…magari la sera prima.
Esempio di unità e compostezza dove l’anno scorso accanto a Francone (che per fortuna non è qui a vedere questo scempio) c’erano gli operai di Mirafiori in uno dei primi esperimenti di trasversalità da diritti civili e sociali. Ma si sa, i Pride, non sono luoghi frequentati dalla destra xenofoba ed omofoba dalle molte facce, se non di nascosto, o di notte. Togliere il Patrocinio al Pride è atto simbolico di prepotenza, genuflessione al pensiero unico clerical-manzoliniano, espresso su Rai Uno da un pò rete ufficiale della discriminazione politica e civile. Atto sciagurato che tradisce la cosiddetta maturità della Lega di Terza Generazione (che non è roba di ferro celodurista). Quella Lega che si vorrebbe cambiata dagli editti che potete ricordare qui:
http://www.leganord.org/ilmovimento/manifesti2006.asp (se andate più indietro è sempre peggio)

Stupidità. Poca furbizia che non è all’altezza delle destre europee che quando vanno al potere si guardano bene dal togliere i diritti civili acquisiti. Non li hanno concessi loro, stanno lì, non se ne parli più ed ora vi facciamo vedere cosa facciamo per i lavoratori e l’economia eccetera eccetera.

Tutta questa ossessione esteriorizzata ha due nature: copre una omofobia riflessiva e soprattutto nasconde l’incapacità di mettere in campo una vera politica per la famiglia.

Ne abbiamo avuto prova in questa campagna elettorale io e Luca Sappino di SeL invitati in TV contro due dello schieramento opposto che alla parola famiglia della giornalista sono saltati a fare gesti apotropaici contro gli omosessuali affrettandosi a dare la giusta definizione enciclopedica (e biblica) della Sacra Famiglia. Con molto candore io e Sappino siamo tornati a parlare di asili nido, parità di genere e lavoro dicendo loro che non avevamo nessuna voglia di parlare di omosessuali. O non solo.

E’ qui che si manifesta la nostra incapacità di risposta politica, qui che un segretario dovrebbe reagire e tuonare difendendo la comunità LGBT torinese che si è battuta (unica in Italia e compatta…forse per questo viene subito epurata dai favori della Regione? Eppure Cota era stato chiamato dalla comunità…) per la vittoria di una candidata per cui valeva la pena. Noi dobbiamo smascherare la loro inettitudine, il loro marketing rovesciato (parlare contro per apparire pro).

Lì si sono incuneati e molti poi “fanno” o semplicemente “ci sono” e sono “toccabili”. Noi non ribattiamo. Non ci possono toccare nel senso di mano sul braccio. E ultimamente lì, in quei luoghi dove stravincono, come dicevamo stamane, non ci siamo proprio.

Bresso e il premio miglior campagna elettorale (per ora)

Per deformazione professionale (e politica, ovvio) non potevo non stupirmi positivamente per questo progetto, che ovviamente matura all’ombra della Mole. Soprattutto è la manifestazione dell’esistenza di un progetto intorno ad una candidatura, un progetto che dentro un “nome” spersonalizza e crea valore.

Che è il concetto di sinistra delle preferenze (per come la vedo io). Cioé il singolo che incarna un collettivo, non un singolo che cannibalizza una massa.

Come, in modo più casareccio, mi piaceva la campagna elettorale di Paolo Masini fatta senza manifesti e vendendo fiori per beneficenza.

Fate caso: niente simboli di partito, niente nomi che trascinano se non quello di una governatrice che ha fatto bene ed è amata e riesce a scatenare una vivacità culturale e creativa che qui, ahem, a Roma, ci sogniamo. Un modo per fare politica come la si faceva una volta, usando la tecnologia sì, ma toccando e usando (e ri-usando) cose e corpi, costruendo una comunità, anche di intenti, intorno ad un progetto politico.

Si chiama partecipazione e non chiedere il voto. Si chiama autofinanziamento etico. E c’è una bella differenza. Abissale.

Pianeti alieni, resistenza, libertà e…

Quarantanni fa, nel 1969,  secondo quando tramandatoci dalle immagini della tv, un uomo metteva un piede sulla Luna. Un contatto fisico che ha ridimensionato persino il senso dell’uomo e di cui, secondo me, non siamo ancora del tutto consapevoli. Lo spostamento di un baricentro, il valico delle colonne d’Ercole riproiettato nel XX secolo, il cosiddetto secolo breve, ricordato per avere appiattito le distanze, persino nelle guerre, coinvolgendo quasi tutto il mondo in ben due guerre mondiali. Il secolo delle ideologie e del loro crollo miserevole.

Eppure in Italia chi “comanda” ha i piedi piantati lì. Profondi. Persino noi, siamo figli di quel tempo, abbiamo effigi e mitologie al collo o nelle cassapanche (ebbene, confesso: la mia bandiera dell’URSS). Così segnati da quegli eventi, anche solo incisi oralmente nelle nostre orecchie, che ci hanno re-ideologizzato nel linguaggio, nei comportamenti, nelle rivendicazioni in un gioco di cristallizzazione che ha inondato persino i nostri atteggiamenti privati. Noi “riconosciamo” comportamenti, riconosciamo modi di vestire, di parlare, di rispondere agl stimoli, di reagire e di controreagire come familiari o estranei.  Riconosciamo modalità di comportamento nell’esercizio di una micro-morale personale, laddove una Morale non esiste più (per fortuna). Eppure la ricostruzione di un individualismo ambientale, microfamiliare, microgruppale ci porta ad essere conservativi. Cerchiamo protezione nella similitudine. Lo facciamo tutti. A destra e a sinistra, nel rapporto di coppie e con gli amici. Resistenti ad ogni cambiamento. Noi ci siamo ricostruiti tante piccole personali ideologie: sociali, vestiarie, relazionali, politiche.

