Tra le macerie di un Paese in festa.

Molti di noi hanno il volto tumefatto e stanco, metaforicamente parlando. La sensazione di una passeggiata tra le macerie, la prima dopo la fine dei bombardamenti. La guerra è finita, ma adesso bisogna ricostruire tutto e la cosa difficile è capire da dove si comincia. Non esagero. Per chi come me vota dal 1994 e aveva visto in Berlusconi già allora quello che sarebbe stato -ed eravamo molti – oggi è un giorno di compita soddisfazione accompagnata da una triste consapevolezza. Avere perso il treno della giovinezza. Possiamo sperare in età adulta di avere un governo sobrio, attento al bene comune, stabile. Sì, ho sorriso ieri, ho fatto persino un pugno nostalgico cantando Bella Ciao. Ho gridato l’inno nazionale.

Ma poi….continua sul blog de IMille.

Matrimoni omosessuali: le statistiche.

Le conclusioni di Cerisoli su il Magazine de IMille:

1)      Le unioni civili non sono di per sé responsabili del calo dei matrimoni, preesistente alla loro introduzione ed anzi mitigatosi, come trend, negli anni successivi.

2)      Unioni civili e matrimoni omosessuali costituiscono una percentuale IRRISORIA del numero totale di unioni civil e matrimoni (5,2% e 1,8%, rispettivamente)

 

 

Ivan Scalfarotto e le responsabilità dell’Olimpo.

Quando lo abbiamo saputo, pensavo fosse un scherzo. Ivan Scalfarotto vice-presidente del PD?

E’ chiaro, e lo comprenderete, che una cosa così a noi, a chi è stato vicino ad Ivan in questi anni lungo la strada difficile ma ineluttabile di cambiare questo partito, non ha potuto che riempirci di gioia.

Un sorriso a 32 denti, non per avere conquistato una poltrona in termini di corrente. Noi, si sa, non siamo una corrente. Noi siamo quelli che entriamo dalla porta senza chiedere nemmeno permesso. Noi siamo quelli che assomigliano a noi, tanto è vero che, per noi, gente come Sarubbi, come la Serracchiani, come Paolo Masini (e potrei davvero andare avanti parecchio) che stava nelle mozioni di Franceschini e Bersani, è gente come noi e ci batteremmo in ogni sede possibile per promuovere la loro politica.

Un sorriso, che poi, stamane, mi si è comunque ricomposto in una smorfia meno ebete.

Eh, già. E’ chiaro che la presidenza di questo partito si fonda su un triangolo al cui vertice c’è Rosy Bindi, considerata popolare, ma laica ( e io avrei molto da dire su quest’ultimo aggettivo) e alle cui basi ci sono Marina Sereni, quella che disse, al tempo dei DICO che i Dico non erano affatto una priorità (una di quelle frasi abiette che in questi anni ha contrapposto la questione omosessuale alle altre, creando il mostro LGBT) e Ivan Scalfarotto. Si sa che il triangolo è una figura rigida. Una figura indeformabile. In questa vicepresidenza ci sono, ancora, tutte le nostre difficoltà che in tutta evidenza Bersani dovrà risolvere in questi anni che ci separano al 2013.

Proprio perché noi non siamo una corrente, non siamo gente in cerca di autore, ma siamo gente in cerca di attori, perché il testo lo abbiamo qui e lo abbiamo scritto noi, oggi siamo divisi in due. Da una parte il lato umano, la felicità per il riconoscimento dato ad Ivan, per essere stato, indubbiamente uno dei quarantenni che ha creduto in questo partito fin dall’inizio, in modo così leale e appartenente, da difenderlo spesso anche contro chi, più in alto, lo umiliava (il partito) nel suo agire politico centrifugo e/o correntizio. Per la sua storia di pioniere delle primarie e per il coraggio con cui il suo corpo, le sue candidature, hanno interpretato i cambiamenti che il popolo del centro-sinistra chiedeva a gran voce per uscire dal secolo scorso. Dall’altra il peso collettivo di una responsabilità di essere nell’Olimpo e sentirsi dire, un giorno: c’eravate anche voi. Nel bene, ma soprattutto nel male.

