Arrivedercivati. 

A me che Giuseppe Civati e forse molti “civatiani” escano dal PD dispiace moltissimo e lo considero un fallimento anche personale. Negli anni ho condiviso con Pippo molte battaglie e spesso ho appoggiato candidati civatiani se mi sembravano meglio di altri perchè per me la barriera correntizia non conta e non deve sopprimere il merito. Non ho condiviso di Pippo il modo di fare opposizione interna (spesso alleandosi con una parte con cui non lo riconoscevo affatto affine) come mi ha stupito la mancanza di riflessione fuori dalle vecchie dinamiche su alcuni temi (lavoro e legge elettorale per dirne due) per cui malgrado tutto trovo coerente questa uscita. Però il PD sarà sempre la vostra casa perchè in quella casa non deve esserci spazio per gli inquisiti, per i disonesti, per i poltronisti, per i talebani del pensiero unico del capo che sia Bersani o Renzi, per quelli delle preferenze a pacchi e delle tessere finte. Questa casa non può aver fatto uscire voi e non loro. So che faremo ancora tante battaglie insieme e che il destino di chi ha a cuore il bene del paese non può non unirsi di nuovo. tante delle idee di Civati restano qui, a casa sua, non se ne vanno con lui e lo aspetteranno. 

Due righe affettuose a Pippo Civati.

Caro Giuseppe Civati secondo me (alla luce del voto in Direzione che ha formalmente approvato questo passaggio) la fiducia la devi votare e non devi andare via dal partito. Ci sono molte questioni che tutti noi dobbiamo affrontare in modo maturo per gli anni a venire e abbiamo bisogno della forza e dell’intelligenza di tutti proprio per non lasciare questi anni nelle mani di chi sarà pronto a scendere dal carro (come accaduto con Bersani) alla prima difficoltà di Renzi. Proprio le persone più critiche oggi hanno l’enorme responsabilità di restare, di determinare la rinascita del partito che non può essere congelato in un momento che dobbiamo interpretare visto che è la prima volta che capita che il segretario va a fare il premier. Il PD sopravviverà a Renzi e noi abbiamo il dovere di saper gestire con maturità e rispetto della democrazia questo momento difficile. Continuare a dire di non essere d’accordo e poi votare a favore per la fiducia annulla gli effetti delle intelligenze e smonta le passioni. Chiediamo piuttosto delle cose, facciamole diventare maggioranza come i temi dei diritti civili. Sai che ho votato Renzi, ma sai anche che su alcune cose sono più d’accordo con te che con lui e non ho nessun problema a dirlo (o con l’area Franceschini tanto per dirla tutta). Ma i percorsi politici non vanno fatti sulle montagne russe, se noi poi alla gente viene mal di testa. Serve una linea e siccome per me le correnti non esistono e quindi per me siamo pezzi dello stesso partito con idee spesso simili mi permetto di intervenire su cose che considero del PD e non della tua corrente. Pensaci.

Le primarie PD viste dai diritti.

gayMi fa sorridere questo pezzo dell’amico Aurelio Mancuso in cui afferma di votare Cuperlo perchè quest’ ultimo è personalmente a favore dei matrimoni egualitari, ma – perché c’è un ma, ovviamente – ha una posizione politica che si “ferma” a quella di un istituto equivalente.

Mi fa sorridere perché alla fine le posizioni di Cuperlo e Renzi sul tema sono assolutamente identiche.

Con una piccola differenza: la posizione di Cuperlo è figlia di un compromesso politico e Cuperlo incarna quel pezzo di dirigenza ex DS che non ha mai tirato la corda con gli ex DC perché l’alleanza politica veniva prima dei diritti e, se me lo consentite, è un metodo che racconta il fallimento della classe dirigente passata, di cui Cuperlo, volente o nolente ha fatto parte. Ribassare continuamente il dibattito su questo come su altri temi ha liquefatto consenso politico e ha creato l’immagine di un PD che non prende mai una decisione per paura. Non bastano le opinioni personali, serve azione politica profonda, formazione, dibattito. Invece per anni questo tema è stato relegato nelle soffitte, tirato fuori solo quando nel resto d’Europa infuriava l’evoluzione e liquidato con documenti lunghi, inutili e incomprensibili, palesemente scritti per stare in equilibrio a spese della comunità LGBT. E questo malgrado 2 segretari su 3 provenissero dagli ex DS.

