Roma, Torino, Napoli e quella piccola parte di noi che dice che in fondo va bene cosi’.

Torino. Dopo due aerei con problemi tecnici il terzo era buono e siamo atterrati a Torino con 3 ore di ritardo. IL tassista mi ha invitato a mangiare la pizza con lui e altri tassisti (ho declinato solo per stanchezza) dopo una bella discussione su Torino andata piu’ o meno cosi’:
“Che ne dicono i tassisti della vittoria di Chiara Appendino?”
“Siamo contenti.”
“Ah, proprio cosi’?”
“Ho cinquanta anni e da che mi ricordo Torino e’ sempre stata amministrata dalla sinistra, era ora di cambiare.”
Mi prodigo in grandi complimenti sul fatto che Torino e’ una delle citta’ piu’ avanzate d’Italia in termini di servizi.
“Si’, lo so ma ci voleva un cambiamento e Fassino non lo era.”
Io silenzio. Lui continua: “Poi questa cosa della nomina di Profumo cosi’, all’ultimo.”
“uhm..si'”.
Ora sono davanti ad un’insalata in albergo e ricevo un sms da una delle mie ex il cui cognato e’ diventato sindaco in Emilia Romagna. E’ una brava persona, probabilmente l’avrei votato anche io. Metto insieme i pensieri di questi ultimi mesi, il dolore per come sono andate le cose a Roma, lo schifo che ho visto a Napoli che in confronto l’arroganza dell’ego smisurato di De Magistris era nulla, e provo a dirlo in modo chiaro come sono abituata: forse questa e’ un’opportunita’.
E’ un’opportunita’ per noi per capire che forse a sinistra dobbiamo promuovere il merito e non la fedelta’ (mi sembra di averlo gia’ detto in altri tempi, ehm) alla politica in termini di professione (se ci sono candidati che portano tante preferenze non e’ detto che facciano bene all’immagine del partito, finalmente il M5S ci ha dato questa lezione, portando candidati sconosciuti con poche preferenze, forti del “brand” del loro partito, scusate io lo chiamo cosi’, quindi possiamo asfaltare i baroni delle preferenze e prendere con questa mossa 20% in piu’ del nostro 20% che resiste, fidatevi).
E’ un’opportunita’ a Roma (e quanti di noi lo hanno pensato per mesi, anche facendo campagna elettorale senza risparmio, prendendosi anche dei vaffa e se noi lo abbiamo anche solo pensato, noi che siamo quelli border line, quanti elettori lo avranno “fatto” nell’urna) perche’ volenti o nolenti la Raggi continuera’ lo smantellamento dei vecchi poteri romani iniziato da Marino (il che e’ un bene, poi bisogna vedere cosa sa fare ovviamente una volta scardinato il vecchio sistema, ma io non saro’ mai dalla parte di chi cerchera’ di affossarla coi dossier e la foto dei maiali nella monnezza sul NYT, che si sappia).
E’ un’opportunita’ perche’ finalmente i ragazzi del M5S non potranno piu’ fare solo opposizione, ma dovranno confrontarsi con la gente e il consenso (un po’ lo stesso che accade al PD di Renzi passato da rottamatore a premier). Un’opportunita’ per capire, per molti matusalemme della politica (con tutto il rispetto non e’ un’offesa, ma impariamo dai paesi anglossassoni per favore, non puoi stare tutta la vita a vivere di politica, puoi farla, ma non camparci, non e’ sano) che anche basta.
p.s. su Fassino lo avevo detto nel 2010, quando la Leopolda si chiamava Prossima Fermata Italia e molti erano su un altro carro (purtroppo ora sono sul carro sbagliato…)
Suggerirei a Fassino molta autocritica sulla sua sconfitta, non andrei a cercarla fuori. A Napoli, Torino e Roma abbiamo perso perche’ non siamo stati all’altezza della citta’. Non sappiamo se gli altri lo saranno, ma i cittadini hanno deciso che noi non lo eravamo piu’. Forse abbiamo isolato i pezzi buoni in queste citta’? Come mai a Milano non ho sentito di isolamenti e abbiamo vinto e a Roma, Napoli e Torino non conto piu’ pezzi di gente del PD incazzata con il PD? Altrove dove eravamo alternativa o speranza, non c’e’ stato spazio per loro. Questa decisione va rispettata.
Questo significa che dove lasciamo spazio, la rabbia cresce. Lasciare spazio significa cacciare le persone.
Un esempio: mi hanno raccontato che qualche giorno fa in un Comitato del Si’ a Roma c’erano un paio di vecchissime conoscenze della politica romana in prima fila, chi li ha visti e’ scappato a gambe levate. Ecco eviterei di dire che i comitati del si’ saranno il nuovo partito. No, non lo sarete, quindi e’ inutile che vi affannate perche’ non avete nulla da fare nella vita e organizzate comitati del si’ in cerca di uno strapuntino…mi immagino le liste dell’Italicum con voi. Sai la corsa a votare M5S.
Mettiamoli in mano ai giovani i comitati del si’, delle casalinghe, degli studenti, di chi ha un lavoro (qualsiasi), ma vi si dedichera’ perche’ crede nella governabilita’ del Paese e non in cerca di uno strapuntino.
My two cents.