So (lo immagino perché l’ho sentito solo per due secondi) che Ivan sente la stessa separazione in questo momento. Da una parte la soddisfazione personale. Dall’altra il peso del compito e di saperlo interpretare al meglio e come sempre al servizio della causa.

E noi, non facciamo sconti. Nemmeno a noi stessi. E continuiamo inesorabili ad essere quelli che aspettavamo.

p.s. Per quanto riguarda Bersani non giudicherò mai i suoi discorsi. Giudicherò solo i fatti e solo quelli.

Pianeti alieni, resistenza, libertà e…

Quarantanni fa, nel 1969,  secondo quando tramandatoci dalle immagini della tv, un uomo metteva un piede sulla Luna. Un contatto fisico che ha ridimensionato persino il senso dell’uomo e di cui, secondo me, non siamo ancora del tutto consapevoli. Lo spostamento di un baricentro, il valico delle colonne d’Ercole riproiettato nel XX secolo, il cosiddetto secolo breve, ricordato per avere appiattito le distanze, persino nelle guerre, coinvolgendo quasi tutto il mondo in ben due guerre mondiali. Il secolo delle ideologie e del loro crollo miserevole.

Eppure in Italia chi “comanda” ha i piedi piantati lì. Profondi. Persino noi, siamo figli di quel tempo, abbiamo effigi e mitologie al collo o nelle cassapanche (ebbene, confesso: la mia bandiera dell’URSS). Così segnati da quegli eventi, anche solo incisi oralmente nelle nostre orecchie, che ci hanno re-ideologizzato nel linguaggio, nei comportamenti, nelle rivendicazioni in un gioco di cristallizzazione che ha inondato persino i nostri atteggiamenti privati. Noi “riconosciamo” comportamenti, riconosciamo modi di vestire, di parlare, di rispondere agl stimoli, di reagire e di controreagire come familiari o estranei.  Riconosciamo modalità di comportamento nell’esercizio di una micro-morale personale, laddove una Morale non esiste più (per fortuna). Eppure la ricostruzione di un individualismo ambientale, microfamiliare, microgruppale ci porta ad essere conservativi. Cerchiamo protezione nella similitudine. Lo facciamo tutti. A destra e a sinistra, nel rapporto di coppie e con gli amici. Resistenti ad ogni cambiamento. Noi ci siamo ricostruiti tante piccole personali ideologie: sociali, vestiarie, relazionali, politiche.

Una distonia dal nostro “conosciuto”, l’unico tracciato attraverso il quale siamo capaci di giudicare, viene immediatamente individuata come nemica. E questo non accade solo in politica o nell’esercizio delle funzioni sociali e macroscopiche. Accade nelle relazioni umane. In quelle amicali. Nelle dinamiche di coppia. Fuggiamo dalla diversità – dal non conosciuto, dal non abituale – terrorizzati di non essere in grado di comprenderla, di penetrarla. Nella paura del rifiuto, della delusione e del fallimento continuiamo a percorrere le strade conosciute andando incontro a delusioni formalmente già note e prevedibili perché conosciamo la forma del dolore (che sia personale o sociale) e sappiamo di averla già sopportata nelle sue dimensioni e nel suo peso.

L’immaginario muore. L’imprevedibilità viene respinta.

Così ieri siamo cascati dalla sedia quando il movimento LGBTQI ha dovuto applaudire Mara Carfagna (che comunque giudicheremo nei fatti).

Così oggi leggiamo questo comunicato stampa:

“In occasione della manifestazione di domani Il Popolo di Roma (centro sociale di destra molto vicino ad Alemanno, ndr) vuole dare il proprio e sentito benvenuto a tutto il movimento LGBTQI nella Capitale. In linea ed in continuazione con l’incontro avuto a Gens Romana vogliamo ribadire il nostro sostegno a chi lotta contro ogni forma di violenza e discriminazione. Idee di ispirazione totalitarista non devono trovare spazio nella Roma della partecipazione e del libero confronto”. Queste le parole di Giuliano Castellino, portavoce de Il Popolo di Roma che ha aggiunto:“Una nostra delegazione, all’indomani della manifestazione, vorrebbe incontrare gli organizzatori dell’evento e consegnare un dono simbolico da parte del nostro movimento”.

