Pino Daniele, i fischi a D’Alema e il Paese che ha perso la fiducia.

Nuova immagineIntollerabili i fischi a D’Alema. Figli di un Paese pronto ad indignarsi per qualsiasi cosa a vanvera. Non era la fila per mangiare il caviale, ma la fila per visitare un morto (e resta da capire il senso per chi non lo conosceva mentre è chiarissimo per chi poteva amarlo o volergli bene, io non andrei mai a disturbare la famiglia in un momento così doloroso e intimo) ed è normale che amici e conoscenti vengano fatti passare prima perché si riconosce un primato alla relazione privata piuttosto che a quella pubblica. D’Alema sta antipatico anche a me, ma se la famiglia gli ha aperto le porte, contestarlo è stata una mancanza di rispetto per loro e per il defunto. Che Paese insopportabile e meschino che siamo capaci di essere a volte.

Eppure questa rabbia inamovibile è figlia di una passione tradita. Negarlo e chiuderla qui sarebbe sciocco. È il simbolo marcio di una non indifferenza, facevo questa riflessione su twitter ieri leggendo l’articolo che vedete nell’immagine di Costanza Riccacasa D’Orsogna. E’ come avessimo perso lo sguardo limpido e fosse sempre necessario intorbidire gettare un sasso nello stagno. E’ una rabbia che ci descrive come popolo e deve essere rimossa per sostituzione. La medicina è non tradire la fiducia. Tutta questa rabbia è una questione di fiducia.

D’Alema e Bersani si amano ancora, tranquilli.

Ha ragione Chiara Geloni. E’ una montatura giornalistica. In realtà non è successo niente:

Bersani: “Io non chiederò a D’Alema di candidarsi. Io non chiedo a nessuno di candidarsi. Io non sono quello che nomina i deputati. Io farò applicare la regola, chi ha fatto più di quindici anni per essere candidato deve singolarmente chiedere una deroga alla direzione nazionale”

D’Alema: “Sono del tutto d’accordo con Bersani: ha giustamente ricordato una procedura che mi è nota, cioè che è l’organismo collegiale che decide. Ha ragione, non spetta a lui e d’altro canto non mi ero rivolto a lui ma al partito”.

p.s. ma non abbiamo altro di cui parlare in Italia? Lo dico ai giornalisti…..Bersani non rottama D’Alema, non può. Sarà l’assemblea del PD a dare o no la deroga a D’Alema. L’assemblea cammellata di tanti dalemiani, quindi state sereni: o si fa da parte o sarà candidato. Amen.

 

Vince D’Alema 40-3 (per questo se ne deve andare)

Ho fatto un esercizio questa sera prima di gettarmi tra le braccia di Cleopatra.

Ho postato due post.

1) Uno in cui sfidavo D’Alema ad un uno contro uno in un collegio uninominale.

2) Uno in cui parlavo della sanità nel Lazio, raccontando una cosa gravissima.

L’ho fatto perché prima di uscire dall’ufficio ho guardato i titoli dei giornali e c’era il faccione di D’Alema che raccoglie firme di adepti per ricandidarsi. E mi sono incazzata. Mi sono incazzata perché avevo appena ascoltato la storia al punto 2 e ho pensato che siamo un Paese malato. Malato di tutto, anche di dalemite, nel bene e nel male.

Su FB il post in cui sfidavo D’Alema ha avuto circa 40 “mi piace” e una 60ina di commenti. Quello sulla sanità ha avuto 3 “mi piace”. E’ vero, a chi può mai piacere quello che racconto sulla sanità nel Lazio? A pochi. Però neanche un commento, un segno di vita, un dibattito. Poca roba. E in effetti accade sempre quando si parla di cose serie, di buon governo, di idee per migliorare il Paese. Niente sangue per gli squali.

Sono sempre dell’idea che oggi D’Alema sia il simbolo (giusto o sbagliato che sia) della politica che non ha funzionato, che ha lasciato accadere le cose al punto 2. E quindi so benissimo che adesso la rabbia del Paese o il tifo dalemasessuale sembrano cose senza senso (a uno che apre il mio blog e magari gli hanno appena mandato una cartella di Equitalia perché non riesce a pagare le tasse) e invece un senso ce l’hanno. Ma proprio davanti a questa sproporzione, uno come Massimo D’Alema dovrebbe farsi indietro, spersonalizzare la politica, mettersi a insegnare se vuole (io da lui non andrei ad imparare come si diventa statisti o come si mangia la crostata, si intenda), ma capire che adesso (ehm) basta così. Che quando stai troppo in politica poi ti viene voglia di incidere sulle banche, di piazzare troppa gente nelle partecipate, di accordarti. E’ la politica, magari capiterebbe a tutti dopo 7 mandati parlamentari. E’ proprio per questo che in politica, nei paesi moderni, si preferisce il ricambio all’esperienza. Per mantenere puliti quei rapporti, quelle relazioni con cui se fai politica ti trovi ad inciampare. Sanità compresa, per tornare al dunque, quel dunque vero di cui dobbiamo ricominciare a parlare.