Perchè il 5 io sarò in piazza.

Sarò in piazza perchè le associazioni non hanno convocato una manifestazione contro la legge approvata al Senato, ma una manifestazione che ricorda a tutti che poteva andare meglio e che non ci accontenteremo fino alla piena uguaglianza. Come ho sempre detto io voglio il matrimonio e sarò pienamente felice solo quando saremo tutti uguali davanti alla legge. Sarò in piazza come vado ai Pride, in mezzo alla gente.

Abbiamo fatto fare al Paese un salto mortale carpiato. Portato l’Italia a parlare di noi ovunque, ad interrogarsi sulla nostra capacità di essere genitori.Ho sentito persone esprimere dubbi sulla Gestazione per Altri e dire nello stesso tempo: “però io ho cambiato idea sulle adozioni, io a voi adesso un figlio ve lo darei, prima di tutta questa discussione no.” Ho sentito persone capire cosa è la GPA e sapere che è cosa diversa dall’utero in affitto. Ho visto persone capire quanto questa battaglia era importante anche per loro, per un’Italia migliore. Ho sentito giornalisti dirmi che non avevano mai ricevuto così tanti commenti per una trasmissione, alla faccia del “non importa a nessuno”.

Ho visto senatori nelle nostre case, ho visto in questi giorni dopo l’approvazione della legge genitori gay e cosiddetti cattodem scriversi su facebook, perchè comunque si sono generati dei legami, e non lo dico per democristianitudine (che Dio mi fulmini), ma perchè tutti questi mesi sono patrimonio culturale e di crescita a prescindere dalla legge e tutto questo servirà. Tutto questo è stato arare la terra. Tirare via i sassi dalla vigna.

So perfettamente che il 5 ci sarà qualcuno che sarà arrabbiato con questo Governo e con Renzi. Pazienza, ci sta.

