Il discorso maschilista di Mattarella e l’assenza (o precarietà) di una cultura dei diritti civili.

Don08Le parole pronunciate ieri dal presidente Mattarella in occasione della festa della donna rappresentano una buona scusa per riflettere sullo stato dell’arte culturale più che politico dei diritti civili in Italia.

Dice il presidente della Repubblica all’inizio del suo discorso:

[…] Rivolgo un saluto a tutte le signore qui presenti così numerose e tutte le donne italiane, molte delle quali ci seguono in diretta televisiva. Sono, siete, milioni di professioniste, di docenti, di casalinghe, di lavoratrici dipendenti, di imprenditrici, di disoccupate, di madri, di nonne e di ragazze. Donne consapevoli, che badano all’essenziale e a ciò che è bello, spesso alla difficile ricerca di una compatibilità tra il lavoro e la famiglia. Su di voi grava il peso maggiore della crisi economica.
A voi, una società non bene organizzata affida il compito, delicato e fondamentale, di provvedere in maniera prevalente all’educazione dei figli e alla cura degli anziani e dei portatori di invalidità. Lo fate silenziosamente, a volte faticosamente. Senza la donne, senza di voi, l’Italia sarebbe più povera e più ingiusta. Siete il volto prevalente della solidarietà. Il volto della coesione sociale. Dovremmo ricordarlo costantemente. E non dovremmo smettere mai di ringraziarvi. […]

E conclude con una citazione:

[…]Permettetemi di chiudere questo mio breve intervento con un detto dei nativi americani Ojibwej: 
«La donna è la radice sulla quale le nazioni sono costruite. Essa è il cuore della sua nazione. Se il suo cuore è debole, il popolo sarà debole. Se il suo cuore è forte e la sua mente limpida, allora la nazione sarà forte e determinata. La donna è il centro di ogni cosa».[…]

In nessuna parte del suo discorso – mai – compare un impegno a cambiare questa condizione per cui le donne sono dedite alla cura e alla professione e, silenziosamente, ce la fanno. L’ammirazione che i maschi (che in contrapposizione alle donne quindi sono di solito presi da se stessi e dal potere e non ce la farebberp poverini a fare tutto, quindi…non lo fanno) rivolgono alle donne assume una caratteristica tipicamente maschilista: voi donne siete regine del focolare, svolgete i vostri doveri in modo umile senza vantarvi, noi maschi invece facciamo la guerra, ostentiamo il potere e senza di voi saremmo perduti.

Ecco a me la matrice del discorso di Mattarella appare in assoluto contrasto con la cultura della parità che vorrei che il mio Paese promuovesse e mi sembra invece in linea, pur forse non volendolo, con il movimento reazionario degli invasati di “sposati e sii sottomessa” versione maschilista e sorella stretta delle molto omofobe sentinelle in piedi. Nella adulazione dei ruoli svolti dalla donna, scorgo anche una certificazione della loro giustezza. Il discorso di Mattarella, in sostanza, non è stato politico, ma culturale. Non c’è stato alcun impegno a modificare lo stato delle cose che per la maggior parte, possiamo anche ammetterlo, sono esattamente come il Presidente le racconta, anche se io sono assolutamente convinta che una nuova generazione di maschi attenta alle cosiddette dinamiche di cura sia già nata, esista ed è un errore ignorarlo.

