Diritti Civili non pervenuti.

E’ accaduto di nuovo. Il governo con il 30% di donne e il piu’ giovane (anagraficamente parlando) non ha menzionato nei suoi intenti gay e lesbiche italiane.

Condannati al silenzio. Tornati di nuovo anni luce indietro oltretutto in spregio del voto che vede il primo parlamento che in base ai numeri potrebbe approvare una legge (almeno) su un istituto equivalente al matrimonio. Niente. Silenzio totale. Come se questo non parlasse di futuro. Di Europa. Di giustizia. Di vita. Niente.

Come se durante le primarie tutto il centro sinistra e Grillo non lo avessero detto chiaro e chiesto chiaramente.

Ecco: di nuovo i diritti civili diventano la cartina di tornasole di molto altro.

Non è questione di nomi.

Il problema di questo Governo non sono i nomi da quelli che mi farebbero felice (Delrio, Bonino primi fra tutti) a quelli che mi fanno accapponare la pelle (il Quagliarello di Englaro, l’antiabortista Lorenzin alla salute) il problema di questo governo è che invece di darsi un tempo e un’agenda veloce si sta dando respiro lungo e mi chiedo, lo faccio davvero umilmente e responsabilmente, come le persone qui sopra potranno trovare una sintesi senza che questa non diventi un inutile papocchio. Costruiamo riforme che consentano a centrodestra, centrosinistra e M5S di confrontarsi di nuovo e chi vince governi per un intero mandato. Le riforme di cui ha bisogno il Paese sono profonde e richiedono tempo di applicazione, confronto e manutenzione. Serve un Governo forte di una maggioranza chiara e compatta. Che non vedo.

Inno dei pensieri lunghi ovvero il mio “no” al governissimo

Per intenderci le cose che scrivo qui sotto non sono un giudizio su alcuni nomi bellissimi del governo Letta, che però sono mischiati a nomi che fino ad ora non hanno fatto nulla di quello che noi pensiamo e vorremmo per il Paese. Come pensiamo di metterli d’accordo? Non illudiamoci e non facciamo accecare dai nomi. E su cosa riusciranno a fare che dobbiamo giudicare e i numeri sono lì a dirci che sarà tutto difficile.

C’è un motivo profondissimo per cui sono contraria a questo governissimo.

Perché al di là dei nomi che riempiranno le caselle dei dicasteri, si tratta di un governo di vita breve che però ha l’aspirazione a non esserlo.

Si badi bene. Personalmente avevo in mente due alternative: un governo lampo che facesse la legge elettorale e portasse a termine tagli alla politica e rifinanziasse la CIG e che ci riportasse al voto il prima possibile oppure tornare subito al voto.

Per questo vedevo di buon occhio l’incarico a Renzi e per questo, credo, né Berlusconi, né i notabili del mio partito lo hanno voluto in quel ruolo. Altro discorso sarebbe stato, infatti, un percorso generazionale comune per fare uscire il Paese dal pantano politico prima che economico perché solo uscendo dal pantano della politica dell’ultimo ventennio si può rilanciare l’economia (con i limiti che ho già indicato sul fatto che non è solo una questione anagrafica come Letta dimostra). Non condivido nemmeno l’appoggio incondizionato del PD all’ipotesi governissimo, come se fossimo in balia di una sconfitta continua. Ma come? Berlusconi detta condizioni e noi no?

Per chiarire definitivamente: volevo un governo brevissimo o il voto subito. Un governo di scopo e  non un inciucio.

Credo che un governo con il PDL, come quello che sta per nascere, che inizi con aspirazione di lunga durata sia un’operazione profondamente irresponsabile, rinsalda l’operazione Monti, bocciata dagli elettori e ricongiunge pezzi di PD e PDL che hanno inquinato l’ultimo ventennio con continui fallimentari (per il Paese) tentativi di dialogo.

L’Italia sta attraversando una crisi economica profonda da cui forse usciranno vive le grandi aziende, quelle dal respiro globale, mentre usciranno a pezzi se non morte, le piccole e media imprese. Il tessuto più diffuso del Paese sta morendo. La povertà sta invadendo la classe media. La CIG non ha soldi e se li troverà li toglierà ad altro.

