Abolire il dipartimento “Mamme”. Per evitare confusione.

Patrizia Prestipino non è razzista. Su questo non ci sono dubbi.

La verità è che per difendere un dipartimento che molti di noi non comprendono, Patrizia è caduta in un tranello linguistico che giustamente a molti sembra mostruoso includendo i padri omosessuali nel materno e parlando di razza. Un papà è un papà anche dove non c’è una mamma. E di certo l’idea del PD per aiutare le madri non è quello di aiutare quelle italiane contro altre ipotetiche madri, non a caso siamo quelli dello Ius Soli mentre tutti rincorrono il consenso sul razzismo vero. A prescindere dalla parola razza quel concetto è grave (e stupido) a prescindere.

La verità è che il nostro Partito deve chiudersi in una stanza e definire la visione del Paese: vale per le infrastrutture, per l’energia, per il modello di trasporto pubblico, ma vale anche per il modello di famiglia e il tipo di sostegno da mettere in campo: continuiamo con i bonus o costruiamo asili con i soldi? Ho raccontato ieri al segretario che non saprei come spiegare ad uno dei miei ex operai che ha perso la moglie di tumore e che sta crescendo i suoi due figli a cosa serva per lui un dipartimento “Mamme”. Sembra quasi, quel nome, deresponsabilizzare i maschi alla genitorialità o costringerli al femminile se si occupano dei figli. Che esattamente uno dei problemi culturali che abbiamo in Italia: declinare la cura della famiglia al femminile e far finire i padri che si occupano di casa e figli come degli sfigati effeminati (poi non lamentiamoci del femminicidio o dell’omofobia) e le donne che non vogliono figli delle stronze.

Più che chiedere le dimissioni a Patrizia Prestipino o fare incauti paragoni (che io stessa ho vissuto sulla mia pelle una volta) suggerirei al segretario di abolire il dipartimento “Mamme”, onde evitare confusioni e scivoloni dei 40, e di riempire di contenuti il dipartimento Welfare e quello Pari Opportunità e di lanciare una bellissima iniziativa sull’essere genitori (per chi lo vuole) fatta di cultura e investimenti.

PD 2.0: un orecchio fuori e un orecchio dentro.

L’opportunita’ che ha adesso il PD di innovare e di portare competenze e’ l’ultima. Se assomigliera’ al vecchio apparato e si chiudera’ per “paura” fallira’. Se fara’ quello che non ha fatto nei corsi precedenti (o nel del tutto) e che avrebbe dovuto fare fin nella sua fondazione (non fondere due partiti ma rifondere due partiti ormai vecchi con il Paese e rifondare una speranza collettiva) potra’ ritrovare le ragioni della sua nascita e la componente positiva di quella “rottamazione” che rappresentava il desiderio di cambiamento. Lo stesso cambiamento che la Francia (con entrambi i candidati e nel bene e nel male) ha chiesto a queste ultime elezioni. E’ l’ultima chiamata e non va sprecata, allargando il piu’ possibile, aprendo finalmente le famose porte e finestre sulla soglia delle quali alcuni di noi sono rimasti perche’ si sta bene sulle soglie con un orecchio dentro e un orecchio fuori.

Perche’ il 30 Aprile votero’ ancora Matteo Renzi (e il PD)

L’ho scritto dentro un lungo pezzo scritto per Imille, qui (sotto ne riporto una parte)

Sui diritti civili hanno scritto benissimo Ivan e Paola qui e onestamente dopo le parole di Grillo contro i radicali e i diritti in generale mi pare chiaro che il PD (e in questo caso Renzi) ha fatto bene ad andare avanti. Nel manifesto della candidatura e’ scritto chiaro che il percorso non e’ finito e che adesso si deve mettere mano anche alle adozioni come si era detto prima.

A chi sostiene (gli altri due) che Renzi voglia allearsi con Berlusconi devo rispondere pero’: e’ esattamente il contrario. Chi ha fatto di tutto per affossare il referendum e gode della bocciatura della legge elettorale e’ proprio chi sta condannando il Paese alle larghe intese. Tutto si puo’ dire a Renzi tranne che abbia lavorato per costruire un futuro di larghe intese (anche perche’ metttiamoci d’accordo: non si puo’ dire di lunedi’ che voleva un presidenzialismo e governare tutto da solo e il giorno dopo dire che vuole allearsi con Berlusconi.)