Nelle scorse settimane è stato toccato un altro tema, stavolta dalla ministra Madia alle invasioni barbariche. Anzi i temi sono stati due. Uno il matrimonio egualitario (in cui la ministra ha detto di essere convinta che prima o poi si arriverà al matrimonio anche per le coppie omosessuali) l’altro il tema dell’eutanasia, tema delicato perché l’argomento ha toccato una questione personale che riguardava direttamente la ministra e sulla quale la ministra si è dichiarata a favore di una zona grigia dove a decidere è la comunità amante e non le volontà del malato espresse quando era sano attraverso un testamento biologico. Anche in questo caso a mancare nelle parole della ministra (che pure conosco e alla quale voglio bene per molti motivi) è una cultura politica collettiva. In un mondo ideale in cui la famiglia è il luogo dell’amore anche io sarei d’accordo che a decidere di me fossero i miei famigliari. Ma la legge serve proprio per garantire tutti. Anche chi non necessariamente ha una famiglia amorevole. Anche il matrimonio civile non serve a molto se va tutto bene e si è ricchi. Serve proprio in tutti gli altri casi. La legge è nata per tutelare i deboli e non far prevalere la legge dei più forti. E’ per questo che non viviamo più nelle caverne e non decidiamo più le cose a colpi di clava.

Nella risposta sui matrimoni egualitari si certifica che, come è accaduto altrove, anche in Italia si arriverà al matrimonio e non, invece, che lo faremo accadere. Non siamo ancora abituati a parlare di questi temi in modo profondamente politico se non in presenza di domande in cui spesso politici e ministri ancora rispondono solo a titolo personale.

Si pensi che mentre la ministra risponde sul matrimonio, stiamo invece aspettando che si definisca la forma di un disegno di legge sulle unioni civili che proprio perché non è ancora l’estensione del matrimonio è ancora prigioniero di interpretazioni e di tira e molla schiavi del governo di larghe intese (ne ho scritto lungamente per esempio qui).

Manca, in sostanza, una visione di Paese che comprenda anche i diritti civili: persiste un precariato generalizzato in cui gli stessi partiti su questi temi sono divisi (lo stesso PD che ha fatto passi da gigante grazie al certosino lavoro di molti e ora ha nel programma le Civil Partnership con la stepchild adoption che solo due anni fa sembravano una chimera è ancora troppo arrettrato: la posizione del PD nel 2015 dovrebbe essere il matrimonio egualitario e la discussione sulle unioni civili dovrebbe essere solo un effetto della presenza delle larghe intese).

Oggi, lo stesso PD ha paura di fare propri questi temi, di farli diventare autentica componente della propria visione di Paese, nel frattempo sedicenti associazioni di genitori invadono le scuole con l’invenzione della teoria gender. Per assurdo le prime vittime della guerra omofoba saranno proprio le donne, perchè è dalla prigionia dei ruoli che i fanatici religiosi stanno ricominciando a fare proseliti. Per questo il discorso di Mattarella apparentemente innocuo e lodevole mi appare in tutta la sua pericolisità culturale.

L’errore di Renzi sui diritti civili (da non fare) e la leadership LGBT italiana.

Lo ha detto Renzi stesso al Senato nel suo discorso sulla fiducia, quando mi ha citato per darmi torto: non sono a favore di alcun compromesso con Alfano. A dimostrazione di due cose: che il Premier si circonda anche di dissenzienti, il che è un pregio del premier, e che chi lo ha votato non è solo un tifoso che ha perso lo spirito critico, il che è un pregio di molti noi che lo hanno votato. 

Conosco la buona fede di Renzi sul tema, conosco i passi avanti che ha fatto. Li abbiamo fatti insieme. E so che non è un uomo politico che si nasconderà dietro a qualche bandierina gay per dare qualche contentino a qualcuno. Non manderà avanti nessuno al posto suo. Come sulle pari opportunità ci metterà la faccia. Non appalterà il tema a nessun simbolo corporativo. E rischierà anche di sbagliare, come a mio avviso farebbe se tentasse un accordo con Alfano sulle unioni civili.

Le Civil Partnership con la stepchild Adoption cioè l’uguaglianza quasi (manca l’adozione di entrambi i coniugi) sostanziale (ma non formale) sono già per noi un enorme compromesso e rappresentano il livello minimo oltre cui non è possibile andare.

Non è possibile farlo perché nessuno di noi andrà mai a dire ad un ragazzo di sedici anni gay che lui è meno di un suo coetaneo. Altrimenti non dovremo stupirci se si butta dal settimo piano. Non è estremismo. Non è ideologia checché ne dicano i commentatori da salotto romano con la passione per il poker.