Per rilanciare l’economia e lo sviluppo esiste un’unica strada responsabile che è quella di dare al Paese una legge elettorale che consenta di avere un governo chiaro e di lungo, lunghissimo respiro che abbia una dialettica conflittuale con una opposizione altrettanto chiara. Serve un governo lungo, con ampi poteri che metta in atto riforme profonde ed investimenti che avranno la durata di anni, gli effetti dopo anni. Nessun governo debole può mettere in atto riforme con effetti a babbo morto. Perché non ne ha nemmeno interesse. Può solo agire in modo superficiale ed urgente. Nel frattempo il Paese reale senza riforme profonde, muore. Muore l’agricoltura senza pianificazione. Muore o non nasce la nuova impresa. Non nasce un piano energetico completo. Non si avviano piani infrastrutturali.

Quando noi “rottamatori” chiedevamo il limite dei due mandati in politica pensavamo ad un limite massimo per evitare l’incollamento alla poltrona, ma anche ad un limite minimo: per intervenire sul Paese serve almeno un decennio e pensare di perdere altri due o tre anni con una formazione politica che in questi venti anni ha fatto muovere l’economia liberalizzando forme più o meno lecite di evasione fiscale e senza creare tessuto produttivo, innovazione e semplificazione è, a mio avviso, irresponsabilità.

Quale legge elettorale potremmo fare con il PDL di Berlusconi?

Quale legge sull’evasione fiscale?

Quale legge sulla semplificazione?

Quale riforma della scuola?

Quale piano energetico o industriale?

Insomma quale Paese possiamo costruire o persino rattoppare con Berlusconi?

Non sono disfattista, credetemi e mi sono a lungo interrogata sul senso di responsabilità e su cosa sia davvero utile al Paese. E la risposta che mi do conoscendo questa Italia è sempre la stessa: che per fare riforme profonde ci vuole tempo e non si può stare al tavolo decisionale con chi la pensa in modo opposto. Allora è più serio dire: torniamo a votare. Oppure dichiararsi disponibili solo a cambiare la legge elettorale e ripresentarsi al Paese con grande responsabilità.

Non è responsabile provarci con chi ha già fallito o addirittura sbagliato. E vedrete che sondaggi alla mano sarà proprio Berlusconi a staccare la spina quando avrà la certezza di poter vincere di nuovo a mani basse.

p.s. il M5S ha perso l’unica occasione di poter dettare la politica al PD. Non si può dire che Bersani non ci abbia provato. Sono rimasti fissi nella loro purezza, immobili, senza capire che avevano in mano la possibilità di rompere quel patto tra pezzi di PD e PDL.

p.s.2 Ho atteso la lista dei ministri. Cose che mi piacciono, altre che mi fanno rabbrividire. Ecco, appunto. CVD.

Domani sarò al Festival del giornalismo.

Alle 16, Sala del Dottorato, Perugia con Delia Vaccarello, Marco Pasqua, Pasquale Quaranta, Benjamin Cohen.

“Una passeggiata attraverso la questione gay nel mondo dei media: come vengono raccontate le storie di ordinaria discriminazione, la transfobia, l’assenza di diritti civili o i drammi del bullismo omofobico? E come il racconto di queste storie influenza l’opinione pubblica e la politica? Con l’aiuto dei nostri speaker dialogheremo di come il giornalismo italiano affronta le tematiche gay, lesbiche e trans e delle differenze con il resto d’Europa.”

Liberare Roma.

“Il mondo dell’associazionismo cattolico e più in generale tutti coloro che fanno propri i valori della dottrina sociale della chiesa si schiereranno contro chiunque sostenga forme di matrimonio contro il diritto naturale, l’eutanasia, la liberalizzazione delle droghe e l’estremismo settario di sinistra. Impossibile dialogare con Marino come sindaco di Roma”. Lo afferma in una nota Francesco Smedile, già consigliere UDC di Roma Capitale e presidente della Commissione Riforme Istituzionali per Roma Capitale.

Ecco, no, per capirci.

Ricordo a tutti che la sfida che ci aspetta a Roma in questo momento difficile è proprio una sfida di liberazione. Ci sono fascismi striscianti che sopravvivono nel tessuto delle democrazie fragili, che si abbattono sulle diversità, che si eleggono a portatori del pensiero unico. Roma è nefastamente prigioniera di una cultura primitiva che con il cattolicesimo quello vero NON c’entra nulla. Ignazio Marino è un cattolico “adulto” che separa il Vangelo della Costituzione. E’ bene ricordare oggi che anche quella è Liberazione.

E come scrive Estella Marino (che non è parente di Ignazio ed è candidata al consiglio comunale ed è la persona per cui spenderò i prossimi mesi perché è dalle persone come Estella che dobbiamo ripartire): “Buon 25 aprile… di liberazione… per ricordarci da dove veniamo e come e’ stato difficile costruire la democrazia in un paese che ciclicamente si abbandona alla via piu’ semplice e populista.”