Qui uno stralcio delle cose che ho scritto su Imille e sul perche’ vale ancora la pena votare Renzi e soprattutto PD:

Sono molto d’accordo con chi sostiene che Macron e’ un Renzi che si e’ evitato tre congressi e che arrivera’ (speriamo) alla presidenza senza il cammino di logoramento che ha vissuto Matteo Renzi in questi anni. La differenza tra Macron e Renzi e’ che Macron ha intercettato senza struttura quello che stava accadendo in Francia creando una specie di Partito Democratico a tavolino, Renzi ha provato a prendere la nave del PD dove la fusione calda non era mai avvenuta. Forse e’ stata una follia. Per alcuni Renzi avrebbe dovuto lasciare il PD dopo la sconfitta alle prime primarie, il che avrebbe comportato una sconfitta di Bersani e forse equilibri diversi alla Camera. Forse adesso avremmo una camera in mano a Forza Italia (tra Forza Italia e PD ci fu uno 0,4% di differenza) e larghe intese di centro destra. Nessuno di noi puo’ dirlo. Forse Renzi avrebbe potuto lasciare governare Enrico Letta. Forse adesso avremmo un governo Letta bis o ter, rimpastato un paio di volte, forse non avremmo diviso il paese per fare una riforma costituzionale perche’ solo un folle, da presidente del Consiglio puo’ davvero pensare di fare delle Riforme in questo contesto. Forse per evitare correzioni da penna rossa dall’Europa avremmo avuto anche manovre piu’ pesanti, rincorrendo il salotto europeo invece che il bene del Paese (dove per bene del Paese intendo anche il bene dell’Europa dei cittadini).

Il terremoto ci sarebbe stato lo stesso. Le unioni civili non ci sarebbero state. E nessuno degli ex DS, ex comunisti si sarebbe lamentato. Sai..le larghe intese, Casini, Alfano. E via dicendo. Gli 80 euro non voglio menzionarli. Faccio parte di quelli che non puo’ apprezzarli. Ogni volta che lo dico in contesti dove 80 euro al mese sono tanti, mi prendo quasi una scarpata in faccia. La riforma della scuola non ci sarebbe stata. E forse il PD non avrebbe fatto incazzare gli insegnanti e nemmeno li avrebbe deportati. Semplicemente sarebbero rimasti precari o disoccupati e il PD avrebbe potuto dire loro: e sai, le larghe intese.
Diciamocela tutta. Il Paese senza Renzi al governo sarebbe stato piu’ lineare. Piu’ tranquillo. Senza tutto questo odio che si legge in giro che e’ meglio che vinca Grillo con i suoi fascisti piuttosto che Renzi torni al governo. Il Paese senza Renzi sarebbe stato piu’ uguale a se stesso. Un po’ lento. Un po’ democristiano. Un po’ che le cose ci accadevano sotto il naso e tutti avremmo dato la colpa a Berlusconi che governava oppure a Letta che governicchiava. E noi di sinistra ci saremmo sentiti con il cuore in pace. Il cuore in pace in politica e’ quando e’ colpa di qualcun altro e si puo’ manifestare contro qualcuno o qualcosa tutti insieme. Come si stava bene quando c’era Berlusconi. Diciamoci anche il resto. Matteo Renzi e’ antipatico. Io che lo conosco bene, quando lo vedo in TV gli tirerei una scarpa. E glielo scrivo pure.

In questi anni ha trascurato tantissime cose. Ha fatto una cazzata su Roma (come e’ noto non ho tralasciato di dirglielo) e non importa se questo sta mostrando al mondo la totale inettitudine del M5S. Ha trascurato di curare il partito, ma diciamocela anche tutta. Costruire una casa su un’altra casa non e’ una cosa semplice. Questo ragazzo e’ stato cosi’ folle che dopo avere perso le primarie invece di fondare un partito e affossare Bersani, ha covato il sogno (con quel suo modo insopportabile) di poter continuare a cambiare quella casa.

 

La camera approva.

