“Voto no per vedere cosa succede”

Una delle motivazioni del no (ripeto, non me ne vogliano gli elettori del no che votano no nel merito, sicuramente ce ne sono) e’ stata sapientemente espressa da Valentino Parlato, fondatore del Manifesto, stamane in un’intervista a Repubblica: “Se vince il Sì si andrà avanti come adesso: nel continuismo. Se vince il No si apre una crisi politica, l’apertura di un processo, si sarebbe detto una volta. Preferisco questo”.

Confesso che nella mia storia elettorale ho fatto spesso questo ragionamento e capisco perche’ uno come lui possa avere votato Raggi per “scatenare” il cambiamento a Roma. Ha un suo senso vista la situazione a Roma del “pre Raggi”. Anche io mi auguro che la vittoria (e alcune vittorie) del M5S porti la sinistra ad un profondo rinnovamento (unita’, rottamazione vera di classi dirigenti locali vergognose, modernita’ dei sistemi di patecipazione politica tanto per citarne alcuni). Lui si felicita anche per la vittoria di Trump, io un po’ meno, ma anche Bernie Sanders ha detto che probabilmente Trump aiutera’ i lavoratori americani, dimostrando quando una certa parte di sinistra mondiale stia abbandonando il concetto di difesa di tutti i”lavoratori” per abbracciare quella del solo “lavoratore locale”.

Ma sul referendum non riesco a seguire Parlato. Votare no significa lasciare tutto come sta. Votare si’ significa scatenare un processo di cambiamento, “andare a vedere cosa succede”: e’ verissimo che si scatenerebbe una crisi politica che pero’ non potra’ che portare ad elezioni e al ricominciare da capo con le larghe intese se il Senato resta in vita cosi’ come e’ con la vecchia legge elettorale. Quindi di nuovo larghe intese. Ritorneremo nell’infinito loop gattopardesco.

Se vince il si’ alle prossime elezioni puo’, invece, succedere di tutto. Certo, anche una vittoria del M5S. Ma almeno avremo un governo chiaro. Un governo che potra’ governare senza alibi (e’ colpa di Alfano, e’ colpa di Casini, e’ colpa di Mastella, e’ colpa delle regioni, e colpa dello Stato) e che dopo 5 anni sara’ giudicato. La vera rottura con il passato sarebbe regalare al Paese un po’ di responsabilita’, non mantenerlo nella palude degli alibi. Perche’ abbiamo paura di qualcuno che possa governare senza ostacoli? Perche’ abbiamo paura che questa sia una dittatura e che non sia invece, finalmente, l’esercizio della demorazia cioe’ consentire a chi vince le elezioni di governare, di esprimere il proprio programma senza alibi? Restare come siamo significa restare nella dittatura delle burocrazia, dei veti incrociati, delle minoranze. Cambiare significa prendersi responsabilita’. Sento tantissime persone dire: voto no, perche’ tanto non cambia niente. E’ l’esatto motivo per cui per settanta anni abbiamo cambiato cosi’ tanti governi. L’esatto motivo per cui in questi decenni in Europa abbiamo cambiato punti di riferimento e probabilmente perso centinaia di occasioni strategiche che invece gli altri paesi hanno colto. Perche’ abbiamo cosi’ paura di generare un cambiamento? La riforma non e’ perfetta. E’ vero. L’Italicum non e’ perfetto. E’ vero. Quindi e’ meglio restare cosi’?