La pecorella e Pasolini brandito ad arte

Sul caso “pecorella” il TG2 scomoda addirittura Pasolini, citato a sproposito e brandito come un manganello. A lui non sarebbe piaciuto. Dopo Valle Giulia, ma anche dopo la Diaz e il G8 di Genova possiamo dire che: manifestare e’ un diritto, che pestare civili inermi e’ un reato, che devastare citta’ e stazioni e’ un reato, che mandare agenti in divisa impreparati e’ una colpa di Stato. Molti cittadini della Val di Susa in questi anni hanno manifestato legittimamente e pacificamente. Altri no. In tutto questo spero che Abba’ ce la faccia, mi fa schifo il sondaggio de Il Giornale e mi sono rimasti impressi gli occhi di quel poliziotto deriso. Restare umani davanti agli uomini, non personalizzare mai.

Fare più’ Politica e meno tifo da stadio.
E vale per tutti. Anche per chi ora cavalca la protesta in modo strumentale.

Via la Vodka russa dai locali gay.

….ma anche da quelli non gay. Insomma il mondo civile si mobiliti.

L’Assemblea parlamentare di S.Pietroburgo ha approvato in via definitiva, con 29 voti a favore, un astenuto e 15 che non hanno partecipato al voto, la legge omofoba che prevede una multa di 500 Rubli per coloro che si dichiarano apertamente omosessuali, 50 mila Rubli per i dipendenti pubblici e 500 mila Rubli per le organizzazioni che promuovono iniziative in difesa dei diritti Lgbti. Spero che il Governo italiano faccia sentire tutta la contrarietà nei confronti di questo provvedimento nazista. La Russia ci manda il gas, ma troviamo il modo di fare sentire le nostre pressioni.

Una cosa di grande impatto mediatico e simbolico per esprimere la nostra vicinanza ai fratelli russi potrebbe essere quella di bandire la Vodka di produzione russa dai locali gay con il motto di “Via la Vodka dai locali gay”

Il caos calmo della decrescita ovvero in risposta a Sandro Veronesi.

Adoro il Veronesi scrittore, condivido parte delle preoccupazioni di questo pezzo sulla (de)crescita, ma non le conclusioni secondo cui ogni innovazione andrebbe nel senso sbagliato e quindi verso la distruzione del globo.

Ogni ricerca produce risultati che poi possono essere utilizzati in un modo piuttosto che in un altro o non essere utilizzati affatto.

La decrescita sarà essa stessa figlia dell’innovazione perché discenderà da nuovi modelli e da nuove tecnologie.  Per esempio è da nuove tecnologie che nascerà un materiale che assorba sole con meno superficie del silicio e consentirà di chiudere le centrali termoelettriche. E quando potremo teletrasportarci non avremo più bisogno di auto, treni ed aerei e quindi l’aria sarà meno inquinata. E contemporaneamente non sappiamo quali eventuali problemi potrebbero portare le due scoperte di cui sopra.

Un tempo il fuoco che restava sempre accesso divorava le foreste e massacrava intere tribù e razze di animali. Nelle caverne si moriva di freddo, le donne morivano di parto. Chi decide qual è il momento di decrescere? O meglio…chi decide su cosa decrescere e su cosa continuare a crescere?

Questa contrapposizione tra crescita e capitalismo da una parte e decrescita è figlia di un errore ideologico che mischia le pere con le mele.

La crescita non è un fenomeno economico, bensì sociale, legato alla evoluzione dell’uomo intesa come collettivo. E’ un fenomeno globale e non classista. E’ forse l’unico fenomeno comune a tutta l’umanità. Chi si estrae da questo fenomeno lo fa come individuo e in modo consapevole. Oggi sono le classi medio-alte che possono apprezzare il fascino della campagna, spendere qualcosa in più per carne e verdura biologica, andare in bicicletta perché abitano in centro, dotare le case di sistemi ecologici per produrre energie. Andate a parlare di decrescita ad una famiglia che abita in qualche casermone di cemento confinante con il raccordo.