Quella di Renzi è invece una posizione che manifesta un’evoluzione (tutt’ora in corso) e che assomiglia davvero al percorso che sullo stesso tema ha fatto Obama che, lo ricordiamo, prima del primo mandato si era dichiarato contrario ai matrimoni gay tranne poi diventare il testimone mondiale dell’eguaglianza. Banalmente quella di Renzi è un’opinione personale che però diventa anche pratica politica. Oltrettutto per avere detto di essere favorevole ad un istituto equivalente al matrimonio (e ad aprire il dibattito sul matrimonio, quindi non affermando alcuna prelusione), ma soprattutto per essere favorevole alla stepchildadoption, Renzi in questi giorni è stato attaccato sul suo profilo di FB. Insomma tutto gli conveniva tranne dire come la pensava sul tema, soprattutto se dall’altra parte c’era un Civati molto più chiaro e netto sul tema. Insomma se ragionassimo con i criteri della vecchia politica, Renzi ha fatto una stupidaggine che gli poteva far perdere quel consenso da quella parte che, secondo la vulgata comune, è il suo bacino elettorale. Per fortuna, a quanto pare, non ragiona così e pensa che ciò che è giusto per lui sia anche da trasformare in pratica politica. Poi, ovviamente, lo vedremo alla prova dei fatti. Per ora sappiamo che a Firenze c’è il registro delle unioni civili, che le case popolari sono contendibili anche dalle coppie dello stesso sesso e che a Publiacque danno i congedi matrimoniali anche alle coppie gay. Da un paio di giorni sappiamo anche (voi, io lo so da tempo) che una mamma lesbica lavora nel suo staff.

Ricordiamo a tutti poi, che la stessa evoluzione politica (non personale) “lenta” l’hanno avuta sia Vendola all’indomani dela posizione di Grillo e Civati con il lancio dei referendum a cui ho partecipato personalmente e all’indomani di un’assemblea in cui insieme ad Ivan Scalfarotto proponemmo come ODG la questione matrimonio, questione che non arrivò nemmeno ai voti perché la presidente Bindi non lo consentì, facendo un grave errore politico.

Proprio per questo, se dovessi votare basandomi solo sulla questione diritti LGBT e con la foto scattata oggi dei 3 candidati (immaginandoli cioè immobili), Civati sarebbe la mia prima scelta e Cuperlo l’ultima.

Voterò Renzi perché questo non è il mio unico parametro di riferimento, ma soprattutto sapendo che Renzi può evolvere ancora (e lo farà). Su questo insieme a molti altri continuerò a lavorare e non arretreremo di un millimetro (se no che facciamo politica a fare?) fino a che non ci sarà una benedetta legge che estenda il matrimonio, l’adozione e ciò che serve a fare dei cittadini LGBT dei cittadini uguali davanti alla legge.

Il PD e il suicidio di sopravvivenza.

Dopo quasi un anno dalle primarie PD, quando l’ apparato di partito (in cui gli EX DC hanno preso il peggio degli EX PCI e viceversa) decise di fare l’operazione “suicidio di sopravvivenza”, siamo al punto di partenza, come se fossimo al Gioco dell’Oca (ahimé poco giuliva) e nulla fosse accaduto.

Ricapitolando brevemente per i fanatici del tema: l’apparato capì che non si poteva impedire la sfida con Renzi, ma bisognava fare in modo che quella sfida fosse impari. Il mantra era: “sfidarlo, ma vincerlo”, un po’ come le elezioni ai tempi delle dittature. La forza organizzativa sui territori non doveva essere travolta dal voto popolare dell’elettorato e di quelli disposti a votare Renzi alle primarie per poi votarlo alle elezioni. Un piccolo punto su questo ultimo tema: votare Renzi alle primarie era per quel pezzo di Paese una cambiale in bianco verso una nuova idea di centro sinistra. Non erano cammelli berlusconiani che votavano Renzi alle primarie e poi votavano Berlusconi (che comunque non si sarebbe mai candidato in quel caso).