La camera approva. La camera approva. LA CAMERA APPROVA. Grazie, grazie e grazie a tutti i senatori e deputati che hanno votato la fiducia, a chi voleva di più come tutti noi. Grazie a chi ha combattutto fino all’ultimo per ottenere di più e continuerà a farlo, grazie…grazie a tutti quanti noi. Ora il matrimonio. Se qualcuno dice di voler fermare Renzi, non ha capito che dovrà fermare un’onda di civiltà. Li travolgeremo. Sempre affettuosamente parlando. ‪#‎unionicivili‬.

D’Alema, come la volpe e l’uva.

Che la rottamazione non abbia ancora raggiunto alcuni confini, Capitale compresa, questo è un fatto che solo uno stupido potrebbe negare. Per chi sta nel PD dalla fondazione osservare i tanti ex dalemiani, ex bersaniani o talebani dell’antirenzismo ora saliti sul carro del vincitore è la sofferenza più grande, accanto al vedere tante brave persone non professioniste della politica storcere il naso davanti ad alcune cose, ad alcuni assetti, ad alcune scelte. Ci sono delle valutazioni da fare che partono da come andarono le primarie 2013 e da come è composto il parlamento attuale per capire alcune cose incompiute di questi anni, una discussione lunga e sincera che andrebbe fatta prima o poi e che io da semplice militante non avrei paura a fare. Ma prendere lezioni da D’Alema che il Pd non lo voleva, le primarie non le voleva, quello che fece cadere Prodi, quello che alla fine direttamente o indirettamente ci ha fatto perdere per venti anni con la classe dirigente allevata da lui come polli da batteria che non osavano contraddirlo è ridicolo. Nessuno si offenda, anzi forse molti adesso si definiscono renziani. Io vorrei che la politica fosse servizio, che la facessimo tutti quanti un pochino di più senza generare mostri che fanno solo questo nella vita per cui poi la politica diventa esistenza e non servizio per il bene comune. Se tutti fossimo un pochino più politici, avremmo meno professionisti e più controllo diffuso, altro che primarie dopate (che poi dove si dopano le primarie si dopa anche il voto vero, quindi il problema è molto ma molto più profondo). Io credo che il PD avrebbe tutte le carte in regola non per cambiare sistema di potere da D’Alema a Renzi, cosa che a me personalmente non interessa, ma per ricostruire un tessuto civico di partecipazione anche leggera, che consenta l’impegno e il controllo di molti per evitare il potere in mano a pochi. Non accetto lezioni da D’Alema o dai suoi polli di batteria, ma contemporaneamente non nego che la rottamazione in molti territori va cominciata e di brutto. L’ho sempre chiamata provocatoriamente un’operazione a 5 stelle, prendere il buono della partecipazione civica che con la nostra storia può evitare di divenire populismo o solo inesperienza che davanti al potere diventa fame ancora più brutale di quella più accorta dei professionisti. Tempi difficili, ma continuo a pensare che solo il PD può ospitare per primo quella rivoluzione di cui tutto il sistema politico italiano avrebbe bisogno. My two cents del venerdì.

Unioni Civili: da consumarsi preferibilmente entro il 15 ottobre 2015.

Ieri all’assemblea nazionale del PD, il segretario Matteo Renzi ha dettato l’agenda dell’approvazione del testo in discussione in commissione Giustizia del Senato.

E’ vero: l’anno scorso si era detto subito dopo le riforme, a settembre (2014). Le riforme sono andate lunghe e con esse le unioni civili.

Poi ci aspettavamo tutti una calendarizzazione al Senato entro l’estate. Difficile perché la commissione giustizia ha chiesto dei pareri al MEF e c’è la pausa estiva.

Quello che posso dire a chi parla di rinvio (lo dicono gli oppositori del PD, ma anche gli ultras omofobi che ne gioiscono) è che la situazione non è come quella dell’anno scorso. Tutt’altro. Con il lavoro certosino di senatori, di segreteria e di alcuni qui fuori, nel frattempo il PD in Senato ha raggiunto un testo unificato (e che alla Camera ci aspettiamo venga ratificato nella forma nella quale verrà votato in Senato in modo da procedere rapidamente alla trasformazione in legge).