Vi dico anche un’altra cosa: che in questa battaglia è servito tutto. E’ servito chi ha lavorato per anni per trascinare il Partito Democratico e se volete possiamo discutere se siamo stati bravi o no, se potevamo arrivarci prima, se abbiamo sbagliato qualcosa (certo non lo abbiamo fatto per avere qualcosa in cambio, potete non crederci, c’è solo una persona che può testimoniare quanto a volte ci siamo incazzati, abbiamo protestato che non si facevano visibili passi avanti, quanti toni duri sono stati usati ogni volta che rimandavamo il momento di discutere in aula). E’ servito chi ha protestato fino all’ultimo perchè invece della Cirinnà voleva il matrimonio, chi ha pestato i piedi per lo stralcio della stepchild. Le critiche e gli insulti anche se dolorosi, sono serviti e serviranno ancora: per aiutarmi a sostenere il nostro asintoto, per ricordarmi ogni giorno dove dobbiamo arrivare, per ricordarmi che finché non saremo lì non saremo contenti e romperemo le palle ogni giorno, senza mai cedere perchè si continui a camminare e a fare passi avanti. Ora dobbiamo lavorare per una legge sulle adozioni in questa legislatura e per fare una battaglia programmatica affinché il PD il prima possibile contenga nel suo programma il matrimonio egualitario, questa legge  e il dibattito nel Paese ci aiuteranno perchè renderanno passare alla forma più facile una volta avuta la sostanza.

Qualche giorno fa ho lanciato l’idea di un comitato che ci tenga tutti insieme e che divenga il luogo di una piattaforma comune e semplicissima: l’estensione del matrimonio egualitario. Secondo me dobbiamo farlo e tutti insieme. Litigheremo ancora. Discuteremo ancora di come arrivarci, lo so. Ma so che adesso è più facile stare tutti insieme.

La rottamazione si è fermata fuori dal GRA.

Comunque quello che vale per Bassolino vale per Rutelli. Possono candidarsi e rimettere in campo il loro vecchio progetto (quello degli anni 90 quando le città avevano i soldi – Napoli ebbe quelli del G7 e Roma quelli del Giubileo) le loro relazioni con i poteri della città (a Roma costruttori, imprenditori della monnezza).

Possiamo dire che quel progetto è stato un fallimento, basta vedere come sono ridotte Roma e Napoli, che sono stati molto bravi a mettere polvere sotto il tappeto che abbiamo ereditato. Ma la verità è che l’unica cosa da fare è proporre candidature alternative, progetto collettivo nuovo, e sicuramente qualcuno che ami più Roma e Napoli di se stesso e faccia le cose che vanno fatte senza nascondere nulla, chiamando i romani e i napoletani ad una grande stagione di rinascita che non passi per salotti, monsignori, costruttori, editori di giornali, imprenditori della monnezza. Ecco quel film lo abbiamo già visto e ha solo generato mostri.

La rottamazione è ancora ferma fuori dal raccordo anulare.

Il sud e la monodimensione narrativa.

Il Sud. Vorrei dire tante cose, soprattutto su Napoli senza apparire di parte che è quello che temo di più.

Quindi quello che scrivo qui non ha nulla a che fare con Renzi e questo governo (e quindi eviterò di elencare i luoghi dove l’industria del sud sta ripartendo o si è allargata), ma ha a che fare con le mie origini siciliane, con quello che ho vissuto a Roma prima che tutti parlassero di “Mafia Capitale” e con questi 14 mesi a Napoli.

Nessuno nega che al sud ci siano dei problemi infrastrutturali e, se me lo consentite da meridionale e quindi senza razzismo di sorta, esiste sicuramente un problema di vasta corruzione politica che si manifesta nelle preferenze elettorali autentica piaga regionale contro cui bisognerebbe combattere ogni giorno (ah come ci mancano gli intellettuali impegnati tutti i giorni) e non con l’editoriale del giorno delle elezioni.

Sicuramente la riforma del titolo V e il federalismo bislacco dato in pasto dalla sinistra all’allora Lega di Bossi per paura elettorale ha generato ancora più danni al sud. Penso alla gestione della sanità per dirne solo una. Una che pesa solo il 90% dei bilanci regionali per capirci. E per chi ha provato la sanità pubblica veneta la differenza è evidentissima. Nessuno si presenta in ospedale senza farsi annunciare da qualche amico che a sua volta conosce un primario. Anche se il sud è pieno di eccellenze sanitarie di cui nessuno parla se non ci si trova per caso.