Sarà un governo inutile.

Berlusconi ha già dettato condizioni. Senza troppi giri di parole, senza provare a spiegare l’impossibile: torniamo a votare.

p.s. c’era una sola possibilità credibile per un governo anche breve. E’ stata respinta da tutti quelli che di quella possibilità hanno il terrore perché sapevano che – dopo – nulla sarebbe stato più come prima.

Caro Matteo,

si parla in queste ore delle tua nomina a premier e io non posso non pensare ai mesi passati. Alla battaglia di tutti noi a quella tensione collettiva che si è infranta contro il “corpaccione” del partito e contro regole farraginose. Oggi chi voleva il nostro scalpo, chi ci dava dei berluscones, chi ha fatto di tutto per farci fuori ad ogni sgambetto ti sta chiedendo di essere tu quello che ci porta fuori dal pantano.

Inutile ripetere cosa è accaduto in questi mesi: Bersani le elezioni non le ha vinte, Grillo in nessun modo ha accettato di accordarsi con Bersani, la destra di questo Paese rappresentata da Berlusconi è la peggiore d’Europa ma, come dici spesso, ha pur preso intorno a quel volto, quasi 10 milioni di voti e non può essere delegittimata.

Serve pacificare il Paese in più punti. Serve pace tra le generazioni. Serve pace tra le classi sociali. Serve pace tra le aziende e i lavoratori. Serve pace tra nord e sud. Serve pace tra i cittadini e la politica e tra i contribuenti e lo Stato.

Un governo Napolitano-Renzi è l’abbraccio vitale di due generazioni che saltano quelle di mezzo – quelle del 1968 e del 1977 – che per troppo sognare il cambiamento sono diventati “sistema”, sono diventati “inamovibili” più di tutti coloro che nei loro anni di gioventù hanno contestato. E’ un patto generazionale che esclude quelle due generazioni che con i propri figli il patto non l’hanno mai voluto fare, troppo attaccati alla loro idea di essere gli unici eterni giovani e che non si sono accorti di avere divorato tutti i sogni fino a lasciarci con poco. Solo la nostra creatività e la difficoltà di riconoscerci collettivo

Hai davanti a te un’enorme responsabilità: quella di mettere insieme quel collettivo . Hai poco tempo e tante insidie.

Se accetti devi farlo dettando delle condizioni ferree. Il Governo deve essere tutto di gente nuova. Non necessariamente giovane perché sappiamo bene che non è solo questo il tema e sappiamo bene che i singoli non devono e non possono essere travolti dagli errori collettivi. Devi chiedere a Rodotà di far parte del governo per lanciare chiari segnali al M5S. Devi chiedere la fiducia a tutto il Parlamento sulla base di pochi punti. Devi mettere la fiducia su ogni riforma e costringere chi non vota le riforme a rendere conto al Paese. Devi darti un tempo e devi essere il primo a rispettarlo. Tra un anno almeno devi chiedere conto agli elettori perché un vero leader si misura sul consenso. Devi inchiodare ogni partito alle proprie responsabilità e non cedere mai di un passo: rendere conto solo al Paese. Se ce la fai tra un anno potrai anche sceglierti la maggioranza e far partire un’epoca di riforme profonde che manca al Paese dagli anni 60.

C’è in campo un’altra ipotesi.

Che qualcuno voglia bruciarti. Perché non avvenga devi porre condizioni. E devi scendere a patti sempre e solo con la tua coscienza e con il Paese. In questo modo anche se si andrà al voto presto a bruciarsi saranno loro e non tu e con te il sogno dentro il quale molti di noi e un buon pezzo di Paese sta riponendo le sue speranze per il futuro.

p.s. Ricordiamocelo come una mantra: noi non siamo la destra del PD. Siamo la sinistra del III millennio, quella che ora in questo pantano deve nascere con vocazione maggioritaria tenendo dentro tutti da Vendola a Barca perché noi abbiamo l’aspirazione a governare, non a fondare partiti per farli alleare il giorno dopo le elezioni.

 (scritto nella notte tra il 22 e il 23 aprile 2013)

Rabbia e legittimità.

Il Partito Democratico è la mia prima esperienza dentro un partito, prima di allora non avevo mai creduto nei partiti. Facevo tanta politica ma nelle “cose”. Mi aggregavo nei luoghi di studio, mi candidavo, coinvolgevo con altri come me, le persone con cui “avevo a che fare”.