Ci sarebbe qui, da scomodare Eraclito, Levi Strauss e persino Marinetti. Sul fatto che siamo in una di quelle fasi di crisi economico e sociale che solitamente determina cambiamenti e redistribuzioni di ricchezza ed evoluzioni passando attraverso una guerra. Oppure che nessuno di noi può pretendere di stabilire quale deve essere lo stile di vita altrui a meno di instaurare una dittatura, ma la Storia ci ha già insegnato cosa accade a voler imporre un unico barattolo di cetrioli da distribuire ad ogni famiglia. Il modello individuale, i desideri soggettivi non possono rappresentare un modello sociale.

L’unica arma rivoluzionaria è la cultura diffusa che aumenta la consapevolezza dell’umanità e consente scelte migliori in quanto più ragionate.

L’analfabetismo comporta astensione o clientelismo. Non è un mero discorso elettorale. L’astensione può essere anche astensione dalla conoscenza, il clientelismo può essere anche clientelismo mentale. Quello elettorale, per esempio, conduce politici al governo non orientati al bene comune, corruttibili dalle multinazionali e che quindi governeranno la crescita malissimo. Non è forse questo il vero nodo? Gira, gira, gira…smontando il processo in mille pezzi non arriviamo forse sempre nello stesso punto? E’ la politica che va ripensata nei suoi processi di selezione e crescita.

Il guaio non è l’innovazione. E’ chi gestisce i processi evolutivi, anche microcosmici. Agli operatori della cultura (o intellettuali come si diceva una volta),  di cui Veronesi fa parte, spetta il compito di accendere la luce sul tavolo giusto. Non di allinearsi ad un’idea, come accadeva nel novecento (Dio ce ne scampi dagli intellettuali allineati), ma di esercitare quel pensiero critico e libero per poterlo trasmettere in modo virale. Perché è proprio dalla vera libertà, quando essa sarà patrimonio democraticamente diffuso, che scaturirà la decrescita di massa perché sarà una scelta spegnere la tv, andare a piedi, leggere un libro, andare in bici, fare l’amore su una spiaggia il venerdì perché il venerdì non lavorerà nessuno, eccetera, eccetera, eccetera.

E non so perché ma questa discussione, mi ricorda dannatamente la caverna platonica e il fatto che la storia dell’uomo non è affatto una linea, ma come sostengo da anni, una spirale.

REGIONI, COMUNI E DIRITTI DELLE UNIONI CIVILI

(grazie ad Enzo Cucco dell’ Associazione radicale certi diritti blog gayindependent.blogspot.com per questa profonda e perfetta riflessione che pubblico integralmente per la memoria collettiva sul tema)

Qualche riflessione per definire meglio aspettative e iniziative

Si annuncia una bella primavera per i diritti delle unioni civili in Italia. A Roma, forse anche a Milano, ed io spero in tante altre città, si raccoglieranno le firme su proposte di iniziativa popolare per il riconoscimento dei diritti delle famiglie senza matrimonio.

E’ ormai chiaro che in assenza di un Parlamento che faccia il suo mestiere, la strategia di chiedere alle Regioni ed agli Enti Locali di riconoscere e concretamente applicare i principi di non discriminazione e di pari opportunità anche alle coppie non unite in matrimonio si sta imponendo come la migliore strategia per la piena uguaglianza sostanziale e non solo formale, su queste materie.

L’Associazione radicale certi diritti ci ha creduto da sempre, e si è impegnata a far si che questa strada diventasse non sostitutiva ma complementare a quella che continuiamo a considerare maestra, del riconoscimento del diritto al matrimonio civile per tutti e tutte, eventualmente integrato con la regolamentazione delle convivenze.