Possiamo dire che ci sono alcuni nodi da sciogliere e che una legge subito sarebbe una legge meno forte e quindi per proteggere il testo (e preservare in particolare la stepchild adoption) va bene anche prorogare di alcuni mesi, basta che il PD rispetti la propria tabella di marcia e soprattutto cerchi sponde al di fuori della maggioranza governativa se serve. In un Paese dove la discussione dovrebbe essere matrimonio sì o matrimonio no, noi stiamo ancora discutendo di unioni civili. Purtroppo quando si parla di unioni civili parliamo di tutto e non parliamo di niente perché dentro quelle due parole esiste una possibile creatività legislativa.

Il testo cosiddetto Cirinnà che racchiude la posizione del PD come uscita dalle primarie per la segreteria deve essere un impegno politico che superi gli equilibri di governo. Un impegno etico. Un impegno mai più prorogabile e soprattutto non impugnabile da una forza politica irrisoria.

Siamo già in questa situazione visto che il governo ha rinunciato a proporre un suo testo (che avrebbe dovuto mediare al suo interno) lasciando al parlamento la parola dove M5S e frange di Forza Italia possono collaborare ad approvare un testo dignitoso seppur ancora arretrato (ce lo dobbiamo dire e non dobbiamo negarlo) rispetto alla direzione presa da Europa e Stati Uniti.

Ieri i tempi sono stati dati in modo inequivocabile dal segretario del PD nonché presidente del Consiglio.

C’è una data e dobbiamo impegnarci tutti a farla rispettare.

Entro il 15 ottobre il testo deve essere approvato dal Senato. Attendiamo: mancano -88 giorni.

Il discorso maschilista di Mattarella e l’assenza (o precarietà) di una cultura dei diritti civili.

Don08Le parole pronunciate ieri dal presidente Mattarella in occasione della festa della donna rappresentano una buona scusa per riflettere sullo stato dell’arte culturale più che politico dei diritti civili in Italia.

Dice il presidente della Repubblica all’inizio del suo discorso:

[…] Rivolgo un saluto a tutte le signore qui presenti così numerose e tutte le donne italiane, molte delle quali ci seguono in diretta televisiva. Sono, siete, milioni di professioniste, di docenti, di casalinghe, di lavoratrici dipendenti, di imprenditrici, di disoccupate, di madri, di nonne e di ragazze. Donne consapevoli, che badano all’essenziale e a ciò che è bello, spesso alla difficile ricerca di una compatibilità tra il lavoro e la famiglia. Su di voi grava il peso maggiore della crisi economica.
A voi, una società non bene organizzata affida il compito, delicato e fondamentale, di provvedere in maniera prevalente all’educazione dei figli e alla cura degli anziani e dei portatori di invalidità. Lo fate silenziosamente, a volte faticosamente. Senza la donne, senza di voi, l’Italia sarebbe più povera e più ingiusta. Siete il volto prevalente della solidarietà. Il volto della coesione sociale. Dovremmo ricordarlo costantemente. E non dovremmo smettere mai di ringraziarvi. […]

E conclude con una citazione:

[…]Permettetemi di chiudere questo mio breve intervento con un detto dei nativi americani Ojibwej: 
«La donna è la radice sulla quale le nazioni sono costruite. Essa è il cuore della sua nazione. Se il suo cuore è debole, il popolo sarà debole. Se il suo cuore è forte e la sua mente limpida, allora la nazione sarà forte e determinata. La donna è il centro di ogni cosa».[…]

In nessuna parte del suo discorso – mai – compare un impegno a cambiare questa condizione per cui le donne sono dedite alla cura e alla professione e, silenziosamente, ce la fanno. L’ammirazione che i maschi (che in contrapposizione alle donne quindi sono di solito presi da se stessi e dal potere e non ce la farebberp poverini a fare tutto, quindi…non lo fanno) rivolgono alle donne assume una caratteristica tipicamente maschilista: voi donne siete regine del focolare, svolgete i vostri doveri in modo umile senza vantarvi, noi maschi invece facciamo la guerra, ostentiamo il potere e senza di voi saremmo perduti.