Ma il sud non è riducibile alle sole mafie. Bisognerebbe togliere alcune regioni del sud dal sud o decidere cosa è sud, dove si ferma il sud. Se Molise e Abruzzo e Basilicata sono sud per esempio. O la Sardegna.

Non solo il sud non è riconducibile alle sole mafie, ma bisognerebbe provare a raccontarlo in modo complesso, accettando, per esempio di parlarne bene ogni tanto. Di Napoli mi stupisce la voglia di lavorare delle persone. Io questo non me lo aspettavo per esempio, perché avevo un pregiudizio. Chissà che mi pensavo dopo avere letto anni e anni di pezzi sul fancazzismo del sud sulle leggi 104 e sui finti invalidi. Mi stupisce la diffusa eccellenza che riesce a liberarsi in una città il cui racconto è così potente che Napoli la conosci solo se ci vivi qualche mese, altrimenti di Napoli crederai sempre ciò che scrivono i giornali: spari, camorra, grida per stendere lenzuola e in motorino senza casco. Certo che Napoli è anche questo. Ma Napoli è anche una tradizione culturale di altissimo livello diffusa in modo molto più capillare che a Roma dove la cultura nasce e muore nei salotti del potere, senza branchie, destinata a morire sugli usci delle case-attico del giornalista editorialista che può farti vivere o morire. Napoli sta liberando energie imprenditoriali e giovanili che solo chi ha la pazienza di stare a guardare come un’ospite può  vedere. E parlo di tutto, persino del parrucchiere tornato da Londra, vissuto a San Giovanni in mezzo alle siringhe che ha aperto a Napoli invece che a Londra. Ecco forse solo quelli come me possono cogliere tutto questo fervore, questa voglia di riscatto diffusa. Insisto sulla parola “diffuso”. E’ quello che sta accadendo sotto i miei occhi, un intenso e immenso brulicare che in una città in cui i partiti sono quasi totalmente assenti dalla vita quotidiana (chi viene da Roma percepisce la differenza) sta invadendo luoghi e strade. Esiste chi riqualifica quartieri e genera luoghi di arte e cinema. Chi riunisce le tradizioni enogastronomiche e ti fa scoprire che l’Italia non è solo la Toscana. Chef iperstellati che conducono ristoranti nel mezzo della terra dei fuochi. Chi diffonde cultura attraverso lo sport ed è un secolo che lo fa, metodicamente. Chi strappa dal degrado piccoli pezzi di città.

C’è da fare a Napoli? Tantissimo. E ci sono anche tantissime opportunità. Ad ogni tavolo a cui mi sono seduta ho sentito il discorso della fuga o del restare, è vero. Ma ho sempre percepito una cosa che a Roma non trovavo: la voglia di ascoltare, la curiosità. Ecco il sud è curioso. Non è assuefatto come il nord o la città del potere. Esiste una forma ingenua della conoscenza che è anche profondamente legata ad un complesso d’inferiorità misto ad orgoglio. Ti ascolto forestiero o giovane con un’idea e poi così potrò parlarti di noi ed aprirti una porta. Parlare con le persone a Napoli non è mai scontato, è sempre un viaggio nuovo.

Il sud. Certo che al sud bisogna mettere le mani. Ma non si può pensare che un governo in tre anni faccia saltare schemi secolari. E’ impossibile. Possibile che nessuno ricorda la storia del sud? Le terre ai soldati delle guerre puniche. Il latifondo. Le dominazioni e la quasi totale assenza di Medioevo se si esclude Palermo ai tempi di Federico II. E’ impossibile scindere il sud dalla sua storia come è impossibile pensare che uno Stato possa fare una strada in 37 giorni con i soldi di un privato. Comprensibile, suggestivo, ma impossibile perché lo Stato deve fare una gara d’appalto trasparente e deve garantire la strada per decenni (e se questo in passato non è stato fatto è sbagliato e chi ha sbagliato deve pagare). E tanto per farvi capire come la penso sono tra quelli che in Sicilia cominciano ad augurarsi la vittoria del M5S unico evento che forse può portare all’azzeramento totale dell’attuale classe dirigente che forse i partiti non riescono a fare.