Il matrimonio civile è un istituto civile. Punto. La genitorialità è altra cosa dal concepire un embrione. Punto. Sono dati di fatto che non hanno nessuna presunzione ideologica, ma solo la carica di amore e di affettività che compongono le famiglie, in qualsiasi modo esse si manifestino. Stiamo parlando di affetti. Di libertà di scelta. Stiamo parlando di umanità. A me viene da piangere a pensare di dover ribadire ancora e ancora quali sono i termini del discorso.

Per chi fa politica dentro un partito che può vincere le elezioni (con una legge elettorale maggioritaria ovviamente) in questi anni è stato faticoso portare un partito che era arroccato sui Dico o sui documenti fiume a dire all’ultimo congresso che la posizione maggioritaria del PD è un istituto equivalente al matrimonio (per inciso la mozione Civati era per il matrimonio egualitario). Lo abbiamo fatto tutti insieme, in ogni angolo del partito. Lo abbiamo fatto prendendoci lo stesso gli insulti di tanti tastieristi digitali o di chi ha costruito carriere e professioni su una bandiera e non sull’amore complessivo per tutti, per tutto il Paese. Faccio politica, ho a cuore la vita di tutti, non solo di quelli come me. Non potrei mai relegarmi a chiedere qualcosa che escluda qualcun altro. Non è per me. E’ per questo che credo in un progetto di Paese dove dentro trovino residenza le battaglie per l’uguaglianza della comunità omosessuale e transessuale.

Io voglio che il mio Paese, la mia gente abbia leggi che li renda uguali. Non mi interessa niente altro. So che i processi politici non sono come le dichiarazioni. Non basta farle. Bisogna costruirli. Faccio politica da quando ho sedici anni e non ho mai mangiato con la politica, ma a parte questo comincia a starmi stretta questa cosa demagogica che chi fa politica fa schifo o è disposto a vendersi la madre o i diritti della propria gente per uno scaldotto da qualche parte. Come siamo abituati male. Come ci siamo ridotti. Oggi sono in Direzione Nazionale del PD e spesso non riesco nemmeno ad andarci perché gli impegni del mio lavoro – che mi piace moltissimo – e che non è un parcheggio per funzionari di allevamento, non me lo consentono.

Non solo è stato faticoso portare il partito su posizioni accettabili, ma per alcuni di noi è stato anche un sacrificio personale. Perché chi tiene il punto e dimostra di non saper cedere su questioni sacrificabili si sacrifica per primo. E’ identificato come non piegabile, non è certo carne da larghe intese. Io non sono carne da larghe intese. Ma il vero tema è un altro. Non penseremo che la colpa della mancanza dei diritti in Italia sia colpa di un paio di parlamentari gay che stanno nel PD o di qualche attività che invece di stare in un’associazione ha deciso di portare avanti un cammino politico dentro un partito. Eh, no. Scusate ma è un’analisi ridicola e anche un po’ stupida: mi sembra più lo sport sfigato e superficiale di mirare su qualcuno, dargli tutte le colpe e lavarsi la coscienza.

Cosa si può fare tutti insieme?

Chi è dentro il PD. Opporci ad ogni tipo di compromesso con Alfano. Punto. Io lo scrivo qui, costasse quel che costi. E senza troppi giri di parole.

