Noi, Bella Ciao, le isole Aaran e il giapponese.

Eravamo alle isole Aaran.

Irlanda. Da soli, niente turisti che non era l’isola di moda e avevamo sbagliato banchina.

Per fortuna.

Tanto whisky, birra e stelle che erano più del buio e dei muretti. E delle pecore. Ma quante stelle, diosanto. Quante che cadevano giù come se piovessero.

Un pub pieno di irlandesi che erano lì per un corso di gaelico, per conservarlo dall’inglese che divorava, cannibale, la lingua antica.

L’orgoglio di un popolo in un cerchio illuminato. Un violino. Piedi che battono a terra. Il canto doloroso dell’oppressione.

E gli unici altri due turisti in tutta l’isola erano due giapponesi. Una coppia. Lui ci cantò “Bella Ciao” in giapponese (Sarato’….) che per lui quella era l’Italia e noi lo guardavamo con gli occhi sgranati che non era possibile che fosse arrivata fin lì.

E invece.