Io voglio pensare che il sud si può salvare con l’aiuto del governo, sì, ma con l’aiuto di se stesso perché la diffusione di alcuni aspetti tipici del sud hanno a che fare con la classe politica diffusa e quindi (quindi!) con la popolazione del sud. Il sud si salva se decide di salvarsi, se si innesca un circolo virtuoso per cui Sud e Stato cominciano a darsi e a dare. Ecco dobbiamo trovare quella chiave e quella chiave si trova raccontando la complessità del sud e non condannandolo ad una narrazione superficiale, monodimensionale che lo schiaccia contro un destino ineluttabile, il tempo di un editoriale estivo e via. Tocca raccontarlo profondamente accettando tutto. Anche ciò che sta nascendo. Anche chi è restato e resiste. Anche chi ci vive bene, lavora duramente e non chiede favori a nessuno. Anche le trattative del governo che lasciano aperte fabbriche a Caserta. Anche chi ha deciso di costruire scatolette con le ruote nel più profondo sud da distribuire in tutta Europa e non solo.

E dopo 14 mesi se qualcuno vuole farsi un giro di Napoli con me io lo accompagno. Umilmente e con curiosità, lo accompagno.

Arrivedercivati. 

A me che Giuseppe Civati e forse molti “civatiani” escano dal PD dispiace moltissimo e lo considero un fallimento anche personale. Negli anni ho condiviso con Pippo molte battaglie e spesso ho appoggiato candidati civatiani se mi sembravano meglio di altri perchè per me la barriera correntizia non conta e non deve sopprimere il merito. Non ho condiviso di Pippo il modo di fare opposizione interna (spesso alleandosi con una parte con cui non lo riconoscevo affatto affine) come mi ha stupito la mancanza di riflessione fuori dalle vecchie dinamiche su alcuni temi (lavoro e legge elettorale per dirne due) per cui malgrado tutto trovo coerente questa uscita. Però il PD sarà sempre la vostra casa perchè in quella casa non deve esserci spazio per gli inquisiti, per i disonesti, per i poltronisti, per i talebani del pensiero unico del capo che sia Bersani o Renzi, per quelli delle preferenze a pacchi e delle tessere finte. Questa casa non può aver fatto uscire voi e non loro. So che faremo ancora tante battaglie insieme e che il destino di chi ha a cuore il bene del paese non può non unirsi di nuovo. tante delle idee di Civati restano qui, a casa sua, non se ne vanno con lui e lo aspetteranno. 

Il discorso maschilista di Mattarella e l’assenza (o precarietà) di una cultura dei diritti civili.

Don08Le parole pronunciate ieri dal presidente Mattarella in occasione della festa della donna rappresentano una buona scusa per riflettere sullo stato dell’arte culturale più che politico dei diritti civili in Italia.

Dice il presidente della Repubblica all’inizio del suo discorso:

[…] Rivolgo un saluto a tutte le signore qui presenti così numerose e tutte le donne italiane, molte delle quali ci seguono in diretta televisiva. Sono, siete, milioni di professioniste, di docenti, di casalinghe, di lavoratrici dipendenti, di imprenditrici, di disoccupate, di madri, di nonne e di ragazze. Donne consapevoli, che badano all’essenziale e a ciò che è bello, spesso alla difficile ricerca di una compatibilità tra il lavoro e la famiglia. Su di voi grava il peso maggiore della crisi economica.
A voi, una società non bene organizzata affida il compito, delicato e fondamentale, di provvedere in maniera prevalente all’educazione dei figli e alla cura degli anziani e dei portatori di invalidità. Lo fate silenziosamente, a volte faticosamente. Senza la donne, senza di voi, l’Italia sarebbe più povera e più ingiusta. Siete il volto prevalente della solidarietà. Il volto della coesione sociale. Dovremmo ricordarlo costantemente. E non dovremmo smettere mai di ringraziarvi. […]