Il rigoglio delle iniziative e le tante confusioni, linguistiche e politiche, che su queste materie si sono moltiplicate necessitano di qualche precisazione. Per chiarirci le idee, modulare l’iniziativa politica e tarare le aspettative su obiettivi raggiungibili e misurabili, non solo su parole d’ordine. Al riparo dalle strumentalizzazioni mediatiche che – novità della novità! – si affacciano anche dalle parti delle sinistre vincenti.

Vado per punti, magari in modo un po’ apodittico, ma penso che lo schematismo possa aiutare a capirci meglio.

Complementare, non sostitutivo

A condizione di risultare ripetitivo conviene risottolineare che stiamo parlando di una strategia complementare e non sostitutiva in materia di diritti delle coppie non unite in matrimonio. Come è noto il diritto civile, così come l’anagrafe e lo stato civile, sono di competenza esclusiva dello Stato. Su queste materie le Regioni e gli Enti Locali non possono intervenire. Ma possono utilizzare gli strumenti che le leggi già offrono. In altre parole: nessuna Regione ne alcun Comune italiano potranno mai riconoscere matrimoni o convivenze con tutto quello che ne consegue sul piano civilistico, ma possono aggirare l’ostacolo operando nelle materie di propria competenza, per azzerare od attenuare la disparità di trattamento tra coppie matrimoniali e coppie non matrimoniali.

Il dito e la luna

Da questo punto di vista l’obiettivo principale degli interventi delle Regioni e degli Enti locali deve essere quello di modificare le politiche ed i programmi di intervento, e NON può esaurirsi nel rilascio del certificato anagrafico di famiglia per vincolo affettivo o, peggio ancora, nell’istituzione del registro delle unioni civili. Il certificato, e il registro, sono il dito, mentre la luna sono tutte quelle piccole/grandi riforme che in ciascun ambito tematico possono essere operate secondo le competenze proprie dell’Ente. In questo sta la vera novità dei provvedimenti della Regione Emilia Romagna e del Comune di Torino: entrambi hanno considerato il certificato di stato di famiglia per quello che esso rappresenta, ovvero un semplice strumento per identificare le coppie non matrimoniali, cercando di distinguerle dalle semplici coppie conviventi e valorizzando il vincolo affettivo. Ma il punto principale del passo compiuto è innanzitutto l’aver riconosciuto pari dignità alle forme familiari, e, soprattutto, aver operato per estendere diritti e doveri (benefici e costi) oggi appannaggio solo delle coppie matrimoniali anche alle coppie non unite in matrimonio. Questa è, e deve diventare a mio avviso, anche la parte sostanziale più rilevante delle proposte oggi all’esame dei consigli comunali o delle proposte di iniziativa popolare.

Registro versus  stato di famiglia

Chiarito che l’obiettivo è quello della riforma delle politiche e dei programmi di intervento, e che stato di famiglia per vincolo affettivo o registro delle unioni sono strumenti differenti nella forma ma con effetti sostanzialmente uguali per l’obiettivo del riconoscimento delle coppie non unite da matrimonio come soggetti di diritti e doveri, dichiaro subito la mia preferenza per lo stato di famiglia. Non ho alcun motivo giuridico o politico particolare, ma una paio di semplici constatazioni sulle quali sarebbe meglio riflettere un minuto di più.

Lo stato di famiglia per vincolo affettivo è più facile da ottenere e, allo stato, può essere rilasciato dalle anagrafisenza l’approvazione da parte dei comuni di particolari regolamenti. Lo fanno già alcuni comuni italiani, e nei comuni nei quali è stato necessario approvare un apposito regolamento o deliberazione (sto parlando anche di Torino) si è trattato di un “pegno” da pagare ad ufficiali dello stato civile che non paghi di una legge e di un regolamento anagrafico chiarissimo in materia (DPR 223/89) avevano bisogno di una ulteriore “copertura” politica da parte dell’organo elettivo. La cosa non deve stupire, e se questa è la strada da seguire anche in altri comuni che si proceda pure, a condizione di non scambiare obiettivo con strumento.