Ecco a me la matrice del discorso di Mattarella appare in assoluto contrasto con la cultura della parità che vorrei che il mio Paese promuovesse e mi sembra invece in linea, pur forse non volendolo, con il movimento reazionario degli invasati di “sposati e sii sottomessa” versione maschilista e sorella stretta delle molto omofobe sentinelle in piedi. Nella adulazione dei ruoli svolti dalla donna, scorgo anche una certificazione della loro giustezza. Il discorso di Mattarella, in sostanza, non è stato politico, ma culturale. Non c’è stato alcun impegno a modificare lo stato delle cose che per la maggior parte, possiamo anche ammetterlo, sono esattamente come il Presidente le racconta, anche se io sono assolutamente convinta che una nuova generazione di maschi attenta alle cosiddette dinamiche di cura sia già nata, esista ed è un errore ignorarlo.

Nelle scorse settimane è stato toccato un altro tema, stavolta dalla ministra Madia alle invasioni barbariche. Anzi i temi sono stati due. Uno il matrimonio egualitario (in cui la ministra ha detto di essere convinta che prima o poi si arriverà al matrimonio anche per le coppie omosessuali) l’altro il tema dell’eutanasia, tema delicato perché l’argomento ha toccato una questione personale che riguardava direttamente la ministra e sulla quale la ministra si è dichiarata a favore di una zona grigia dove a decidere è la comunità amante e non le volontà del malato espresse quando era sano attraverso un testamento biologico. Anche in questo caso a mancare nelle parole della ministra (che pure conosco e alla quale voglio bene per molti motivi) è una cultura politica collettiva. In un mondo ideale in cui la famiglia è il luogo dell’amore anche io sarei d’accordo che a decidere di me fossero i miei famigliari. Ma la legge serve proprio per garantire tutti. Anche chi non necessariamente ha una famiglia amorevole. Anche il matrimonio civile non serve a molto se va tutto bene e si è ricchi. Serve proprio in tutti gli altri casi. La legge è nata per tutelare i deboli e non far prevalere la legge dei più forti. E’ per questo che non viviamo più nelle caverne e non decidiamo più le cose a colpi di clava.

Nella risposta sui matrimoni egualitari si certifica che, come è accaduto altrove, anche in Italia si arriverà al matrimonio e non, invece, che lo faremo accadere. Non siamo ancora abituati a parlare di questi temi in modo profondamente politico se non in presenza di domande in cui spesso politici e ministri ancora rispondono solo a titolo personale.

Si pensi che mentre la ministra risponde sul matrimonio, stiamo invece aspettando che si definisca la forma di un disegno di legge sulle unioni civili che proprio perché non è ancora l’estensione del matrimonio è ancora prigioniero di interpretazioni e di tira e molla schiavi del governo di larghe intese (ne ho scritto lungamente per esempio qui).

Manca, in sostanza, una visione di Paese che comprenda anche i diritti civili: persiste un precariato generalizzato in cui gli stessi partiti su questi temi sono divisi (lo stesso PD che ha fatto passi da gigante grazie al certosino lavoro di molti e ora ha nel programma le Civil Partnership con la stepchild adoption che solo due anni fa sembravano una chimera è ancora troppo arrettrato: la posizione del PD nel 2015 dovrebbe essere il matrimonio egualitario e la discussione sulle unioni civili dovrebbe essere solo un effetto della presenza delle larghe intese).

Oggi, lo stesso PD ha paura di fare propri questi temi, di farli diventare autentica componente della propria visione di Paese, nel frattempo sedicenti associazioni di genitori invadono le scuole con l’invenzione della teoria gender. Per assurdo le prime vittime della guerra omofoba saranno proprio le donne, perchè è dalla prigionia dei ruoli che i fanatici religiosi stanno ricominciando a fare proseliti. Per questo il discorso di Mattarella apparentemente innocuo e lodevole mi appare in tutta la sua pericolisità culturale.