Una distonia dal nostro “conosciuto”, l’unico tracciato attraverso il quale siamo capaci di giudicare, viene immediatamente individuata come nemica. E questo non accade solo in politica o nell’esercizio delle funzioni sociali e macroscopiche. Accade nelle relazioni umane. In quelle amicali. Nelle dinamiche di coppia. Fuggiamo dalla diversità – dal non conosciuto, dal non abituale – terrorizzati di non essere in grado di comprenderla, di penetrarla. Nella paura del rifiuto, della delusione e del fallimento continuiamo a percorrere le strade conosciute andando incontro a delusioni formalmente già note e prevedibili perché conosciamo la forma del dolore (che sia personale o sociale) e sappiamo di averla già sopportata nelle sue dimensioni e nel suo peso.

L’immaginario muore. L’imprevedibilità viene respinta.

Così ieri siamo cascati dalla sedia quando il movimento LGBTQI ha dovuto applaudire Mara Carfagna (che comunque giudicheremo nei fatti).

Così oggi leggiamo questo comunicato stampa:

“In occasione della manifestazione di domani Il Popolo di Roma (centro sociale di destra molto vicino ad Alemanno, ndr) vuole dare il proprio e sentito benvenuto a tutto il movimento LGBTQI nella Capitale. In linea ed in continuazione con l’incontro avuto a Gens Romana vogliamo ribadire il nostro sostegno a chi lotta contro ogni forma di violenza e discriminazione. Idee di ispirazione totalitarista non devono trovare spazio nella Roma della partecipazione e del libero confronto”. Queste le parole di Giuliano Castellino, portavoce de Il Popolo di Roma che ha aggiunto:“Una nostra delegazione, all’indomani della manifestazione, vorrebbe incontrare gli organizzatori dell’evento e consegnare un dono simbolico da parte del nostro movimento”.

E ci chiediamo basiti cosa stia accadendo, ci domandiamo se non stia avvenendo lo scioglimento dei ghiacci, se dai seminterrati di una nuova generazione non sia possibile una tregua, un dialogo, un incontro. E che forse davvero, un minimo di questo cambiamento deve passare per forza anche dal ricambio generazionale in tutti i luoghi (beh, noi de IMille lo diciamo da tempo). Che non significa omologazione reciproca. Significa acchiappare l’Italia con il buon senso e non in un eterno dissidio tra la “parte giusta” contro la “parte sbagliata” esercitato da entrambe le parti convinte di essere il “giusto”, portarla fuori dall’isolamento a cui da 15 anni sembriamo condannati.

Il tutto mentre il vecchio premier decadente e sessualmente impazzito, dà ancora del “comunista” alla Corte Costituzionale.

Sapremo cogliere quando sta accadendo? Sapremo guardare oltre ai nostri micro-recinti? E sapremo accompagnare il cambiamento estendendolo anche a tutte le altre realtà valoriali che compongono una discriminazione? Le donne. I migranti. Le diversità sociali. Le disabilità?

Sapremo trasformare un’energia di cambiamento e di superamento in democrazia dell’alternanza in cui ci siano valori inalienabili e idee discutibili?

La nostra generazione, saprà farlo, o ci rinchiuderemo nel ghetto combattendo un nemico e non le cause della crisi, l’emarginazione, la discriminazione? Quale grandissima sfida ci attende, finalmente? E ci sta attendendo o è ancora troppo presto e scontiamo ancora un senso di inadeguatezza nei confronti di quelli prima di noi, quelli che “governano” di cui ricopiamo linguaggi e atteggiamenti? Sapremo dare un colore, un’impronta al nostro tempo o lo vivremo come se fosse ancora il tempo di qualcun altro?

NOTA PERSONALE.

Voglio dedicare questa distonia del secolo che si manifesta oggi e che mi ha coinvolto nel percorso di una strada nuova, a tratti inagibile, irta di ostacoli, a te. Sì, proprio a te, che hai insegnato a me la diversità vera, quella fuori dal mio schema ricostruito. Che hai insegnato a me a camminare senza paracadute. A rischiare. A provare l’altra strada. A cambiare marcia all’improvviso, in una sorta di lunaticità di comportamento che sembra non avere nulla di razionale, invece è ricerca, è coraggio di cambiare idea, di cambiare ritmo, di ascoltare il respiro del mondo. Di accettare la debolezza quando anche fosse quella del pensiero.  Che la strada segnata non è detto che vada percorsa per forza. Ho camminato in un campo incolto in modo infastidito e presuntuoso. Poi ne ho scoperto la varietà, lo stimolo., la ricchezza.

Il pensiero goffo ed ironico, una roba che contraddice e sgretola i pensieri forti, i pensieri unici. Insomma. Il pensiero libero che si fa domande, cerca risposte. A volte non le trova nemmeno e non se le trova tanto per trovarle come se fosse una religione in cui fare andare a posto tutte le tessere. Che forse a volte a non voler ascoltare, a non voler sentire, a non cambiare marcia si va a sbattere contro un muro…e i muri, si sa, sono quelle cose tipiche del secolo scorso. Forse mi hai accompagnato senza volerlo nel nuovo millennio.

Che potere per un solo bottone, eh?

[…]Qualche tipo di struttura drammatica.  Punti di svolta. A noi tutti piace sentirne parlare. Punti su un grafico. Conversioni improvvise. Sbandate storiche. Qualche tipo di struttura drammatica. Ma una vita non si svela in quel modo si muove a ciclo continuo con tornanti messi assieme alla meglio
attorno al rigonfiarsi di un pezzo di collina verso un altro un’isola verso un’altra. […]
(Adrienne Rich, dalla sez. Inscriptions di ‘The Dark Fields of the Repubblic’)