No, no. Volevano proprio votare Renzi e lo avrebbero votato con tutto Vendola e Fassina nella coalizione, quindi il “pericolo deriva a destra” non c’era e lo sapeva anche il famoso sanpietrino di piazza del Popolo (il mio riferimento alla stregua della casalinga di Voghera). Ci saremmo trovati Renzi premier con tutto il centro sinistra a governare con lui e quindi una coalizione costretta a dialogare per governare: cose meravigliose che ora fanno Letta e Alfano invece che Renzi e Vendola. Un po’ come succede nel labour inglese dove trotskisti e liberali convivono dialetticamente (e qui sono d’accordo con Cuperlo che dice che in questo partito si è persa la passione per il conflitto). Contenti voi.

C’è stata più violenza, più aggressività contro Renzi durante le primarie che contro Berlusconi in venti anni, inclusa l’ultima tornata elettorale.

La verità era ed è che la dirigenza diffusa di questo partito non vuole consegnare il partito a chiunque non sia allineato alle dinastie in campo dal secolo scorso. Si passa il testimone su principio familistico, non si fanno primarie aperte che facciano evolvere il partito sulla base della realtà. Il principio è l’obbedienza e l’epurazione dei corpi estranei. Si accettano ingressi dal carattere mite e con forti competenze tecniche ma che non pretendano di modificare gli equilibri. Il partito non è uno strumento, è il fine ultimo di sopravvivenza, è il luogo che consente di nominare in Rai, nelle aziende di Stato e nelle partecipate.

Se noi avessimo consapevolezza che i partiti sono davvero lo strumento costituzionale attraverso cui si dipana la democrazia non staremmo perdendo tutto questo tempo a demolire la grande intuizione veltroniana (che mancava di gambe anche per responsabilità del suo stesso ideatore) buttando ore a discutere di regole invece che di quale politica del lavoro dobbiamo mettere in campo per la generazione fantasma.

Questo partito è fatto di centinaia di migliaia di militanti (che sono comunque sempre di meno) che non meritano questo tappo. Non meritano essi stessi di avere paura del cambiamento. Non meritano ancora una volta che le regole del prossimo congresso siano il secondo suicidio di sopravvivenza nel giro di 12 mesi: contenere Renzi e il suo consenso, per tenersi il partito. E il bello è che ogni volta che facciamo le primarie, invece, questo partito (con tutti i difetti delle primarie che qualcuno prova sempre a deviare e che solo le primarie aperte impediscono che accada) diventa più bello e fa andare quasi sempre i migliori. Insomma ce l’abbiamo davanti agli occhi che quando chiamiamo il nostro popolo la diatriba sulle primarie aperte è una stupidaggine megagalattica.

Franceschini dice che dobbiamo separare le due cariche perché non siamo più in tempi di bipolarismo. E’ sbagliato. Siamo noi con la nostra debolezza, con questa vigliaccheria politica che abbiamo generato il terzo polo (Grillo). E invece di andare a riprendere la nostra gente, la lasciamo fuori. Una resa che meriterebbe la pensione, lo dico con rispetto.

Separare le due cariche, l’abbiamo già scritto in molti, significa aumentare la distanza tra Partito e Paese. Affermare che ci sia bisogno di un segretario dedicato al partito è come dire che il segretario deve organizzare un esercito pronto ad obbedire e non un partito che senta il battito del Paese.

