Roma: quel silenzio assordante dopo la rabbia, panorama politico post-atomico.

Un romano su due non ha votato. Non ha votato per il suo sindaco, per la figura istituzionale che – in teoria – dovrebbe essere il suo rappresentante più prossimo, più vicino alla vita quotidiana. Se pensiamo ad Argan, a Petroselli, ma persino al primo Rutelli o a Veltroni sembra una voragine questa mancanza. Un’assenza che racconta il distacco della città, la sua indolenza, quel modo felino di arrangiarsi che abbiamo noi romani come se la vita fosse una strada piena di buche mandate a memoria da evitare col sorriso e un’imprecazione da far ridere tutti.

Quel modo di essere romani che è Totti legato alla maglia per tutta la vita e che ci ha messo quella vita per intero a capire che bisogna rispettare le regole perché non si reagisce quando si pigliano i calci e gli insulti altrimenti si passa dalla parte del torto.

Quel modo che abbiamo tutti che attraversiamo la strada appena si può che non c’è tempo di cercare le strisce anche perché quasi sempre non si trovano mai, cancellate dal sole e dall’usura e mai troppo in tempo ridisegnate sull’asfalto. Quel modo di essere un po’ arroganti, un po’ prepotenti un po’ “nun me guardà, oggi nun’è giornata”.

E’ difficile raccontare Roma. E’ diventata un millefoglie di umanità complesse, di attitudini border-line tra il vivere e il sopravvivere, di file di migranti che dormono lungo tutta la parete della Stazione Termini che ti manca il fiato quando ci passi e di strade collassate dove sfondare i cerchi delle macchine e dei motorini e di strade buie e di pianerottoli dove mandarsi a fanculo per una perdita d’acqua e di avvocati dei Parioli con la Smart alle prese coi divorzi, anche del proprio volendo e di feste sui terrazzi noiose a dirsi ciao come stai quanto tempo che la città è enorme e piccola allo stesso tempo. E non bastano queste 3 pennellate, non basta mai nulla per descrivere Roma. Provi ad afferrarla fuori dallo Stadio e ti sfugge: ci sono tutti. Così in Chiesa così nei locali. Si prende gioco di te. E a proposito di gioco in ogni quartiere si aprono tunnel, come tane di talpe, buchi con vetrine blindate dove pezzi di città spariscono per riapparire altrove. Violenta, lenta, aggressiva e piaciona. Niente, tanto non basta. Chiunque ci provi a raccontarla senza scadere in un cliché limitato e retorico ci fa la figura dello scemo. Dovresti prendere una macchina fotografica e stare zitto. E usarla ogni giorno a tutte le ore e tutto l’anno. Poi forse riusciresti a fare vedere qualcosa di Roma senza sembrare uno scemo.

A Roma c’è un pezzo che alle ultime politiche ha votato Grillo. Un botto di gente. E questa volta invece non è andata a votare. Un silenzio più assordante delle grida di rabbia di febbraio. Un silenzio che racconta il desiderio di una politica che sia cambiamento ma non distruzione. Una lezione per tutti. L’astinenza è il grido della democrazia, molto più del voto di protesta a liste appena nate, ancora incognite nella fattibilità dei loro stessi intenti. Ma quel silenzio, dopo soli 3 mesi, è un segno evidente di intelligenza. Ci sono due cose dentro, al di là di tutto.

Una che punisce tutti. E quindi, al contrario di ciò che dice Epifani, punisce il governo in carica, non lo premia e approva manco per niente. Facciamo che i dirigenti PD restano in silenzio fino alle 15:01 del 10 giugno. Dai facciamo questo gioco. Per favore.

L’altra è la punizione per chi aveva le carte per isolare Berlusconi e questa destra sguaiata e invece si è astenuto da quel ruolo, pestando i piedi e rifiutando il ruolo di attore di una prova inedita. Il M5S avrebbe potuto governare con il PD, sfidare il PD e guidare alcuni processi. Se avesse avuto la maturità per farlo. Non l’ha avuta.

Non si fa. Direbbe Pasquino: se te ce mando, fai qualcosa.

E così quel silenzio è una grande occasione per la politica del dopo. Quella del the day after quella a cui toccherà ripartire dalle macerie lasciate da un grande grido seguito da un grande silenzio. Sembra il panorama postatomico di un cartone animato giapponese questo risultato emerso dalle urne.

C’è un pezzo di Roma che parla a nome del resto del Paese che dice: forte cambiamento, ma non dice distruzione. Per favore decodificare il messaggio. Per favore provvedere in fretta.

Nel frattempo per favore salvare Roma. Stop.