Quando ho deciso di entrare nel PD l’ho fatto perché dentro le parole di Veltroni avevo trovato proprio quello che stavo cercando di fare ogni giorno: fare politica “avendo a che fare” con le persone. Per somiglianza, per attitudine, per valori. Per essere corpo di cambiamento. Prima di allora i DS stessi mi erano solo sembrati un gruppo di nostalgici burocrati che non riuscivano ad interpretare i tempi, le cose, le persone, il lavoro del millennio nuovo.

Viviamo tempi difficili. Superficiali. Tifosi. Tempi di linciaggi come è capitato in questi giorni ad Ivan Scalfarotto reo di avere semplicemente cercato di spiegare perché dopo avere votato contro Marini per due volte, aveva votato Prodi e non Rodotà. Posizione da me non condivisa, ma legittima. Come a lui ad ognuno di noi marchiato PD è stato inflitto il linciaggio senza guardare alla storia di ognuno di noi come se Scalfarotto fosse come la Finocchiaro o come Sassoli o come chi voleva votare Marini, ha silurato Prodi e ora, come dice Civati, forse farà il ministro.

Ecco qui è il punto “cruciale” del nostro tempo.

Saper distinguere. E sapere esercitare dissenso e non deligittimazione. Viviamo in un Paese che ha bisogno di legittimarsi per ritrovarsi, di scendere dalle barriccate davanti all’emergenza del lavoro. Viviamo in un tempo erede di un ventennio in cui c’erano i buoni e i cattivi e forse ci sono ancora. Solo che ci sono cattivi anche tra i buoni e viceversa e questo (quel “siete tutti uguali, in fondo”) ha mandato in tilt il sistema e Berlinguer lo aveva previsto.

E questo cortocircuito ha creato il M5S formazione in cui convive tutto e il contrario di tutto e soprattutto trova spazio la rabbia cieca che tutto vuole spazzare via, senza salvare nulla, perché chi non è con noi è contro di noi. Ebbe questa non è linfa per la democrazia e forse a  Avevamo ragione noi a voler rottamare questa classe dirigente vecchia e non anagraficamente parlando. Non ce l’abbiamo ancora fatta e intanto la frittata è fatta.

Distinguere dissenso da delegittimazione: non lo sa fare né il PD con la sua organizzazione ancora nelle mani di chi ha globuli rossi stalinisti (e che con quei metodi si vendica di Prodi bruciandolo) né la piazza colma di rabbia che rischia di ripetere Weimar e la marcia su Roma e tutti quei momenti (primavere arabe incluse) in cui la rabbia è il motore di trasformazione tra un sistema che non funziona più e una dittatura.

Quella dell’imposizione del pensiero unico, quella della supremazia della ragione, ma quella propria, non quella collettiva che sta scritta nella democrazia e che ha scritto la pagina triste di questi giorni, ma che è democrazia. E’ democrazia quel contenitore che tutela tutti: da Berlusconi a Grillo, passando per ognuno di noi.

Questo è il momento più delicato di quella fase. Il momento in cui tanti democratici sono tentati di salire sul treno della rabbia e spaccare tutto perché stavolta il “vecchio regime” fatto anche da tanti giovani servi, ha proprio esagerato.

A costo di sembrare il mulo stupido della situazione io resto dentro quel solco perché NON vedo alternative. Tra il M5S che vuole essere partito unico e e l’aspirazione alla vocazione maggioritaria sceglierò sempre la seconda perché mi consente di legittimare l’esistenza di una sana opposizione. Tra l’iperdemocrazia che voleva epurare chi ha votato Grasso al posto di Schifani ed oggi vuole linciare chi ha il coraggio di interpretare il proprio ruolo di deputato sceglierò sempre i luoghi dove posso dissentire e continuerò a lottare affinché anche nel PD lo si possa fare di più e ancora di più.

Non se non facciamo pulizia stavolta, ma a fondo, e non per finta. Vorrei, in questi giorni che le tensioni centrifughe dei soggetti democratici (nell’ordine il PD di Barca, quello di Civati, quello di Renzi o SeL di Vendola) non si sentissero meglio a stare lontani per restare con i propri simili. Ricordiamoci tutti che poi si deve governare, non siamo nati per fondare partiti, ma per farli funzionare: e vorrei che proprio ora venisse fondata quella grande forza democratica e basata sulla Costituzione che tenga dentro tutti e che condivida un progetto di governo.

p.s. scrivo questo post mentre mancano 100 sezioni allo spoglio in FVG. Affluenza bassissima, PD primo partito e la Serracchiani non travolta, comunque, dall’effetto del we. E’ un dato che ci farà riflettere nei prossimi giorni. Non andrà impugnato da nessuno contro nessuno. Sarà solo il risultato del PD FVG e di Debora a dimostrazione che la differenza lo fanno le persone e che gli elettori lo capiscono benissimo, anche nei momenti più complicati.