Chi è fuori dal PD. Spingere per incontrare i gruppi parlamentari e provare a trovare convergenze in parlamento. Se il tentativo di Alfano in questa legislatura (prima di riscomparire sotto le gonne di Berlusconi per capirci) è di far passare una schifezza modello DICO e se la maggioranza parlamentare del PD non è ancora adeguata alle posizioni del PD fuori (non dimenticatevi che il PD in Parlamento non è il PD fuori dal parlamento uscito dalle urne dell’8 dicembre). Alla leadership di Renzi si risponda con un’altra leadership forte. Si contrapponga un’idea, un progetto, dei momenti di confronto. Ci sono tantissimi parlamentari che sarebbero disposti a seguire una strategia simile. Chi per far dispetto ad Alfano, chi per farlo a Renzi. Chi, come me, per fare approvare una legge che vorrei che i miei figli vedessero quando nascono. Magari farebbe comodo allo stesso Renzi perchè se dovesse votare una schifezza con Alfano ne uscirebbe con le ossa rotte perchè dimostrerebbe che nemmeno la sua leadership può far nulla di più che scendere a compromessi con i partitini su questo come su altro. Ma c’è qualcuno che vuole trovare una soluzione per il bene della nostra comunità o abbiamo solo commentatori che cercano click e visibilità sui loro blog alla Scanzi o professionisti della materia (per citare Sciascia) che con l’approvazione di una legge giusta non saprebbero più che cosa fare?

So che Renzi deve fare dei passi avanti sul tema dei diritti civili. L’ho scritto tante di quelle volte che chi non ha capito come la penso o è stupido o è in malafede e penso che le sue stesse parole dette ieri al Senato lo dimostrino. Non lo nega nemmeno lui di essere “timido” e non ha mai cercato giri di parole per nascondersi. Eppure oggi se devo pensare a qualcuno che alla fine ci accompagnerà dove vogliamo andare, penso a lui ed è per questo che l’ho votato. Se no perché lo avrei votato? Fiducia mal riposta? Vedremo. E se mi guardo intorno non vedo nessun altro che possa spiegare al Paese con coraggio che una cosa è giusta e la si deve fare anche se è impopolare (sempre che ancora lo sia). Ho visto gente che si è riempita la bocca e poi ci ha messo da parte. Ed è per questo che su questo tema, insieme ad altri, ho sempre cercato di smuoverlo (fin ora con buoni risultati) e continuerò a farlo senza avere paura di dirgli cosa penso, in pubblico ed in privato. D’altronde non mi dimentico che anche Obama è cresciuto tra il primo mandato ed il secondo. O che Cameron ha cambiato idea. Certo in USA e in UK ci sono anche delle comunità LGBT forti, che hanno saputo guidare dei processi. E allora ognuno si prenda le proprie responsabilità e si provi a guidare un processo collettivo che ci porti alla meta.

Dobbiamo farlo tutti insieme. O vogliamo restare a guardare?

Il PD in Parlamento e il PD nel Paese: il paradosso Fassina

Stefano Fassina si è dimesso da viceministro dell’economia, apparentemente con una riflessione corretta, che però a mio avviso è un tranello in cui non si deve cascare e Fassina farebbe bene a ritirare le sue dimissioni e a restare al suo posto, in coerenza con il governo Letta, a prescindere dalla linea del PD, partito di cui fa parte e di cui non mi pare abbia strappato la tessera (cosa che non deve assolutamente fare anche se la pensiamo su molte cose in maniera mooolto diversa). La linea del PD guidato da Renzi non è quella di Bersani. Certo. Non è nemmeno quella di navigare a vista dentro il governo delle larghe intese. E’ evidente a tutti. E’ altrettanto evidente che sia necessario fare un paio di passaggi prima di tornare a votare, non è un caso che Renzi stia accelerando sulla questione legge elettorale e riforme istituzionali: vuole essere certo di andare a votare e di dare al Paese un risultato chiaro: chi vince governa. Punto.

Fassina è stato eletto in una tornata elettorale guidata da Bersani. Il PD che siede in parlamento, in buona sostanza, è espressione della segreteria passata, così come le larghe intese. Insomma anche Zanda e Speranza, capogruppo al Senato e alla Camera mi appaiono come qualcosa di avvenuto e scelto due secoli fa. Ci sarebbe da chiedere a Fassina se si sente più vicino ad Alfano e poche settimane fa a Brunetta che a Renzi. Insomma se accetti di stare nelle larghe intese, puoi accettare anche di fare il viceministro nell’era Renzi.