E ci chiediamo basiti cosa stia accadendo, ci domandiamo se non stia avvenendo lo scioglimento dei ghiacci, se dai seminterrati di una nuova generazione non sia possibile una tregua, un dialogo, un incontro. E che forse davvero, un minimo di questo cambiamento deve passare per forza anche dal ricambio generazionale in tutti i luoghi (beh, noi de IMille lo diciamo da tempo). Che non significa omologazione reciproca. Significa acchiappare l’Italia con il buon senso e non in un eterno dissidio tra la “parte giusta” contro la “parte sbagliata” esercitato da entrambe le parti convinte di essere il “giusto”, portarla fuori dall’isolamento a cui da 15 anni sembriamo condannati.

Il tutto mentre il vecchio premier decadente e sessualmente impazzito, dà ancora del “comunista” alla Corte Costituzionale.

Sapremo cogliere quando sta accadendo? Sapremo guardare oltre ai nostri micro-recinti? E sapremo accompagnare il cambiamento estendendolo anche a tutte le altre realtà valoriali che compongono una discriminazione? Le donne. I migranti. Le diversità sociali. Le disabilità?

Sapremo trasformare un’energia di cambiamento e di superamento in democrazia dell’alternanza in cui ci siano valori inalienabili e idee discutibili?

La nostra generazione, saprà farlo, o ci rinchiuderemo nel ghetto combattendo un nemico e non le cause della crisi, l’emarginazione, la discriminazione? Quale grandissima sfida ci attende, finalmente? E ci sta attendendo o è ancora troppo presto e scontiamo ancora un senso di inadeguatezza nei confronti di quelli prima di noi, quelli che “governano” di cui ricopiamo linguaggi e atteggiamenti? Sapremo dare un colore, un’impronta al nostro tempo o lo vivremo come se fosse ancora il tempo di qualcun altro?

NOTA PERSONALE.

Voglio dedicare questa distonia del secolo che si manifesta oggi e che mi ha coinvolto nel percorso di una strada nuova, a tratti inagibile, irta di ostacoli, a te. Sì, proprio a te, che hai insegnato a me la diversità vera, quella fuori dal mio schema ricostruito. Che hai insegnato a me a camminare senza paracadute. A rischiare. A provare l’altra strada. A cambiare marcia all’improvviso, in una sorta di lunaticità di comportamento che sembra non avere nulla di razionale, invece è ricerca, è coraggio di cambiare idea, di cambiare ritmo, di ascoltare il respiro del mondo. Di accettare la debolezza quando anche fosse quella del pensiero.  Che la strada segnata non è detto che vada percorsa per forza. Ho camminato in un campo incolto in modo infastidito e presuntuoso. Poi ne ho scoperto la varietà, lo stimolo., la ricchezza.

Il pensiero goffo ed ironico, una roba che contraddice e sgretola i pensieri forti, i pensieri unici. Insomma. Il pensiero libero che si fa domande, cerca risposte. A volte non le trova nemmeno e non se le trova tanto per trovarle come se fosse una religione in cui fare andare a posto tutte le tessere. Che forse a volte a non voler ascoltare, a non voler sentire, a non cambiare marcia si va a sbattere contro un muro…e i muri, si sa, sono quelle cose tipiche del secolo scorso. Forse mi hai accompagnato senza volerlo nel nuovo millennio.

Che potere per un solo bottone, eh?