Chiudere le primarie perché “il partito è nostro, quindi decidiamo noi chi lo guida” è svuotare di senso l’idea di partito moderno. Poteva andare bene quando il PCI aveva centinaia di migliaia di iscritti e quegli iscritti erano corpo sociale e quindi rappresentativi della società, ora non va più bene: sarebbe interessante avere la profilazione degli iscritti PD. Quanti impiegati statali, quanti assunti nelle partecipate, quante partite iva, quanti imprenditori, quanti studenti, quante casalinghe, quanti pensionati, quanti falegnami, quanti sindacalisti. Secondo me scopriremmo che ci mancano pezzi enormi di Paese e forse scopriremmo che – quei pezzi – è necessario coinvolgerli in modelli partecipativi che abbiamo, funzionano, non si capisce perché eliminarli ogni volta che fa comodo come se la nostra identità di PD fosse sempre in discussione, una roba da rimasticare ogni tanto a seconda di come gira il vento.

La paura di perdere il partito è più grande di quella di perdere le elezioni. Io sto seriamente cominciando a pensare che questo partito è diventato più piccolo e stretto di quello che abbiamo lasciato fuori e che se non si riesce a riaprire le porte, forse bisognerà sbattere una porta e andarsene dove già ci aspetta il Paese.

Fossi in Renzi ci penserei seriamente.

La forma partito nel III millennio.

Pippo Civati riporta una cosa detta da Barca, attualmente ministro (forse il migliore del Governo Monti), uno che in molti di noi vorrebbero sindaco a Roma. Barca dice:

«Non rimpiango la classe politica dell’ultima Prima Repubblica. Venti anni fa, con Tangentopoli, quei partiti si sono suicidati e si è attribuita alla forma-partito la responsabilità esclusiva del disastro. Ma dopo cosa abbiamo avuto? Da un lato il leaderismo in un partito che è stata un’organizzazione di selezionati, secondo i criteri gerarchici di un’azienda. Sul versante opposto, nel campo del centrosinistra, si è incespicato a lungo e alla fine si è concluso che il partito non esisteva più. Si è inseguito il modello americano. Il partito liquido, senza considerare che in una società dove tutto è liquido senza un qualche collante le fondamenta crollano. Oppure il cesarismo alla Blair che ha spezzato altri fili di democrazia: l’idea per cui i partiti servono solo a selezionare ogni cinque anni un premier e diciotto ministri e poi devono sparire…».

Barca viene dalla tradizione comunista, io la penso come lui: i partiti devono essere luoghi reali, non liquidi, non a tempo per selezionare e sparire. Ma, aggiungo, non devono essere nemmeno asfittici e chiusi come sono stati in questi venti anni.

Tra la liquidità americana e la solidità sovietica esiste una terza via, europea di partecipazione…oggi il PD è malato di sovietismo e affetto da americanismo…deve guarire da tutte e due le malattie e diventare un luogo permeabile, trasparente che non sia di proprietà di nessuno, ma sia davvero, un Bene Comune.

L’unica vera novità in politica…

…sarebbe la notizia che la dirigenza PD fa un passo indietro e manda avanti compattamente una nuova classe dirigente, che esiste.

Non è una novità Montezemolo che – con tutto l’affetto per gli amici che ci lavorano prima adeguatamente snobbati dal PD vedi Irene Tinagli eMarco Simoni, tanto per citarne due importanti – è stato parte integrante del sistema che ci ha condotto fin qui.

Non lo è Grillo che incarna quella rabbia ciclica contro i partiti che esiste da quando in Italia esistono i partiti, giudizio che non condanna i militanti del M5S, ma che li esorta a liberarsi di lui come ho più volte scritto.

Non lo saranno Bossi, Di Pietro e Berlusconi che lo sono stati, novità, e ora sono vecchi come il cucco e parte integrante del sistema che volevano distruggere.

La novità, lo chiarisco, sarebbe il passo indietro, non la nuova generazione.

Nel senso che qui non sto dicendo lasciate spazio a quelli dopo, perché loro governeranno meglio (anche se lo penso), ma sto dicendo lasciate perche’ altrimenti perdiamo o rischiamo di perdere, anche se oggi siete convinti di vincere e non vi siete accorti che avete bombardato macerie, quindi vinto contro nessuno. E se arriva qualcuno? E se invece di correre il rischio che arrivi qualcuno, quel qualcuno lo facciamo arrivare a noi togliendo possibilità agli altri di fare il colpo dell’ultimo minuto e spiazzarci come nel 1994?