In ogni caso, personalmente sono tra quelli che NON si augura nessun rimpasto e lascerei a Letta la scelta di un nuovo viceministro se Fassina non dovesse ritirare le proprie dimissioni. Così come non chiederei alcun cambio che rafforzi il PD a scapito del NCD, a meno che non sia prettamente funzionale all’approvazione rapida delle risorse e poi all’andare al voto.

Il PD che sta in parlamento è molto diverso dal PD che ha votato l’8 dicembre. Non fosse altro per la modifica avvenuta anche nel nostro popolo nel giro di un solo anno a riprova che le larghe intese non sono molto amate dalla cosiddetta base e che quella scelta ha deluso la maggior parte di noi che voleva un governo di larghe intese SOLO per fare la riforma elettorale, strategia che ora sta palesemente e rapidamente seguendo il nuovo PD.

Insomma la mossa di Fassina mette in evidenza il paradosso in cui viviamo: due PD diversi.

Uno barricato in parlamento, l’altro fuori. E quello fuori non ha nessuna intenzione di alimentare per molto tempo quello dentro.

Separare i sassi dalle lenticchie.

Ho scritto poco questi giorni, lavorato tanto e il poco tempo libero l’ho dedicato alla fase finale di editing del prossimo romanzo che uscirà nei primi mesi del 2014.

Ho letto tutto come sempre, nel mio ruolo strano di chi partecipa alla vita politica pur non lavorando in politica. Così so le cose leggendo i giornali, come tutti d’altronde. Parlo del Milleproroghe o delle Millemarchette. Insomma sono tra quelli che a tutti i livelli amministrativi detesta questa pratica di destinare fondi per attività di vario tipo che come è noto, a meno di eccezioni, vanno ad ingrassare le relazioni personali tra eletti e elettori, senza nessun controllo di cosa si faccia poi effettivamente con i soldi, i nostri soldi e di questi tempi per chi paga le tasse e si suda lo stipendio (per chi ce l’ha) comincia ad essere davvero fastidioso il pensiero che quei soldi non subiscano alcun controllo. Quindi io quella rabbia la capisco, è figlia di questo tempo, non appartiene a Grillo o qualche altro populista di passaggio si chiami Bossi o Berlusconi ruolo che anche loro, in modi diversi, hanno ricoperto in egual modo.

E’ da qualche giorno che voglio dire una cosa semplice su Grillo e il M5S. Non ammettere che la presenza del M5S sia una presenza di controllo e vigilanza sarebbe da idioti. E’ la loro prima volta, la loro missione di “cittadini inviati in parlamento” è alla prima prova, sono freschi del mandato che si sono autoimposti. Non sappiamo quanto durerà questa luna di miele tutta autoreferenziale, è umano che quel legame con il loro principio si annacqui prima poi. Ma oggi sono utili in un contesto dove per troppo tempo si è inciuciato, pur facendo finta di stare l’un contro l’altro armati.

Poi il M5S ci dovrà dimostrare di sapere anche distinguere. E costruire. Ecco il fatto è che continuo a percepire segnali che non mi piacciono, quei semi totalitari che spuntano nel campo della disperazione: irridere tutto, squassare tutto. Non c’è distinzione. Non c’è critica. Non c’è discernimento. E’ come trovare un sasso in una busta di lenticchie e buttare via tutte le lenticchie, senza quel lavoro faticoso e paziente che è la discriminazione, lenticchia per lenticchia. Isolare i sassi. Sono come uno sciame sismico che poi si tramuta in terremoto. Non accadrà forse. Speriamo. Però mai sottovalutare la storia.

Un episodio lo racconta bene Andrea Romano, qui.

Poi il cortocircuito di questo post, in cui Grillo decide che l’uomo dell’anno è il finto interprete del funerale di Mandela (che poi forse non era finto, ma non esattamente un professionista e in ogni caso una persona con dei problemi). Chiaro l’intento provocatorio e dissacratorio, Grillo e Casaleggio demoliscono ogni mito popolare affinché non resti nulla se non la speranza nel loro progetto di salvezza. E’ un progetto culturale lucidissimo, quasi più chiaro di quello della P2 di Licio Gelli. I miti sono l’oppio dei popoli e Grillo e Casaleggio li buttano giù, fanno spazio sui basamenti delle statue. Per erigerne altre.