In secondo luogo gli stati di famiglia per vincolo affettivo sono codificati in uno strumento legislativo nazionale, che deve essere semplicemente applicato. Mentre i registri sono “appesi” a norme di altra natura, che risiedono, certo, nell’autonomia degli Enti Locali, ma che creano un “recinto” di cui non se ne sente l’esigenza né l’utilità in sé.

Perché quindi in Italia si continua a parlare di registri? Per due motivi: il primo è figlio di quella semplificazione linguistica che porta i media a non andare tanto per il sottile. I registri sono stati un obiettivo per tanti anni dell’Arcigay (soprattutto dell’Arcigay) che peraltro ha sempre avuto ben chiaro il valore ed anche il limite di questo strumento se non accompagnato dalla riforma delle politiche. Ma soprattutto se si vuole avere visibilità su questo tema è più facile se sbandieri il registro che un semplice stato di famiglia. Un po’ come le destre che quando parlano di queste materie evocano sempre i matrimoni gay e gli sfracelli socio-antropoligici che ne deriverebbero. La novità di questi ultimi tempi – la novità della novità, appunto –  è che da più esponenti delle sinistre vittoriose si è affacciata la richiesta di parlare di registri, senza tanto sottilizzare. Perché scontrarsi in consiglio comunale sul registro dà maggiore visibilità che semplicemente applicare il regolamento anagrafico e modificare le politiche sulla famiglia. Credo che si debba fare grandissima attenzione a non alimentare oltre una certa misura il bisogno di visibilità mediatica di cui tutti siamo drogati (anche i gruppi lgbt) perché se alla forma non è legata sostanza poi capita che ai registri non si iscrive nessuno perché nessuno diritto reale viene esteso alle coppie non matrimoniali.

Doveri e non solo diritti

Spero davvero di non dover più ascoltare, o leggere, banalità come “il riconoscimento delle convivenze è una fregatura perché mi fa perdere punti nella lista di attesa per l’accesso all’asilo” o peggio ancora ascoltare quei soloni da bar sport che si accorgono ora che la legge italiana consente di estendere, da tempo, i doveri di assistenza reciproca anche ai conviventi. Chiedere l’estensione del matrimonio civile alle coppie tra persone dello stesso sesso, ma anche chiedere il riconoscimento delle convivenze, porta con sé, necessariamente, una quota di diritti e una quota di doveri, ed è bene che sia così. E’ un bene per la coppia ed è un bene per la società. Chi non vuole “perdere” benefici indiretti non chieda riconoscimenti. La regola è semplice da capire, e vale per tutti e tutte.

Ma quali sono questi diritti

Molti più di quelli che ci si possa aspettare. E la cosa notevole è che ce ne sono alcuni che sono già esigibili, anche senza il rilascio di stati civili o iscrizione a registri particolari. Su questo rinvio alla prossima pubblicazione di un vero e proprio manuale che l’Associazione Radicale certi Diritti insieme all’Associazione Luca Coscioni e sotto la guida magistrale di Bruno De Filippis sta per pubblicare con Stampa Alternativa.

Anche su questa materia, comunque, qualche parola di chiarezza deve essere detta: dimenticate testamenti, successioni, questioni patrimoniali e pensioni di reversibilità, per i quali ovviamente comuni e regioni non possono in alcun modo intervenire coi propri provvedimenti. E cominciamo invece a lavorare su tutte le materie nelle quali si può concretamente intervenire provando l’esistenza del nucleo familiare non unito in matrimonio con un semplice stato di famiglia (o con l’iscrizione al registro se proprio vi piace di più). Assistenza e sanità, casa, diritti del personale dipendente, istruzione e formazione, sono le prime aree di intervento nelle quali con un lavoro magari faticoso ma necessario dobbiamo andare a scovare condizioni di privilegio non giustificato per  le coppie matrimoniali ed estendere a tutte le famiglie, anche quelle senza matrimonio. Impossibile elencare la casistica, ma vi posso assicurare che la rilettura degli atti di programmazione di regioni e comuni in queste materie può farci scoprire cose utili davvero, e non solo dichiarazioni di principio. In questo senso è appena iniziato questo lavoro col Comune di Torino, ma sicuramente la norma con più diretto impatto è quella della Regione Emilia Romagna.