E conclude con una citazione:

[…]Permettetemi di chiudere questo mio breve intervento con un detto dei nativi americani Ojibwej: 
«La donna è la radice sulla quale le nazioni sono costruite. Essa è il cuore della sua nazione. Se il suo cuore è debole, il popolo sarà debole. Se il suo cuore è forte e la sua mente limpida, allora la nazione sarà forte e determinata. La donna è il centro di ogni cosa».[…]

In nessuna parte del suo discorso – mai – compare un impegno a cambiare questa condizione per cui le donne sono dedite alla cura e alla professione e, silenziosamente, ce la fanno. L’ammirazione che i maschi (che in contrapposizione alle donne quindi sono di solito presi da se stessi e dal potere e non ce la farebberp poverini a fare tutto, quindi…non lo fanno) rivolgono alle donne assume una caratteristica tipicamente maschilista: voi donne siete regine del focolare, svolgete i vostri doveri in modo umile senza vantarvi, noi maschi invece facciamo la guerra, ostentiamo il potere e senza di voi saremmo perduti.

Ecco a me la matrice del discorso di Mattarella appare in assoluto contrasto con la cultura della parità che vorrei che il mio Paese promuovesse e mi sembra invece in linea, pur forse non volendolo, con il movimento reazionario degli invasati di “sposati e sii sottomessa” versione maschilista e sorella stretta delle molto omofobe sentinelle in piedi. Nella adulazione dei ruoli svolti dalla donna, scorgo anche una certificazione della loro giustezza. Il discorso di Mattarella, in sostanza, non è stato politico, ma culturale. Non c’è stato alcun impegno a modificare lo stato delle cose che per la maggior parte, possiamo anche ammetterlo, sono esattamente come il Presidente le racconta, anche se io sono assolutamente convinta che una nuova generazione di maschi attenta alle cosiddette dinamiche di cura sia già nata, esista ed è un errore ignorarlo.

Nelle scorse settimane è stato toccato un altro tema, stavolta dalla ministra Madia alle invasioni barbariche. Anzi i temi sono stati due. Uno il matrimonio egualitario (in cui la ministra ha detto di essere convinta che prima o poi si arriverà al matrimonio anche per le coppie omosessuali) l’altro il tema dell’eutanasia, tema delicato perché l’argomento ha toccato una questione personale che riguardava direttamente la ministra e sulla quale la ministra si è dichiarata a favore di una zona grigia dove a decidere è la comunità amante e non le volontà del malato espresse quando era sano attraverso un testamento biologico. Anche in questo caso a mancare nelle parole della ministra (che pure conosco e alla quale voglio bene per molti motivi) è una cultura politica collettiva. In un mondo ideale in cui la famiglia è il luogo dell’amore anche io sarei d’accordo che a decidere di me fossero i miei famigliari. Ma la legge serve proprio per garantire tutti. Anche chi non necessariamente ha una famiglia amorevole. Anche il matrimonio civile non serve a molto se va tutto bene e si è ricchi. Serve proprio in tutti gli altri casi. La legge è nata per tutelare i deboli e non far prevalere la legge dei più forti. E’ per questo che non viviamo più nelle caverne e non decidiamo più le cose a colpi di clava.

Nella risposta sui matrimoni egualitari si certifica che, come è accaduto altrove, anche in Italia si arriverà al matrimonio e non, invece, che lo faremo accadere. Non siamo ancora abituati a parlare di questi temi in modo profondamente politico se non in presenza di domande in cui spesso politici e ministri ancora rispondono solo a titolo personale.

Si pensi che mentre la ministra risponde sul matrimonio, stiamo invece aspettando che si definisca la forma di un disegno di legge sulle unioni civili che proprio perché non è ancora l’estensione del matrimonio è ancora prigioniero di interpretazioni e di tira e molla schiavi del governo di larghe intese (ne ho scritto lungamente per esempio qui).