Lasciare oggi, tutti insieme in un unico gesto (immaginate una bella conferenza stampa collettiva), sarebbe letto come un’ammissione di inadeguatezza e salverebbe generosamente l’idea che abbiamo di democrazia, fondata sui partiti (sani) e non sul populismo ciclico come gli ultimi 100 anni sembrano raccontarci dell’Italia e della sua democrazia infantile.

Continuo a pensare che se ogni 40 anni si alza uno a prendere a manganellate i partiti e’ perché da Giolitti a D’Alema i partiti si rinnovano solo a cannonate. 

Insomma dopo una conferenza stampa a 12 mesi dal voto in cui D’Alema, Veltroni, Finocchiaro, Bindi, Fioroni, Letta e tutta la bella compagnia ammettono gli errori e lasciano il testimone ad altri, proprio lì, davanti ai giornalisti, chi potrebbe offuscare questo atto? Quale uomo nuovo? Quale salvatore della Patria? Nessuno.

In queste ore i giovani del PDL provano a formattare il loro partito – capitanati da Andrea Di Sorte (mai sentito prima di ieri sera) – dopo la catastrofe. Scontata questa balcanizzazione (qualcuno definisce il PDL una Jugoslavia politica del dopo Tito non a caso) che segue il crollo di Berlusconi e quello elettorale che forse un pochino si parlano. Ma il PDL per 20 anni e’ stato solo Berlusconi. Non altro.

Dentro il PD lo sanno tutti che c’e’ una dirigenza diffusa, che ha ben amministrato le città, che da anni si parla, discute, insomma il PD esiste (nel bene e nel male).

Vogliamo aspettare di fare la fine del PDL o vogliamo salvare la nostra idea di democrazia, che solo se la esercitiamo dentro il partito puo’ crescere nel Paese?

Non voglio salvare il PD, a me del PD non me ne frega nulla. I partiti servono a fare bene per il Paese, se servono a fare bene a se stessi ha ragione Grillo e torniamo da capo a dodici. 

Una cosa e’ certa. Da qui ad un anno i pochi che non sono in coda per una poltrona per cooptazione (da cui la tipica tendenza a non disturbare il manovratore baffuto di molti giovinetti o ex giovinetti) devono tentare di fare avvenire le cose che dovevano avvenire due anni fa e che non hanno (abbiamo) avuto la forza di fare, forse anche per ingenuità.

Perché l’idea del “vota PD perché dentro ci sono anche Civati, Serracchiani, Scalfarotto e chi più ne ha più ne metta” tipo quelli che Civati ha citato qui, a me, insomma questa cosa comincia a starmi stretta. Ma voglio aggiungerci anche gli Orfin &Co. nel senso che è con loro che voglio confrontarmi.

E potremmo anche pensare di dire che se non cambiano le cose, ad uscire in massa potremmo essere noi. Questa potrebbe essere l’altra grande novità: il PD che vorrei, fuori dal PD.

Insomma io non voglio responsabilità di una sconfitta se stiamo seduti in panchina o di una vittoria con l’UDC che ingesserebbe il Paese per i prossimi 10 anni.  Non voglio prendermi una responsabilità senza nemmeno giocare. Grazie no.

Noi non eravamo qui per un posticino al caldo, ma volevamo collaborare a cambiare il Paese. Così stiamo collaborando alla sua devastazione culturale e politica.

Non volevamo fare le foglie di fico ad una generazione che è dagli anni di piombo che imperversa tra aperitivi, barche e nomine nei CDA e maneggi al Monte dei Paschi. E su. Anche perché non saremmo la prima generazione a diventare vecchi facendo i giovani. Vedi i vari Cuperlo, per citare il più eclatante, per dire. Soffocati nella culla e a fare i gregari di alto livello coi capelli bianchi.