[…]Qualche tipo di struttura drammatica.  Punti di svolta. A noi tutti piace sentirne parlare. Punti su un grafico. Conversioni improvvise. Sbandate storiche. Qualche tipo di struttura drammatica. Ma una vita non si svela in quel modo si muove a ciclo continuo con tornanti messi assieme alla meglio
attorno al rigonfiarsi di un pezzo di collina verso un altro un’isola verso un’altra. […]
(Adrienne Rich, dalla sez. Inscriptions di ‘The Dark Fields of the Repubblic’)

L’emozionista e il bibliotecario dilettante

Se ti capita di ospitare, la notte, uno che sta scrivendo una mozione (od e[mozione]), non c’è niente di meglio che sbadigliare catalogando meccanicamente i libri letti mentre egli, il mozionista, ti legge dal suo Apple le 10 pagine introduttive, tentando di distrarre il distraibile.

Scherzo. La mozione è bella. Ricca. E figa. Direi pregna ed anche un pò notturna. E l’impegno, quello professionale, è enorme. E non ha nulla a che fare con il vuoto. Ma proprio no.

Peccato il frigo vuoto, ma credo che ad ottobre saremo tutti pronti per una taglia in meno.

Il nostro giorno più lungo.

E’ stato il nostro giorno più lungo. Chi lo ha vissuto a Milano. Chi a Roma. Chi a Torino. Chi a Genova. Ovunque.

Un giorno triste. Diciamolo. In cui l’unica vera nota positiva, l’unica speranza, è Debora Serracchiani che trascina nel suo collegio il PD sopra la PDL (ma questo ancora non fa pensare nessuno) e batte in preferenze Silvio Berlusconi. Speriamo che l’Europa non sia un confinamento e che sarà accanto a noi nella , aspra, dura e che dovrà essere perfida, battaglia del congresso.

Un giorno triste nel nostro collegio dove nessuno dei candidati su cui avevamo puntato ha vinto. Nessuno. Tranne Sassoli, che ho votato con riserva, per fiducia nel Pd e che vedremo all’opera.

Un giorno triste per Ivan Scalfarotto, per quello che rappresenta, perchè la sua candidatura era la nostra candidatura, quindi per tutti noi. Sapevamo che era difficile fare una campagna elettorale totalmente autofinanziata. 22.847 preferenze costruite con lo scalpello, con la fatica di una faccia, di un’idea di Paese, che il PD non ha appoggiato, non ha acchiappato e si vede bene dal risultato che in quel collegio, il PD ha portato a casa. Uno schifo assoluto. Speriamo che i dirigenti del PD del nord ovest lo capiscano. Se Ivan fosse stato “portato” come Debora (passaggi in tv, appoggio), il PD sarebbe andato meglio e Ivan sarebbe passato. Ma qui è tutto, come dicevamo qui, una questione di coraggio. Un coraggio che il PD, nella sia dirigenza, ancora non ha, ma che il Paese è pronto ad accogliere e noi, maledizione, fanculo a chi  non ci ha aiutato, a chi non ci ha creduto davvero ed è rimasto a guardare, dobbiamo insistere.

Ad Ivan voglio dire grazie di essersi speso. Di avere aperto la strada. Di essere il minatore delle nostre idee, quello che rimane, magari, sotto la prima frana, ma apre la strada agli altri. Perchè, noi, siamo ancora quelli che aspettavamo e che stanno arrivando.

Ad Ivan voglio dire grazie di non essere sceso mai a patti sulle sue idee. Di averci creduto e di crederci ancora perchè, noi, lo sappiamo che lui ci crede ancora e sarà ancora con noi, nelle prossime battaglie, fino al congresso.

Di resti, di avanzi, oggi, ce ne sono tanti. C’è chi si accontenta di divorarsi quelli e non vede la quantità di energia e di amore che resta, appunto, dall’altra parte. E’ un pò come nella vita ed è una pena vedere le jene che divorano gli avanzi. Poverette.

Io personalmente, per Ivan, voglio ringraziare la città di Torino che lo ha accolto con calore, ne ha guardato la faccia, solo la faccia e ci ha creduto. In particolare la comunità LGBT torinese e non solo loro, il cui calore lui ha sentito. Tutto.