Manca, in sostanza, una visione di Paese che comprenda anche i diritti civili: persiste un precariato generalizzato in cui gli stessi partiti su questi temi sono divisi (lo stesso PD che ha fatto passi da gigante grazie al certosino lavoro di molti e ora ha nel programma le Civil Partnership con la stepchild adoption che solo due anni fa sembravano una chimera è ancora troppo arrettrato: la posizione del PD nel 2015 dovrebbe essere il matrimonio egualitario e la discussione sulle unioni civili dovrebbe essere solo un effetto della presenza delle larghe intese).

Oggi, lo stesso PD ha paura di fare propri questi temi, di farli diventare autentica componente della propria visione di Paese, nel frattempo sedicenti associazioni di genitori invadono le scuole con l’invenzione della teoria gender. Per assurdo le prime vittime della guerra omofoba saranno proprio le donne, perchè è dalla prigionia dei ruoli che i fanatici religiosi stanno ricominciando a fare proseliti. Per questo il discorso di Mattarella apparentemente innocuo e lodevole mi appare in tutta la sua pericolisità culturale.

Unioni Civili: nessun accordo al ribasso con NCD

A differenza di quanto riporta questo pezzo di repubblica, non esiste alcun accordo al ribasso tra PD e NCD sulle unioni civili che diventerebbero così dei “simil-dico”. La proposta del PD continua ad essere quella che prevede istituto equivalente al matrimonio con la step-childadoption (che no, non è quello che vogliamo ed è già un compromesso al ribasso, ma non è un simil-dico come qualcuno oggi ha messo in giro)

Perchè non moriremo democristiani.

dc4Racconta mia madre che quando ero piccola e in TV si nominava la Democrazia Cristiana io mi avvicinavo con il dito puntato verso lo schermo dicendo: “Ma questi che vogliono da me?”. Sono cresciuta in una famiglia per la maggior parte cattolica che aveva avuto negli anni 50 e 60 difficoltà a spiegare il perché e il come mai i parenti di un pericolosissimo dirigente del PCI andassero a Messa, una famiglia molto probabilmente simile a tante altre che votavano PCI e andavano a messa senza che questo fosse un problema. Quando morì Mario Alicata nel 1966, che pure si professava ateo, alcuni frati incisero un disco per lui, e questo raccontava di un dialogo sommerso che superficialmente sembrava non esistere. Mio padre, molto dopo del 1966, a dire il vero si mise ad un certo punto a votare il PSI di Pertini e smise con l’arrivo di Craxi che ha sempre detestato.

Oggi mi fanno sorridere i post, gli stati di FB che “Sì, poteva andare peggio di Mattarella, ma siamo sempre lì, ahimé, moriremo democristiani.”

Sulla DC c’è un sacco di confusione (anche sul PCI se è per questo). Perché se mai c’è stato in Italia un partito della nazione quello fu la DC dove convivevano ex fascisti (nel senso di gente che durante il fascismo era stata fascista e che alla fine del fascismo si reintegrò nel sistema) e gente che aveva fatto la resistenza.

Il momento storico non consentiva alcuna dialettica. Da una parte il MSI, dall’altra il PCI, la guerra fredda e tutto quello che sappiamo. La caduta del Muro di Berlino non ha comportato solo l’ammissione (a volte obtorto collo) dei blocchi di sinistra occidentali della propria identità più socialdemocratica che comunista, ma ha sgretolato anche l’esigenza di un partito della nazione che facesse da “muro” al comunismo filosovietico. Ma questo la DC e il PCI di Moro e Berlinguer lo avevano già in pancia. Lo avevano già in pancia anche la DC di Mattarella (nel senso di Piersanti) e il PCI di La Torre. La mafia, la legalità, la guerra alla corruzione erano una questione non ideologica, non di parte, ma degli onesti. C’è stata una parte della DC siciliana collusa con la mafia e una parte no. Dire Mattarella e pensare Andreotti è un errore storico. E non è un caso che Buttiglione andò con Berlusconi e Mattarella fondò l’Ulivo. Come sarebbe da stupidi non notare che la cultura comunista ha portato spesso i dirigenti PCI e PDS e DS (e di quelli del PD provenienti da lì) a fare scelte reazionarie, mentre gli ex DC forse perché provenivano da una cultura più liquida hanno a volte stupito per flessibilità (vedere alla voce divorzio per esempio).