Unioni Civili: nessun accordo al ribasso con NCD

A differenza di quanto riporta questo pezzo di repubblica, non esiste alcun accordo al ribasso tra PD e NCD sulle unioni civili che diventerebbero così dei “simil-dico”. La proposta del PD continua ad essere quella che prevede istituto equivalente al matrimonio con la step-childadoption (che no, non è quello che vogliamo ed è già un compromesso al ribasso, ma non è un simil-dico come qualcuno oggi ha messo in giro)

Perchè non moriremo democristiani.

dc4Racconta mia madre che quando ero piccola e in TV si nominava la Democrazia Cristiana io mi avvicinavo con il dito puntato verso lo schermo dicendo: “Ma questi che vogliono da me?”. Sono cresciuta in una famiglia per la maggior parte cattolica che aveva avuto negli anni 50 e 60 difficoltà a spiegare il perché e il come mai i parenti di un pericolosissimo dirigente del PCI andassero a Messa, una famiglia molto probabilmente simile a tante altre che votavano PCI e andavano a messa senza che questo fosse un problema. Quando morì Mario Alicata nel 1966, che pure si professava ateo, alcuni frati incisero un disco per lui, e questo raccontava di un dialogo sommerso che superficialmente sembrava non esistere. Mio padre, molto dopo del 1966, a dire il vero si mise ad un certo punto a votare il PSI di Pertini e smise con l’arrivo di Craxi che ha sempre detestato.

Oggi mi fanno sorridere i post, gli stati di FB che “Sì, poteva andare peggio di Mattarella, ma siamo sempre lì, ahimé, moriremo democristiani.”

Sulla DC c’è un sacco di confusione (anche sul PCI se è per questo). Perché se mai c’è stato in Italia un partito della nazione quello fu la DC dove convivevano ex fascisti (nel senso di gente che durante il fascismo era stata fascista e che alla fine del fascismo si reintegrò nel sistema) e gente che aveva fatto la resistenza.

Il momento storico non consentiva alcuna dialettica. Da una parte il MSI, dall’altra il PCI, la guerra fredda e tutto quello che sappiamo. La caduta del Muro di Berlino non ha comportato solo l’ammissione (a volte obtorto collo) dei blocchi di sinistra occidentali della propria identità più socialdemocratica che comunista, ma ha sgretolato anche l’esigenza di un partito della nazione che facesse da “muro” al comunismo filosovietico. Ma questo la DC e il PCI di Moro e Berlinguer lo avevano già in pancia. Lo avevano già in pancia anche la DC di Mattarella (nel senso di Piersanti) e il PCI di La Torre. La mafia, la legalità, la guerra alla corruzione erano una questione non ideologica, non di parte, ma degli onesti. C’è stata una parte della DC siciliana collusa con la mafia e una parte no. Dire Mattarella e pensare Andreotti è un errore storico. E non è un caso che Buttiglione andò con Berlusconi e Mattarella fondò l’Ulivo. Come sarebbe da stupidi non notare che la cultura comunista ha portato spesso i dirigenti PCI e PDS e DS (e di quelli del PD provenienti da lì) a fare scelte reazionarie, mentre gli ex DC forse perché provenivano da una cultura più liquida hanno a volte stupito per flessibilità (vedere alla voce divorzio per esempio).

Nello stesso modo è un errore pensare che Renzi abbia in testa di rifondare una specie di DC 2.0*. Il senso profondo della legge elettorale già approvata al Senato, va nella direzione completamente opposta. In un sistema democratico basato su due o tre partiti grandi per vincere devi fare bene quando governi, non avere qualche deputato per ricattare il governo. E’ un cambio drastico di mentalità che non ha a che fare con le categorie del secolo scorso pre-murodiberlino, che forse tentano di far assomigliare il nostro paese più ad un paese anglosassone che ad uno del sud del mediterraneo. La governabilità genera alternanza perché definisce responsabilità e costringe al confronto con gli elettori ogni volta che si vota.

Più democrazia di così si muore. E finalmente, forse, non democristiani.

Se rivediamo la sinistra, rivediamo anche il Concordato (e a proposito di Rutelli e rutelliani)

E’ noto che ritengo questa era politica non un’era in cui la sinistra si dissolve in un governo rutelliano come qualcuno sta dicendo in questi giorni dopo la nomina di Gentiloni. Rutelli veniva dai radicali, si fumava l’erba e poi è diventato un pauroso baciapile che ha pensato che andare al governo passasse per i poteri forti e non per il consenso popolare e per un progetto di Paese. Renzi era uno scout cattolico della sinistra DC che negli anni si è evoluto parecchio, si sono incontrati nella Margherita nell’era in cui la DC si dissolveva ai lati a partire dal centro, nessuno è perfetto. Una volta credo di avere votato anche io Margherita, pensate un po’ e mannaggia a me. Credo al secondo mandato da sindaco. Possibile?