Altrimenti grazie resto a fare l’ingegnere e a scrivere libri. Almeno conservo il fegato.

Ecco.

Dalla Regione Lombardia un po’ di omofobia.

Più che stupirmi del becero La Russa, il racconto di Civati sulla discussione sulle dichiarazioni omofobe del La Russa fratello in Consiglio Regionale della Lombardia mi spinge a farvi notare che dopo tutte le cose che ha detto e che oggi ha ripetuto tutto il PDL e la Lega compattamente hanno votato contro la mozione di sfiducia. Come sempre mi chiedo:ma se avesse detto che gli ebrei sono una razza inferiore sarebbe andata così?

Sulla manifestazione della Fiom

Mi piacciono le cose che ha scritto Civati, che alla manifestazione c’è andato.

Io e Pippo non la pensiamo esattamente in modo identico, sulle questioni del lavoro, ma le cose che ha scritto mi hanno “accolto” anche nella mia diversità di pensiero e rappresentano una piattaforma sui cui discutere.

Non ho approvato la scelta di unire la battaglia dei lavoratori metalmeccanici con la battaglia dei NO Tav, l’ho trovata un errore politico che mi fa sospettare che ci sia troppa politica e poco sindacato dietro alcune prese di posizione (la stessa sensazione, a volte, ce l’ho dall’altra parte, quindi il tutto potrebbe anche essere giustificato). In ogni caso per chi la condivideva sarebbe stato più giusto andarci, magari non salendo sul palco. Io penso che il PD, comunque ed in ogni caso, non possa astenersi da stare mezzo a quel popolo. Non appiattendosi, ma ascoltando e toccandolo con mano, cosa difficile da fare negli uffici delle direzioni.

Mi piace quando Pippo dice:

“Per quanto mi riguarda, e lo ripeto, sono convinto che il contratto unico alla Boeri-Garibaldi sia un’ottima soluzione per l’ingresso nel mondo del lavoro, che l’articolo 18 non debba essere modificato, che l’estensione di un sussidio universale di disoccupazione sia necessario (anche con una revisione di alcuni strumenti eccessivamente estensivi della cassa integrazione), che la riforma delle pensioni andasse (e vada) accompagnata da un fondo per i giovani che in questi anni hanno ‘contribuito’ pochissimo alla propria pensione (lo ha detto oggi Landini, lo abbiamo detto, qualche mese fa, in quella piazza di Bologna, in cui c’erano le lavoratrici dell’Omsa e Pietro Modiano, per dire). Che il reddito minimo di cittadinanza in Italia non sia attuale, come scrivevo giorni fa, ma che sia una di quelle cose che l’Europa non ci chiede ma, quantomeno, ci suggerisce come scenario per i prossimi anni: e il reddito non sono solo ‘soldi’, ma anche servizi e opportunità, per capirci. Che le relazioni sindacali debbano cambiare, ma che ci vuole la politica per farlo. E che la politica, per farlo, se ne debba occupare. Che la contrattazione decentrata può servire moltissimo, ma che le linee di un contratto nazionale non possano essere tracciate con la matita. Che non si discriminano i lavoratori, infine, sulla base delle loro scelte sindacali. Mai.”

Discuterei l’ultima frase perché non so quanto sia discriminazione o piuttosto braccio di ferro destinato comunque ad ottenere qualcosa: da una parte più efficienza, dall’altra se posso consigliare più salario.

E un’altra frase mi piace molto e forse riassume finalmente la mia posizione personale: “Sapendo che le risposte che la Fiom si dà possono anche non convincere, ma le domande ci stanno tutte.”