Disponibile a sfidare D’Alema.

D’Alema dice: corro solo se me lo chiede il Partito.

Gli piace giocare facile dopo averne cooptato buona parte.

Io direi che dovrebbero chiederglielo gli elettori. E per farlo: o sfida qualcuno alle primarie interne (sono disponibile ad uno contro uno nel suo collegio di residenza romano) oppure si fa un banale giro per i mercati senza truppe cammellate che gli ostruiscono la realtà.

Appello ai dalemiani.

Attenzione alla seguente frase:

“È anche per questo che stavamo valutando con Bersani la possibilità di un mio abbandono del Parlamento. Del resto, questo non avrebbe ostacolato un qualche mio impegno al governo, se vinceremo le elezioni e se sarà ritenuto necessario.”

Insomma avrebbe rinunciato a candidarsi, ma si aspettava un ministero.

Ora oltre a volere un ministero si ricandida.

Massimo D’Alema chi?

Quello del «patto della crostata» (settembre 1997  con Francesco CossigaFranco MariniSilvio Berlusconi e Gianfranco Fini durante una cena svoltasi nella notte fra il 17 e il 18 giugno nella casa di Gianni Letta di via della Camilluccia a Roma), riforme istituzionali ma nessuna legge sulle reti televisive.

Quello che quando Natta ebbe un infarto parlò di successione ai vertici del partito senza nemmeno consultarsi con lui che Renzi in confronto è un delicato riformatore.

Quello che ha fatto sette, dico sette, legislature.

Quello che dice che il matrimonio gay offende il sentimento religioso degli italiani?

Scusate ma siamo ridicoli. Non se ne può più. Lo dico anche ai dalemasessuali…così ci diamo la zappa sui piedi. Andate a lezione da lui, adoratelo, fatevi trapassare la sua sapienza, ma convincetelo a NON candidarsi e a NON volere ruoli nel governo Bersani.

Perché voterò Matteo Renzi.

Chi prende posizione si prende la responsabilità dei propri atti, delle proprie scelte. Ho deciso di farlo, in modo netto ed anche lacerante.

Voterò per Matteo Renzi alle primarie per un motivo molto semplice:  non voglio solo vincere le prossime elezioni. Vorrei un governo che duri almeno dieci anni e che sappia incidere sul Paese, trasformandolo radicalmente. Ad oggi Matteo Renzi è l’unico che ha le carte in regola per vincere ed è l’unico che consenta attorno a se spazi per poter partecipare a quel progetto anche se non si proviene dalla tradizione di partito o da una qualche corrente benedetta. Bersani fa parte della classe dirigente degli ultimi venti anni. E’ una brava persona, forse un po’ ingenuo considerato che ha nominato Penati suo responsabile della campagna elettorale da segretario.

Bersani, come Veltroni, non ha saputo smarcarsi dal giogo correntizio della fusione fredda di due partiti.

Renzi oggi pur provenendo da una storia e da una tradizione diversa dalla mia, è un democratico a tutti gli effetti. Ha persino un senso molto meno reverenziale nei confronti del partito, non perché i partiti debbano essere spazzati via come professa Grillo. Ma perché devono tornare ad essere strumento di democrazia e non fine ultimo di interessi di parte. E questa la terza via tra Grillo e D’Alema, Dei partiti utili. Trasparenti. Non di proprietà. Non ostaggio. Contendibili. Lo abbiamo visto nel Lazio con la candidatura di Bachelet. Avevamo contro tutti. Tutti i consiglieri regionali che hanno tappezzato il Lazio di manifesti abusivi per Gasbarra e cammellato truppe per impedire che Bachelet potesse occupare anche solo un po’ di spazio nel partito con la sua gente. Tutto chiuso. Sbarrato. Di proprietà.

Matteo Renzi oggi viene dipinto come il male assoluto. E’ il sindaco del PD di Firenze. A Piazza Pulita hanno elencato i personaggi che lo elogiano: Berlusconi, Iva Zanicchi, Lele Mora, Flavio Briatore, Marcello dell’Utri.  Tutti personaggi del ventennio che hanno in comune una cosa agli occhi di un osservatore con un minimo di cultura politica. Sono soggetti alla fascinazione del carisma. Se chiedete loro se gli piaceva Berlinguer vi risponderanno di sì. Il fatto che Matteo Renzi abbia carisma non può essere un’affermazione ontologica che lo collochi a destra. E’ una follia propagandistica. Il carisma non è l’arte di imbonire. Lo è nella declinazione berlusconiana.  Esiste anche il carisma che proviene dal “sentire” il proprio tempo. Dal sapere cosa dire.