Oggi considero Renzi un socialdemocratico, nell’accezione europea. Ovviamente questa socialdemocrazia deve inondare tutti i luoghi e travolgere tutti i totem del secolo scorso per ricreare nuovi punti di riferimento che non siano posizioni autoreferenziali. Quella che volgarmente qualcuno chiama disintermediazione è semplicemente l’aggiramento di tante posizioni autoreferenziali che non rappresentano più o non più come prima le istanze per cui erano nate. Ah, se non ve ne foste accorti anche Confindustria non è più un interlocutore come lo era un tempo e spesso si parla direttamente con i singoli imprenditori.

Persino la Chiesa lo sto facendo nell’era di Papa Francesco, un Papa che al contrario della CEI o del vicariato romano ha preferito tacere davanti ai matrimoni ratificati dal sindaco di Roma che hanno avuto un effetto simbolico mondiale proprio perché si trattava di Roma, quella stessa Roma dove Rutelli, vigliacco, tolse il patricinio concesso da lui stesso anni prima. E il cerchio si chiude dimostrando che, per fortuna, le cose cambiano. Certo il potere politico e di spostare i consensi ce l’ha più la Cei di papa Francesco, perché questo ultimo non movimenterà frotte di elettori cammellati dalle parrocchie, la prima forse sì. Ma forse per fortuna il Papa mobilita e mobiliterà più opinione pubblica. Ergo, anche lui sta disintermediando. Comunque tutta questa premessa per dire che se un governo di sinistra (malgrado l’alleanza con Alfano) sta mettendo in discussione la rappresentatività del sindacato, deve farlo anche con la CEI e mettere in discussione il Concordato. Non è molto socialdemocratico pensare che nelle nostre scuole pubbliche ci siano ancora insegnanti di religione pagati dallo Stato ma scelti dalle Diocesi che, per esempio, raccontano agli studenti, come è successo a Moncalieri, che l’omosessualità è una malattia da cui si può guarire. E’ inutile che il preside minaccia sanzioni. Purtroppo l’insegnante di religione fa il suo dovere, o quello che presume attingendo dall’era precedente a questo papato.

Forse è ora che un governo coraggioso metta in discussione anche queste cose. Altrimenti avremo un bel da fare a spiegare che siamo coraggiosi solo a metà.

Leopolda e CGIL conflitto inutile tra due sinistre

Non mi piace il Paese diviso simbolicamente in due manifestazioni. Io c’ero ai tempi della manifestazione di Cofferati contro il governo Berlusconi e ci saro’ sempre accanto ai diritti dei lavoratori. Bisogna pero’ intendersi su chi sono i lavoratori. Gli assunti sotto padrone o tutti? Comprese le partita IVA e i piccoli imprenditori e anche il middle management delle aziende. Gli operai non esistono senza fabbriche. e’ un principio marxista ancora in essere, piu’ forte del concetto di lotta di classe. Se difendiamo solo una parte generiamo un conflitto che uccide il lavoro perche’ il lavoro vive se viene conferita pari dignita’ a chiunque lavori. Mi pare che per ora la difesa parziale abbia comportato un muro all’ingresso per giovani e donne e precari e la difesa di inefficienze e fannulloni. Che Paese vogliamo? Un Paese diviso e precario in cui i diritti si estinguono con l’eta’ dei lavoratori o un Paese unito che ammette che non siamo piu’ negli anni settanta e genera un punto di vista diverso tra chi lavora e chi favorisce il lavoro, soprattutto in tempi di crisi dove il mercato non sostiene il lavoro come accadeva negli anni settanta e va reinterpretato?

A me pare sempre più evidente che la dialettica in essere sia sempre di più quella di dare un volto alla sinistra del terzo millennio. Il tema non è tra destra e sinistra ma tra chi siamo e chi dobbiamo essere.