Stiamo facendo il gioco degli altri?

Siamo sicuri che questo tipo di strategia (ottenere da regioni ed enti locali diritti e doveri senza un riconoscimento civilistico delle convivenze e dei matrimoni per le persone dello stesso sesso) non sia un autogol? Che, in fondo, questo tipo di strategia non dia ragione a chi, da più parti, ha predicato che “alcuni diritti” possono essere estesi alle coppie conviventi senza riformare il diritto di famiglia?

Il pericolo esiste, e sono certo che da parte di coloro che questa tesi hanno sostenuto ad un certo punto l’argomento sarà usato. Ma io credo nelle riforme graduali, ovvero credo che la società possa modificare il proprio impianto legislativo ed il quadro dei diritti e dei doveri riconosciuti, anche passo passo, senza la palingenesi del “tutto in una volta”. E questo non perché ci si debba accontentare dei piccoli passi, ma solo perché i “piccoli passi” sono la stategia più efficace ORA IN ITALIA per operare vero cambiamento, politico, istituzionale, sociale e culturale. Basta guardare alla tradizione radicale (di cui siamo figli naturali e legittimi) in materia per comprendere che il doppio registro di intervento non è mai una rinuncia, ma una semplice strategia.

Magari tra qualche tempo la situazione cambia, e noi dovremo essere pronti a cambiare con essa. E magari l’altra strategia costruita in questi anni, quella delle cause pilota, porterà maggiori risultati di quelli fino ad ora ottenuti. La litigation strategy rimane per noi di CD il primo pilastro dell’azione per l’uguaglianza sostanziale e non solo formale delle persone lgbt in Italia. Non esiste una priorità, ne temporale ne contenutistica tra i due pilastri, ma una unica di finalità che a me pare del tutto evidente, oltre che necessaria.

Su come si stia costruendo in Italia il primo pilastro, ovvero la strategia delle cause pilota, magari qualche osservazione è altrettanto necessaria. Giusto per alimentare quel confronto sulle strategie che in Italia o manca del tutto o è drogato dalla solita, miope e bulimica fame di visibilità mediatica da cui tutti e tutte, chi più e chi meno, dobbiamo una buona volta liberarci.

(Enzo Cucco)

Cose da sapere sull’aborto.

“Nell’autunno del 1957 il corpo di una ragazza di diciassette anni veniva adagiato su un tavolo anatomico, nella penombra di una stanza dell’Istituto di Medicina Legale dell’Università di Palermo. La giovane, in fin di vita, era stata trasportata dal suo piccolo paese nell’interno siciliano in un disperato tentativo di salvarla, ma era morta lungo la strada provinciale.”

E poi

I NoTav e gli errori dello Stato.

Questa storia della TAV è partita male fin dall’inizio.

Io sono tra chi pensa che muoversi sul ferro è stata l’occasione mancata di un Paese che trasporta cose e persone troppo su gomma con dispendio ecologico legato a strade ed emissioni. Ma lo Stato in Val di Susa ha sottovalutato l’impatto ambientale, la reazione sociale, l’imposizione del tragitto. Non siamo più negli anni 50 e la cittadinanza chiede la partecipazione alle decisioni di così grande impatto. E’ lì che lo Stato ha sbagliato. Ora questa matassa fa sbrogliata perché sta diventando uno scontro ideologico troppo violento.