Grazie Ivan. Guarda le cose che hai costruito. Guarda noi. La tua vittoria siamo noi.

Mi fermo qui. Di analisi, in questi giorni, ne faremo ancora molte.

Voglio un Partito Inopportuno

Il pezzo che appare qui sotto è stato scritto sabato mattina. Prima dei risultati. Prima ancora dell’apertura delle urne. C’è un fatto. Berlusconi non ha sfondato, ma ha sempre rispetto a noi la maggioranza relativa e ciò significa che noi perdiamo, anche se recuperiamo dall’abisso in cui sembrava fossimo sprofondati. I nostri voti cannibalizzati da IDV ed SL, dallo scontento. Scontento che io vedo così:

Non è Berlusconi il problema. Non è lui a vincere. Il problema siamo noi, siamo noi che perdiamo, siamo noi che non “tocchiamo” le viscere del Paese.

L’Italia è come Roma. E’ stato Rutelli a perdere. Non Alemanno a vincere.

Tempo fa, durante una tappa della Carovana Democratica, coniai, nell’ indignazione generale, una definizione per la politica del Pd: una politica con il preservativo. Una politica che in qualche modo mantiene una certa distanza dalla “carne” del problema e finisce per avere una dose, ahimé, di sterilità. Fare politica con il preservativo significa affermare, per esempio, di volere essere laici, ma non avere, poi, il coraggio di firmare, come partito, la piattaforma dell’Ilga (International lesbian and gay association) firmata dai maggiori partiti europei a cui facciamo noi stessi riferimento. Significa vedere le adesioni dei singoli dirigenti di partito alla stagione dei Gay Pride, ma non avere mai sentito, dalla bocca dei candidati più quotati (se si escludono Scalfarotto, Serracchiani e pochi altri le cui firme trovate sul sito dell’Ilga) parole per una minoranza così tanto discriminata nel mese dell’anniversario di Stonewall. Nel mese in cui Obama, di là dall’oceano, dichiara giugno mese dell’orgoglio omosessuale. Obama nominò la comunità omosessuale più volte durante la sua campagna elettorale. Lui nero. Accusato di essere filo-mussulmano. Se ne è fregato dell’opportunità. Non si è chiesto se fosse opportuno dire o non dire. E ne ha parlato, tra le nostre lacrime di cittadini discriminati in patria, nel suo commovente discorso di insediamento. Lo ha fatto su questo tema e su moltissimi altri. Il successo del discorso di Debora Serracchiani all’assemblea dei circoli, ci aveva cominciato ad insegnare qualcosa. Ci aveva insegnato che la gente vuole che la politica non parli per opportunità. Non pensi al proprio capo-corrente. Alla propria poltrona. La nostra gente vuole che diciamo cose inopportune. Cose coraggiose. Il coraggio è inopportuno. E noi vogliamo un PD inopportuno. Il coraggio coinvolge. E’ virale. Il coraggio porta la gente a votare. Porta la gente nei circoli.

Il coraggio non si chiede quanti voti perde. Si chiede che Paese vuole.

Il coraggio non attacca soltanto. Il coraggio propone. Come fa Mercedes Bresso che promette in 100 giorni una legge per le coppie di fatto in Piemonte. E lo fa sotto elezioni. Se ne frega dell’opportunità perché sa che è una cosa giusta. Il coraggio è Chiamparino che ospita la bandiera rainbow in municipio. Quando il PD si accorgerà del modello Piemonte, per esempio, e lo dico da romana che ha visto sgretolarsi il modello Roma, e ne farà buon uso?

E attenzione a chi dice che occupandosi dei gay non ci si occupa dei problemi del paese. Allora anche quando ci occupiamo di migranti. Di legge 40. Ogni problema può essere considerato NON importante rispetto agli altri. Un partito democratico NON può, non deve, fare la cernita della democrazia. Altrimenti non è davvero democratico. La questione omosessuale è solo la cartina di tornasole più evidente della nostra troppa codardia.

D’ora in poi, in questo partito, sosterrò la corrente del coraggio, mai quella dell’opportunità.