Per concludere: non mi auguro un PD schiacciato sulle posizione della Fiom e nemmeno su quelle di Marchionne o Confindustria. Mi auguro una politica che sappia dare risposte in due ambiti ben precisi che tra loro si parlano, ma sono ben distinti: il dentro la fabbrica (dove i diritti seguono la legge italiana, ma dove venga consentito fare impresa in modo competitivo) e fuori dalla fabbrica (dove chi esce deve trovare formazione, welfare forte fatto di servizi e di reddito minimo e di sussidio alla disoccupazione). Le due cose non funzionano mai da sole e sono l’olio del funzionamento di un paese che sta dentro un sistema capitalista. Il giusto equilibrio tra quel dentro e quel fuori diviene l’essenza stessa della democrazia in cui tutti possono abitare: imprese e lavoratori.

p.s. inutile ribadire che mentre noi osserviamo appassionati il braccio di ferro tra Fiom e Marchionne su un contratto che è quasi identico a quello già in vigore da anni, ad altri lavoratori succede,per esempio, questo che secondo me(se è vero) è roba da codice penale, manco da sindacato, e mi domando perché non stiamo facendo le barricate là fuori. E di posti come quello dai call center ai campi di pomodori,passando per la sartorie seminterrate ce ne sono centinaia. Il problema di quei lavoratori è che magari sono più dei metalmeccanici (razza in estinzione di cui mi onoro di fare parte) ma non sono organizzati. Non sono un potere contrattuale. Stiamo attenti, noi politici, a pesare le cose da fare solo su questo. Questo sì che è pericoloso.

Crisi di Mercato Elettorale. Dal Think-Tank al Doing-Tank.

Mi si perdoni la metafora, ma la differenza (non) salta agli occhi come tra il bufalo e la locomotiva.

L’astensionismo che ha colpito come un machete l’ultima tornata elettorale ha tutte le caratteristiche di un crollo del mercato elettorale. Quando crolla un mercato, di qualsiasi prodotto in regime di forte competizione, il calo delle vendite colpisce tutti i brand. Non solo uno, né il leader di mercato. Tutti, ma proprio tutti. La torta da mangiare è più piccola, la competizione aumenta e per assurdo assottiglia le differenze tra politiche commerciali e di comunicazione.

Ci sono due motivi per fare crollare un mercato: 1) nasce un settore di business che manda per aria il primo (la vendita dei calessi quando nacquero le macchine?), 2)  il mercato è saturo, 3) non ci sono soldi.

Nel caso elettorale il mercato è saturo. Non c’è novità da comprare. Tutto ciò che viene detto e promesso è già acquisito. Già digerito. Già avuto.

A questo punto ci sono due settori che vengono investiti delle responsabilità dirette. Il marketing. E le vendite.

Si chiede al marketing di produrre una comunicazione efficace, emotiva e convincere più persone a comprare sempre lo stesso prodotto.

Si chiede al settore Vendite di essere più aggressivo. Si svendono i prodotti. Ci si inventano formule di finanziamento più vantaggiose possibili per vendere ora e subito.

Solitamente si fa l’errore di non andare all’ufficio progettazione.

Già.

Perché ci vuole troppo tempo per pensare un prodotto nuovo, innovativo, tecnologico, in linea con ciò che i clienti potrebbero acquistare. Si chiama prendersi un rischio.

Non è un caso che i settori in cui lo sviluppo del prodotto e la sua messa in produzione richiedono tempi molto lunghi vivano di cicli. Come il mercato dell’auto.

Berlusconi utilizza molto bene il settore marketing ed il settore vendite. E’ il suo sacrosanto lavoro. E’ un maestro in questo. Ha gli strumenti, certo. Ma li sa usare meglio di chiunque altro.

Ciò che noi non abbiamo ancora compreso (ma che accade in molti luoghi) è che un sistema fondato sulla comunicazione di un prodotto vecchio e stantio o l’aggressività commerciale può essere sminato in due modi.

1) un sistema immediato: la vendita porta a porta.  Il contatto fisico con l’elettore. Facciamogli vedere e toccare il nostro pro – dotto – gramma. Per fare questo dobbiamo assumere e motivare una quantità di persone. Di solito è un lavoro faticoso. Lo si fa dai 20 ai 30 anni e poi si passa alla scrivania. A noi, PD, ci manca quella fetta. Non la entusiasmiamo. La deludiamo. Non le parliamo. Per il 2011 deve essere quella la strategia. La Lega fa questo. E’ di due giorni fa che un gruppo di leghisti ha dormito con degli operai in una fabbrica. Capite? Nel mentre che governano e non fanno nulla per la crisi però sono lì. Presenti.