Nello stesso modo è un errore pensare che Renzi abbia in testa di rifondare una specie di DC 2.0*. Il senso profondo della legge elettorale già approvata al Senato, va nella direzione completamente opposta. In un sistema democratico basato su due o tre partiti grandi per vincere devi fare bene quando governi, non avere qualche deputato per ricattare il governo. E’ un cambio drastico di mentalità che non ha a che fare con le categorie del secolo scorso pre-murodiberlino, che forse tentano di far assomigliare il nostro paese più ad un paese anglosassone che ad uno del sud del mediterraneo. La governabilità genera alternanza perché definisce responsabilità e costringe al confronto con gli elettori ogni volta che si vota.

Più democrazia di così si muore. E finalmente, forse, non democristiani.

Unioni Civili a Roma: ora tocca al governo.

10405234_10205131120632111_6578836863677194348_nRoma ha un registro per le Unioni Civili. Grazie Ignazio Marino a chi l’ha votata e a tutta la giunta di Roma. Speriamo che questo atto fortemente simbolico nella Capitale del Paese sia l’ultimo dei tanti simboli e che sia il tempo di atti concreti che tutelino davvero le nostre famiglie. Adesso tocca al governo non ci sono più scuse dopo l’approvazione della legge elettorale.

L’era australiana (a Roma)

Dunque. Ricapitoliamo. C’è una certa quantità di giornalisti a cui Ignazio Marino non sta simpatico, non riescono a fargli la corte come spesso hanno fatto con sindaci precedenti (che sul tema di sicuro ci sapevano fare di più…e questo è indubbiamente un limite, ma anche no, ehm) ai quali però tutto questo attacco di tanti del PD al proprio sindaco non è andato giù. Diciamo che l’essere vigliacchi è peggio di essere un po’ nerd. La storia di queste settimane verrà ricordata come il “tempo australiano” e non perché Renzi era in Australia ad abbracciarsi un Koala, ma perché parte (è importante ribadirlo: SOLO PARTE) del Pd romano e laziale si è tirato un boomerang in faccia. Il problema è che ce lo prendiamo anche tutti noi. Noi del PD e noi di Roma. Ecco ora tornate tranquilli e accanto al sindaco ricostruiamo l’immagine del PD a Roma attraverso una politica partecipata, condivisa e soprattutto collettiva. Che nessuno ha mai sentito che “uno solo” risolveva tutto. Quindi se Marino non ce la fa è perché TUTTI NOI non ce la facciamo (lo stesso vale per Renzi, per dire). Eurodeputati e vicepresidenti del senato compresi passando per consiglieri in cerca di poltrone eccetera eccetera eccetera. Punto.

p.s. Suppongo che il mio amico Zanda le stesse cose sull’inesperienza (come lo dice sugli assessori romani, che poi vorrei capire di chi parla, si facessero i nomi e i cognomi) l’abbia detta anche a Renzi quando si è circondato di quasi tutti ministri giovani e donne che non avevano mai fatto il ministro (piccola provocazione che io renziana della primissima ora posso fare ben sapendo distinguere tra chi sa fare le cose e chi sa semplicemente muoversi nelle stanze del potere che non significa necessariamente “sapere fare bene”, ricordando a tutti che la politica è “un peso una misura” no la misura a come ci pare a seconda di cosa ci serve, almeno a casa mia).