D’Alema, come la volpe e l’uva.

Che la rottamazione non abbia ancora raggiunto alcuni confini, Capitale compresa, questo è un fatto che solo uno stupido potrebbe negare. Per chi sta nel PD dalla fondazione osservare i tanti ex dalemiani, ex bersaniani o talebani dell’antirenzismo ora saliti sul carro del vincitore è la sofferenza più grande, accanto al vedere tante brave persone non professioniste della politica storcere il naso davanti ad alcune cose, ad alcuni assetti, ad alcune scelte. Ci sono delle valutazioni da fare che partono da come andarono le primarie 2013 e da come è composto il parlamento attuale per capire alcune cose incompiute di questi anni, una discussione lunga e sincera che andrebbe fatta prima o poi e che io da semplice militante non avrei paura a fare. Ma prendere lezioni da D’Alema che il Pd non lo voleva, le primarie non le voleva, quello che fece cadere Prodi, quello che alla fine direttamente o indirettamente ci ha fatto perdere per venti anni con la classe dirigente allevata da lui come polli da batteria che non osavano contraddirlo è ridicolo. Nessuno si offenda, anzi forse molti adesso si definiscono renziani. Io vorrei che la politica fosse servizio, che la facessimo tutti quanti un pochino di più senza generare mostri che fanno solo questo nella vita per cui poi la politica diventa esistenza e non servizio per il bene comune. Se tutti fossimo un pochino più politici, avremmo meno professionisti e più controllo diffuso, altro che primarie dopate (che poi dove si dopano le primarie si dopa anche il voto vero, quindi il problema è molto ma molto più profondo). Io credo che il PD avrebbe tutte le carte in regola non per cambiare sistema di potere da D’Alema a Renzi, cosa che a me personalmente non interessa, ma per ricostruire un tessuto civico di partecipazione anche leggera, che consenta l’impegno e il controllo di molti per evitare il potere in mano a pochi. Non accetto lezioni da D’Alema o dai suoi polli di batteria, ma contemporaneamente non nego che la rottamazione in molti territori va cominciata e di brutto. L’ho sempre chiamata provocatoriamente un’operazione a 5 stelle, prendere il buono della partecipazione civica che con la nostra storia può evitare di divenire populismo o solo inesperienza che davanti al potere diventa fame ancora più brutale di quella più accorta dei professionisti. Tempi difficili, ma continuo a pensare che solo il PD può ospitare per primo quella rivoluzione di cui tutto il sistema politico italiano avrebbe bisogno. My two cents del venerdì.

Pino Daniele, i fischi a D’Alema e il Paese che ha perso la fiducia.

Nuova immagineIntollerabili i fischi a D’Alema. Figli di un Paese pronto ad indignarsi per qualsiasi cosa a vanvera. Non era la fila per mangiare il caviale, ma la fila per visitare un morto (e resta da capire il senso per chi non lo conosceva mentre è chiarissimo per chi poteva amarlo o volergli bene, io non andrei mai a disturbare la famiglia in un momento così doloroso e intimo) ed è normale che amici e conoscenti vengano fatti passare prima perché si riconosce un primato alla relazione privata piuttosto che a quella pubblica. D’Alema sta antipatico anche a me, ma se la famiglia gli ha aperto le porte, contestarlo è stata una mancanza di rispetto per loro e per il defunto. Che Paese insopportabile e meschino che siamo capaci di essere a volte.

Eppure questa rabbia inamovibile è figlia di una passione tradita. Negarlo e chiuderla qui sarebbe sciocco. È il simbolo marcio di una non indifferenza, facevo questa riflessione su twitter ieri leggendo l’articolo che vedete nell’immagine di Costanza Riccacasa D’Orsogna. E’ come avessimo perso lo sguardo limpido e fosse sempre necessario intorbidire gettare un sasso nello stagno. E’ una rabbia che ci descrive come popolo e deve essere rimossa per sostituzione. La medicina è non tradire la fiducia. Tutta questa rabbia è una questione di fiducia.