Il legame umano con la terra non va dimenticato. Non va sottovalutato. Ai tempi di Scelba si sparava sui contadini…oggi le democrazie devono fare i conti non con dei numeri ma con delle emotività che non sono reprimibili. In sostanza le cose che gli Stati ottenevano sparando, oggi si devono fare concertando. Non c’è altra via d’uscita: è la banalità della democrazia consapevole.

E non è devastando le stazioni dei treni che si ottengono vittorie politiche o si manifesta solidarietà per un incidente.

A Palermo, per le primarie…

….voterei Antonella Monastra di cui mi raccontano da mesi, se non da anni e che credo sia il vero elemento di novità in una città dilaniata dal malaffare e dal malgoverno. Mi piace che si sia data un tetto di spesa e che stia pubblicando le spese della sua campagna. Ma non è solo questo e ve lo racconterò meglio.

Non voterei per l’asse Borsellino-Orlando sostenuto da Di Pietro, Vendola e Bersani perchè è un asse vecchio che ha già dato, che mi sembra più il tentayivo di tenere in piedi un’alleanza che non riguarda Palermo che per fare qualcosa per la città. Annovero Orlando nel gruppo dei grandissimi sindaci degli anni 90 come Rutelli e Bassolino che poi, dopo, non hanno saputo fermare la propria ambizione politica. Se è vero che il PD Nazionale sta pagando la sua campagna elettorale  aprirei una riflessione molto seria sulla nostra capacità, come PD, di determinare la crescita di nuove e sane classi dirigenti. In ogni caso non si può non rilevare che con questa operazione il PD Nazionale sconfessa tutto il PD siciliano. Potevamo farlo prima, no? Ora non abbiamo più la dovuta credibilità.

Non voterei per Faraone perchè è un deputato regionale che fino ad ora ha appoggiato Lombardo pur con i dovuti distinguo. Purtroppo anche se e’ stata spesso una voce di opposizione (come mi fanno giustamente notare) finisce nel mucchio “piddino”. Quello che vorrei far capire a tutti e’ che a volte le “rotture” forti sono momenti di crescita e il PD Sicilia andava spezzato in modo chiaro. Lo spirito unitario danneggia i migliori, non il contrario. So bene che Davide e’ all’opposizione dentro il PD che appoggia Lombardo, ma l’impressione che ho e’ che non se ne abbia avuta la giusta percezione.

Intravedo nella sua candidatura anche i risvolti del duello Renzi-Bersani e voglio pensare a Palermo e solo a Palermo. So che intorno a Faraone si raccoglieranno molti democratici palermitani che stimo e Faraone sarebbe stata la mia scelta se non ci fosse stata Antonella. In ogni caso se dovesse vincere ne sarei contenta.

E nemmeno Ferrandelli messo in campo da altri notabili locali storici per tenere il punto con il partito romano.

In ultimo. A Palermo si vuole fare un registro per gli stranieri. Ho già detto come la penso qui e la trovo una follia.

L’Annunziata e il paradosso nazi-fascista.

(Da Linkiesta)

Lucia Annunziata, per spiegare quanto deve essere libera l’opinione in Rai e quanto vane siano le polemiche, ha detto ieri a Servizio Pubblico: “Avrei difeso Celentano anche se avesse detto che i gay vanno mandati nei campi di sterminio”.

Perche’ io gay? I neri e gli ebrei invece? Sapete perche’ ha usato i gay? Perche’ se usava ebrei o persone di colore poteva essere denunciata secondo quando prevede la legge Mancino.

Complimenti per il coraggio.

Sa l’Annunziata che i giornali si chiudevano ai tempi del fascismo? Sa l’Annunziata che difendere uno che vuole sterminare i gay, la sua liberta’ di opinione, avrebbe significato difendere la liberta’ di opinione di un nazi-fascista? O non lo avrebbe considerato tale visto che a dover essere sterminati erano i gay e non gli ebrei? Tutta questa gente che negli anni settanta era sulle barricate la costituzione se la ricorda? O siamo antifascisti solo quando ci fa comodo?