2) alla lunga. Si mette in cantiere un nuovo prodotto. E stavolta abbiamo 3 anni per progettarlo, metterlo in produzione (in Fabbrica) con un buon controllo qualità ed averlo sul mercato più o meno pronto per il 2013.

La posta, le bacheche di FB e i cellulari dei leader della rivolta generazionale invocata dai cittadini sono stracolmi di messaggi sullo stesso tono. A volte sono le stesse persone che scrivono a Civati, a Serracchiani, a Concia, a Gozi, a Scalfarotto, a Puppato. Qualcuno in questi giorni scrive persino a me. Chiedendo un impulso di progettazione. Un okkupazione interna che porti alla vittoria e alla riacquisizione della leadership (di mercato).

Posso testimoniare che ciò che accade in un Partito in questi momenti è simile a ciò che accade in un’azienda alle prese con il calo del mercato. Si ha paura di rischiare e di rinnovare la gamma prodotti non sapendo se funzionerà davvero quel prodotto nuovo. Si fanno sconti incredibili per aumentare i volumi (la metafora politica è per esempio seguire l’avversario sul suo terreno, per esempio abdicando alla laicità o a prendere posizioni nette e coraggiose). Ci si inventano modi di comunicare che non arrivano, però, al cuore del problema. La campagna di comunicazione del PD, per esempio, è stata penosa. In poche parole un’altra Italia era fallimentare. Intanto caccerei chi l’ha fatta come avviene in tutte le aziende quando si toppa per esempio (e questo era il caso) il lancio di un nuovo prodotto (Bersani….anche se non era una macchinetta cool da segmento A – che so l’IQ di Toyota o la 500 -, ma un facelifting di un segmento D  – che so una Croma o una Avensis).

Ecco. Ci aspetta per il 2011 una battaglia porta a porta. Arruoliamo la forza politica. Quattro temi. Una buona comunicazione. Gazebo ovunque. Guerrilla, in termine tecnico. Bersani in maniche di camicia che gira l’Italia. Mandi Civati e Serracchiani e Concia e Gozi e Scalfarotto e Puppato a fare i dibattiti in tv. E’ meglio. Intanto gli italiani vedono facce nuove perché anche forse delle nostre non ne possono più e quindi hanno perso capacità di ascolto. Impariamo dagli avversari. Polverini fu creatura di Ballarò. Sono le segreterie di partito a dettare gli ospiti tv. Ecco questa è una cosa da risolvere e che dobbiamo chiedere a gran voce. Ma…badate bene. NON per avere il posto in tivvù. Ma per dare un servizio al Partito ed al Paese. Diciamo che questa dovrebbe essere un’idea di Bersani che detta qui sembra di parte, ma spero si sia capita la buona fede.

Per il 2013 apriamo una fabbrica in ogni città. Non deve essere un network organizzato e centralizzato. A Roma ho visto che c’è già Città Democratica, ad Arcore è nata la Banda Larga nel 2009, ad Udine sono certa non mancherà all’appello, a Torino ci sono adusi e continueranno. Altri luoghi simili nasceranno, qualcuno invoca il trasversalismo, a Bari ne esiste una che ha già vinto. Ci vogliono ingegneri di “visioni”, ma anche operai che si facciano, poi, corpi in mezzo ai corpi. Dobbiamo assumere forze nuove. Entusiasmare per creare la viralità della politica.  Su questa cosa del 2013 non voglio azzardare nulla. Nel senso che mi sembra che sia i cittadini che futuri leader abbiano avuto tutti la stessa idea, quindi bisogna solo trovare il mondo di incontrarsi e trasformare il continuo think-tank, in ciò che a me, personalmente, piace assai di più: il doing-tank.

p.s. e nessuno si senta escluso. Che qui non esiste il “fate”, ma il “famo”.