Quarantanni fa, nel 1969, secondo quando tramandatoci dalle immagini della tv, un uomo metteva un piede sulla Luna. Un contatto fisico che ha ridimensionato persino il senso dell’uomo e di cui, secondo me, non siamo ancora del tutto consapevoli. Lo spostamento di un baricentro, il valico delle colonne d’Ercole riproiettato nel XX secolo, il cosiddetto secolo breve, ricordato per avere appiattito le distanze, persino nelle guerre, coinvolgendo quasi tutto il mondo in ben due guerre mondiali. Il secolo delle ideologie e del loro crollo miserevole.
Eppure in Italia chi “comanda” ha i piedi piantati lì. Profondi. Persino noi, siamo figli di quel tempo, abbiamo effigi e mitologie al collo o nelle cassapanche (ebbene, confesso: la mia bandiera dell’URSS). Così segnati da quegli eventi, anche solo incisi oralmente nelle nostre orecchie, che ci hanno re-ideologizzato nel linguaggio, nei comportamenti, nelle rivendicazioni in un gioco di cristallizzazione che ha inondato persino i nostri atteggiamenti privati. Noi “riconosciamo” comportamenti, riconosciamo modi di vestire, di parlare, di rispondere agl stimoli, di reagire e di controreagire come familiari o estranei. Riconosciamo modalità di comportamento nell’esercizio di una micro-morale personale, laddove una Morale non esiste più (per fortuna). Eppure la ricostruzione di un individualismo ambientale, microfamiliare, microgruppale ci porta ad essere conservativi. Cerchiamo protezione nella similitudine. Lo facciamo tutti. A destra e a sinistra, nel rapporto di coppie e con gli amici. Resistenti ad ogni cambiamento. Noi ci siamo ricostruiti tante piccole personali ideologie: sociali, vestiarie, relazionali, politiche.
Una distonia dal nostro “conosciuto”, l’unico tracciato attraverso il quale siamo capaci di giudicare, viene immediatamente individuata come nemica. E questo non accade solo in politica o nell’esercizio delle funzioni sociali e macroscopiche. Accade nelle relazioni umane. In quelle amicali. Nelle dinamiche di coppia. Fuggiamo dalla diversità – dal non conosciuto, dal non abituale – terrorizzati di non essere in grado di comprenderla, di penetrarla. Nella paura del rifiuto, della delusione e del fallimento continuiamo a percorrere le strade conosciute andando incontro a delusioni formalmente già note e prevedibili perché conosciamo la forma del dolore (che sia personale o sociale) e sappiamo di averla già sopportata nelle sue dimensioni e nel suo peso.
L’immaginario muore. L’imprevedibilità viene respinta.
Così ieri siamo cascati dalla sedia quando il movimento LGBTQI ha dovuto applaudire Mara Carfagna (che comunque giudicheremo nei fatti).
Così oggi leggiamo questo comunicato stampa:
“In occasione della manifestazione di domani Il Popolo di Roma (centro sociale di destra molto vicino ad Alemanno, ndr) vuole dare il proprio e sentito benvenuto a tutto il movimento LGBTQI nella Capitale. In linea ed in continuazione con l’incontro avuto a Gens Romana vogliamo ribadire il nostro sostegno a chi lotta contro ogni forma di violenza e discriminazione. Idee di ispirazione totalitarista non devono trovare spazio nella Roma della partecipazione e del libero confronto”. Queste le parole di Giuliano Castellino, portavoce de Il Popolo di Roma che ha aggiunto:“Una nostra delegazione, all’indomani della manifestazione, vorrebbe incontrare gli organizzatori dell’evento e consegnare un dono simbolico da parte del nostro movimento”.
E ci chiediamo basiti cosa stia accadendo, ci domandiamo se non stia avvenendo lo scioglimento dei ghiacci, se dai seminterrati di una nuova generazione non sia possibile una tregua, un dialogo, un incontro. E che forse davvero, un minimo di questo cambiamento deve passare per forza anche dal ricambio generazionale in tutti i luoghi (beh, noi de IMille lo diciamo da tempo). Che non significa omologazione reciproca. Significa acchiappare l’Italia con il buon senso e non in un eterno dissidio tra la “parte giusta” contro la “parte sbagliata” esercitato da entrambe le parti convinte di essere il “giusto”, portarla fuori dall’isolamento a cui da 15 anni sembriamo condannati.
Il tutto mentre il vecchio premier decadente e sessualmente impazzito, dà ancora del “comunista” alla Corte Costituzionale.
Sapremo cogliere quando sta accadendo? Sapremo guardare oltre ai nostri micro-recinti? E sapremo accompagnare il cambiamento estendendolo anche a tutte le altre realtà valoriali che compongono una discriminazione? Le donne. I migranti. Le diversità sociali. Le disabilità?
Sapremo trasformare un’energia di cambiamento e di superamento in democrazia dell’alternanza in cui ci siano valori inalienabili e idee discutibili?
La nostra generazione, saprà farlo, o ci rinchiuderemo nel ghetto combattendo un nemico e non le cause della crisi, l’emarginazione, la discriminazione? Quale grandissima sfida ci attende, finalmente? E ci sta attendendo o è ancora troppo presto e scontiamo ancora un senso di inadeguatezza nei confronti di quelli prima di noi, quelli che “governano” di cui ricopiamo linguaggi e atteggiamenti? Sapremo dare un colore, un’impronta al nostro tempo o lo vivremo come se fosse ancora il tempo di qualcun altro?
NOTA PERSONALE.
Voglio dedicare questa distonia del secolo che si manifesta oggi e che mi ha coinvolto nel percorso di una strada nuova, a tratti inagibile, irta di ostacoli, a te. Sì, proprio a te, che hai insegnato a me la diversità vera, quella fuori dal mio schema ricostruito. Che hai insegnato a me a camminare senza paracadute. A rischiare. A provare l’altra strada. A cambiare marcia all’improvviso, in una sorta di lunaticità di comportamento che sembra non avere nulla di razionale, invece è ricerca, è coraggio di cambiare idea, di cambiare ritmo, di ascoltare il respiro del mondo. Di accettare la debolezza quando anche fosse quella del pensiero. Che la strada segnata non è detto che vada percorsa per forza. Ho camminato in un campo incolto in modo infastidito e presuntuoso. Poi ne ho scoperto la varietà, lo stimolo., la ricchezza.
Il pensiero goffo ed ironico, una roba che contraddice e sgretola i pensieri forti, i pensieri unici. Insomma. Il pensiero libero che si fa domande, cerca risposte. A volte non le trova nemmeno e non se le trova tanto per trovarle come se fosse una religione in cui fare andare a posto tutte le tessere. Che forse a volte a non voler ascoltare, a non voler sentire, a non cambiare marcia si va a sbattere contro un muro…e i muri, si sa, sono quelle cose tipiche del secolo scorso. Forse mi hai accompagnato senza volerlo nel nuovo millennio.
Che potere per un solo bottone, eh?
[…]Qualche tipo di struttura drammatica. Punti di svolta. A noi tutti piace sentirne parlare. Punti su un grafico. Conversioni improvvise. Sbandate storiche. Qualche tipo di struttura drammatica. Ma una vita non si svela in quel modo si muove a ciclo continuo con tornanti messi assieme alla meglio
attorno al rigonfiarsi di un pezzo di collina verso un altro un’isola verso un’altra. […]
(Adrienne Rich, dalla sez. Inscriptions di ‘The Dark Fields of the Repubblic’)