Ecco cosa mi fa paura per il 2014. Non riuscire a separare i sassi dalle lenticchie, non avere la forza politica e sociale di raccontare al Paese le cose come stanno, ridare a tutti noi la cultura della complessità. Questo è un passaggio politico e sociale sostanziale delle dinamiche organizzate.

La democrazia è un esercizio difficile e faticoso che chi comanda tra troppo tempo e quando non accade il necessario ricambio (non generazionale, proprio il ricambio bipolare tra maggioranza e opposizione) tende ad usare per confondere le idee, per non spiegare meriti e responsabilità. Guardate che le larghe intese sono un abuso palese in questo senso: determinano una zona politica neutra, in cui non è possibile individuare la visione. Si procede a tentoni, si liquefà ogni idea di parte. Il totalitarismo taglia tutto con l’accetta, scaturisce quando la democrazia viene usata come una clava per non far funzionare le cose. Ecco noi dobbiamo tirare fuori dalla democrazia il meglio per evitare che il totalitarismo – come forma di pensiero che poi può divenire anche altro, come il secolo passato ci sbatte in faccia ogni giorno – divenga l’unica strada possibile.

Il PD e il suicidio di sopravvivenza.

Dopo quasi un anno dalle primarie PD, quando l’ apparato di partito (in cui gli EX DC hanno preso il peggio degli EX PCI e viceversa) decise di fare l’operazione “suicidio di sopravvivenza”, siamo al punto di partenza, come se fossimo al Gioco dell’Oca (ahimé poco giuliva) e nulla fosse accaduto.

Ricapitolando brevemente per i fanatici del tema: l’apparato capì che non si poteva impedire la sfida con Renzi, ma bisognava fare in modo che quella sfida fosse impari. Il mantra era: “sfidarlo, ma vincerlo”, un po’ come le elezioni ai tempi delle dittature. La forza organizzativa sui territori non doveva essere travolta dal voto popolare dell’elettorato e di quelli disposti a votare Renzi alle primarie per poi votarlo alle elezioni. Un piccolo punto su questo ultimo tema: votare Renzi alle primarie era per quel pezzo di Paese una cambiale in bianco verso una nuova idea di centro sinistra. Non erano cammelli berlusconiani che votavano Renzi alle primarie e poi votavano Berlusconi (che comunque non si sarebbe mai candidato in quel caso).

No, no. Volevano proprio votare Renzi e lo avrebbero votato con tutto Vendola e Fassina nella coalizione, quindi il “pericolo deriva a destra” non c’era e lo sapeva anche il famoso sanpietrino di piazza del Popolo (il mio riferimento alla stregua della casalinga di Voghera). Ci saremmo trovati Renzi premier con tutto il centro sinistra a governare con lui e quindi una coalizione costretta a dialogare per governare: cose meravigliose che ora fanno Letta e Alfano invece che Renzi e Vendola. Un po’ come succede nel labour inglese dove trotskisti e liberali convivono dialetticamente (e qui sono d’accordo con Cuperlo che dice che in questo partito si è persa la passione per il conflitto). Contenti voi.

C’è stata più violenza, più aggressività contro Renzi durante le primarie che contro Berlusconi in venti anni, inclusa l’ultima tornata elettorale.

La verità era ed è che la dirigenza diffusa di questo partito non vuole consegnare il partito a chiunque non sia allineato alle dinastie in campo dal secolo scorso. Si passa il testimone su principio familistico, non si fanno primarie aperte che facciano evolvere il partito sulla base della realtà. Il principio è l’obbedienza e l’epurazione dei corpi estranei. Si accettano ingressi dal carattere mite e con forti competenze tecniche ma che non pretendano di modificare gli equilibri. Il partito non è uno strumento, è il fine ultimo di sopravvivenza, è il luogo che consente di nominare in Rai, nelle aziende di Stato e nelle partecipate.