Ma che ci fai ancora nel PD?

“Ma che ci fai ancora nel PD?” Suona così il commento di Stefano, il primo a questo post di Civati.

Hanno suonato così per mesi gli sms dei nostri amici, i commenti ai nostri post.

Noi avevamo “sentito” questo distacco.

Ma ieri si è proprio staccato un pezzo, altro che distacco. Una deriva epica. Sui cellulari per tutto il giorno arrivavano insulti o foto di cartelli fuori dei circoli occupati “Occupy PD” e “Not in my name”. Gente che chiedeva: “ma perché almeno non ci provate?” o del tipo “Ma perché Renzi ha detto sì a Napolitano?”. Altri si liberavano dalla sindrome della FGCI e si dichiaravano finalmente: liberi dal corpaccione, liberi di non seguire più la “linea del segretario” se porta alla morte.

E mentre accadeva tutto questo mi risuonano le vergognose parole della Finocchiaro “Che vogliono questi signori?” oppure il tweet di David Sassoli ” Elezione Napolitano due sconfitti Grillo e SeL”.

Insomma decine di Maria Antonietta arroccate sul proprio scranno. I due non sono due qualunque. Sono una ex capogruppo al Senato e l’altro è attuale capogruppo in Europa. Certo non due qualunque. 

A chi mi chiede cosa faccio ancora nel PD dico: ma che cosa ci fanno loro ancora nel PD (loro i due di cui sopra).

Però, ora, l’operazione “Tutti a casa” ha un tempo limitato. Non possiamo continuare a dire che li vogliamo mandare via, poi non ci riusciamo e restiamo a guardare lo sfracello che fanno. La questione è immediata ed urgente e serve che i buoni stavolta si organizzino in fretta. 

Serve: dire no al Governissimo a meno di condizioni chiare e certe sul ritorno al voto, in caso contrario staccarsi. Nomi cognomi e facce che non si pieghino a questo. Che chiedano poche cose giuste che poi in parte sono le cose che diciamo da anni…ma che ha presentato il M5S.

Mettere la sigla al pezzo sano di PD attraverso  le facce dei parlamentari sani non è irresponsabilità.

Non vedo come si possa costruire un governo con PDL e Scelta Civica che non sia di “poltronaggio” : o dura pochissimo e fa le riforme per tornare al voto o noi dobbiamo andarcene. Non abbiamo scelta e i prossimi passi devono essere chiari, netti e facilmente comprensibili.

Io ho il terrore del congresso, ve lo dico. So come funzionano so come si portano i voti: non tutti, ma quelli che fanno la differenza. Preferisco un confronto elettorale se serve, almeno una volta. Sarebbe più “vero”.

So che loro vincerebbero di nuovo  o salterebbero sul carro di chi gli garantisce futuro. Preferisco fare un altro soggetto e accogliere chi vuole venire via con noi. Un soggetto che non è la cosa dell’8 maggio di Vendola (caro Vendola: è anche colpa tua se siamo in questa situazione perché Bersani contro Renzi lo hai voluto fortissimamente anche tu!) che ricostruisce la sinistra del secolo scorso. Noi dobbiamo tenere la barra dritta nel solco post ideologico che ha sognato un partito socialdemocratico e laico, contemporaneo e dai metodi assolutamente anglosassoni e non dai metodi stalinisti come oggi si usa nel PD nella peggiore eredità del PCI. Insomma noi vogliamo ancora fortissimamente il PD. 

Insomma noi fuori o dentro siamo il PD. Ma non possiamo farci ingabbiare da dinamiche autoreferenziali.

p.s. Ve la butto lì. Ieri mattina dovevamo provare ad eleggere Rodotà. Ma Napolitano è meglio (eh, sì) di mille D’Alema o Amato e forse la sua rielezione ha evitato il peggio e Grillo deve sapere che non cedere posizioni è bello, ma la politica è anche questo. Ora non abbiamo Rodotà, ma per fortuna non abbiamo D’Alema. Ora vediamo lunedì cosa dice Napolitano, vediamo quanto dura e che missione ha il prossimo governo e soprattutto costruiamo l’alternativa. Tempo scaduto.

p.s.2 Continuo a pensare che serva un unico soggetto politico come il labour inglese dove trotskisti e liberali convivono, con un’idea equilibrata di socialdemocrazia e una netta diversità nel concepire il welfare. Perché è il welfare la vera differenza tra destra e sinistra oggi, molto più della posizione in economia.