Voterò Matteo Renzi perché parla agli elettori e non alle sigle.

Voterò Matteo Renzi perché non voglio lasciarlo nelle mani dei post democristiani che saltano sul suo carro perché odorano il buon risultato. Fa bene Matteo a non volere comitati centralizzati. In questo modo (lo dico chiaro con nomi e cognomi così non lascio dubbi) se a Viterbo ci sono 10 comitati, Fioroni non potrà intestarsi il risultato. Così Moscardelli a Latina. O i lettiani eretici in giro per il mondo.

Voterò Matteo Renzi perché vive da contemporaneo il problema del precariato, sa cosa è. Sa cosa passa una donna a 34 anni sul lavoro. Sa cosa significa fare il creativo e non pagare l’affitto. O l’operaio nella fabbrichetta dove ti schiavizzano davvero, dove la sicurezza non esiste, mentre tutti parliamo dell’operaio della grande industria, quello che sul contratto ha persino descritti i pesi che può caricare. Una cosa che nessun cameriere, nessun falegname, nessun saldatore sa cosa sia. E nemmeno i lettori dei giornali da salotto, tutti occupati a sparare altrove, dove fa più audience. Consiglio il bel libro di Santarossa “Viaggio nella notte” per sapere cosa significa lavorare in una fabbrichetta di provincia. Preparate il Maalox.

Voterò Matteo Renzi perché non credo all’Europa dei mercati, ma all’Europa “abitata” dai suoi cittadini (vedi la proposta di servizio civile europeo). Non ho paura di vederlo parlare con la Merkel. La cosa importante è cosa si fa in Italia, non il capello brizzolato che fa autorevolezza. Che se sei autorevole di aspetto, ma poi sei ostaggio delle correnti del tuo partito, non decidi nulla davvero.

Voterò Matteo Renzi perché ha il coraggio di dire che in Italia spendiamo poco per i dipendenti pubblici. E’ che spendiamo male.

Voterò Matteo Renzi perché è un cattolico che dice che se i gay si sposano a lui non frega nulla. Il sacramento è una cosa privata. Lo voterò anche per essere la sua goccia cinese sulla questione dei figli. Ha una cosa, Matteo. Non fa finta che i problemi non esistano. Li affronta. Prende posizione. Vi dice come la pensa. Per questo in molti lo odiano – lo odiate – perché siamo assuefatti ad una classe politica che quando ha paura di dire la sua e di perdere consenso non parla. Tace. Tanto il tema è vincere le elezioni, non governare.

Voterò Matteo Renzi perché incarna meglio di chiunque altro il motivo per cui abbiamo fondato il PD, la casa comune dei progressisti che superava l’accrocco delle alleanze, dei giochetti, della spartizione.

Lo voterò perché ha capito che tra la gente che ha votato a destra c’è qualcuno da recuperare, altrimenti – banalmente – si perde.

Lo voterò perché abita il futuro, come me, e mi sono stufata degli interventi per i giovani come se fossero degli interventi straordinari per chissà quale categoria protetta. Da oggi gli interventi per il Paese SONO gli interventi per i giovani perché in tutti i luoghi del mondo è così, perché esiste identità tra progresso e futuro e quindi tra i giovani e la loro esistenza.

Lo voterò sapendo che molta gente non prenderà posizione o alla fine voterà Bersani, per sicurezza. Per comodità. So che queste primarie saranno laceranti. Chi promette di lasciare il PD se Matteo Renzi vince. E’ una battaglia strana, che coinvolge tante cose. Generazioni piantate ancora nel secolo scorso, con i loro giovani sodali e fedeli che governano i meccanismi decisionali. Non è una questione di generazioni, infatti. E’ una questione epocale che riguarda il Paese, le sue dinamiche corporative, il modo con cui si va al potere e quello con cui si governa. Ed io so da che parte stare. Non sto dalla parte di chi è parte del ventennio appena passato, anche se ha solo 20 anni. Sto dalla parte di chi ha una visione complessiva, anche avesse 90 anni.

Non lascio a Matteo Renzi quello spazio. Lo occupo con lui nella speranza di ridare futuro a chi non lo ha, alla mia generazione e a quella dopo la mia. Quelli che i figli no, il mutuo no, il contratto no. Per trasformare quei no, in sì.

Il suo programma è qui, per chi volesse leggerlo. Così parliamo di contenuti e non di ceroni televisivi.