Se noi avessimo consapevolezza che i partiti sono davvero lo strumento costituzionale attraverso cui si dipana la democrazia non staremmo perdendo tutto questo tempo a demolire la grande intuizione veltroniana (che mancava di gambe anche per responsabilità del suo stesso ideatore) buttando ore a discutere di regole invece che di quale politica del lavoro dobbiamo mettere in campo per la generazione fantasma.

Questo partito è fatto di centinaia di migliaia di militanti (che sono comunque sempre di meno) che non meritano questo tappo. Non meritano essi stessi di avere paura del cambiamento. Non meritano ancora una volta che le regole del prossimo congresso siano il secondo suicidio di sopravvivenza nel giro di 12 mesi: contenere Renzi e il suo consenso, per tenersi il partito. E il bello è che ogni volta che facciamo le primarie, invece, questo partito (con tutti i difetti delle primarie che qualcuno prova sempre a deviare e che solo le primarie aperte impediscono che accada) diventa più bello e fa andare quasi sempre i migliori. Insomma ce l’abbiamo davanti agli occhi che quando chiamiamo il nostro popolo la diatriba sulle primarie aperte è una stupidaggine megagalattica.

Franceschini dice che dobbiamo separare le due cariche perché non siamo più in tempi di bipolarismo. E’ sbagliato. Siamo noi con la nostra debolezza, con questa vigliaccheria politica che abbiamo generato il terzo polo (Grillo). E invece di andare a riprendere la nostra gente, la lasciamo fuori. Una resa che meriterebbe la pensione, lo dico con rispetto.

Separare le due cariche, l’abbiamo già scritto in molti, significa aumentare la distanza tra Partito e Paese. Affermare che ci sia bisogno di un segretario dedicato al partito è come dire che il segretario deve organizzare un esercito pronto ad obbedire e non un partito che senta il battito del Paese.

Chiudere le primarie perché “il partito è nostro, quindi decidiamo noi chi lo guida” è svuotare di senso l’idea di partito moderno. Poteva andare bene quando il PCI aveva centinaia di migliaia di iscritti e quegli iscritti erano corpo sociale e quindi rappresentativi della società, ora non va più bene: sarebbe interessante avere la profilazione degli iscritti PD. Quanti impiegati statali, quanti assunti nelle partecipate, quante partite iva, quanti imprenditori, quanti studenti, quante casalinghe, quanti pensionati, quanti falegnami, quanti sindacalisti. Secondo me scopriremmo che ci mancano pezzi enormi di Paese e forse scopriremmo che – quei pezzi – è necessario coinvolgerli in modelli partecipativi che abbiamo, funzionano, non si capisce perché eliminarli ogni volta che fa comodo come se la nostra identità di PD fosse sempre in discussione, una roba da rimasticare ogni tanto a seconda di come gira il vento.

La paura di perdere il partito è più grande di quella di perdere le elezioni. Io sto seriamente cominciando a pensare che questo partito è diventato più piccolo e stretto di quello che abbiamo lasciato fuori e che se non si riesce a riaprire le porte, forse bisognerà sbattere una porta e andarsene dove già ci aspetta il Paese.

Fossi in Renzi ci penserei seriamente.

Via la Biancofiore, ma…

Bene Enrico Letta che ha tolto le deleghe alla Biancofiore.

Però:

1) perché dovevamo metterla per forza da qualche parte? (e che ci ha fatto la Pubblica Amministrazione di male per meritarsela al posto delle Pari Opportunità?)

2) perché scegliamo in base alle appartenenze e non alle singole competenze e alle esigenze del Paese?

(Ecco su questa cosa continuo ad avere posizioni molto perplesse e negative…un governo di emergenza è un governo che dovrebbe a cuore solo il Paese, non le poltrone di correnti e sottocorrenti, no?)