Buongiorno, Sinistra!

Da giorni mi chiedo perché un mio collega che non ha mai votato a sinistra – figuriamoci alle altre primarie – oggi vuole venire a votare Renzi alle primarie.

Lui non ha mai votato a sinistra, ma non è di destra.

Insomma in Italia c’è un pezzo di Paese che – negli anni – ha votato a destra non perché era di destra, ma non ha votato a sinistra perché non ha mai ritenuto credibile quella parte politica.

Berlusconi ha usato quel pregiudizio a suo favore, l’ha sempre usato, sintetizzandolo nel pericolo comunista delle tasse, dello statalismo, della burocrazia, della tristezza. Ma non era solo questo.

C’è un’altra questione che la campagna di Renzi sta insegnando a tutti noi “gente di sinistra”, noi che non abbiamo mai tentennato, che dal 1994 non abbiamo mai avuto nessun dubbio.

C’è il fatto che noi ci siamo sempre sentiti superiori e diversi, insomma migliori. Quelli impegnati, quelli pronti al sacrificio, quelli seri, quelli responsabili. E nel tempo abbiamo compiuto una discriminazione che ci consentiva di sentirci il meglio del Paese e nel frattempo buttavamo tra le braccia di Berlusconi la parte restante del Paese e più quest’ultima si allontanava più davamo la colpa alla televisione, all’ignoranza, ad una sorta di alienazione, determinando quindi un recinto intorno a noi: chi era fuori era cretino. Era manovrabile. Non si rendeva conto. Era peggiore di noi.

Per questo non siamo mai stati credibili per quella parte del Paese. Perché l’abbiamo denigrata.

E’ stata un’operazione involontaria, forse figlia di una classe dirigente che nella vita ha fatto della politica una professione e quindi non ha vissuto l’evoluzione del mondo  del lavoro, non si è accorta del superamento della lotta di classe come dualismo perfetto.  E questo vale anche  per i giovanissimi che finiscono nel tritacarne di partito senza mai passare per un lavoro vero. Purtroppo l’essere vecchi non è una categoria anagrafica, ma una categoria legata ai metodi di indagine del mondo: se già da giovane ti chiudi nel pensiero unico dentro un sistema che non ti consente dubbi, sei già vecchio, vecchissimo. La lotta di classe non è morta. Si è solo trasformata in una dialettica molto più complessa in cui il figlio dell’operaio fa l’impiegato o magari si è laureato e ha cambiato classe sociale in quell’ascensore sociale tipico delle società occidentali negli ultimi 40 anni. Non sto dicendo che chi era povero oggi è ricco, attenzione. Sono rarissimi i veri salti sociali ed anzi molti figli della media borghesia oggi sono precari e impoveriti.

Un partito fatto di vecchi e giovani professionisti della politica ha vissuto di feticci ereditati in un’altra era. Dell’operaio della grande industria che lavora nella linea fordista e non dell’operaio della fabbrichetta con meno di 15 dipendenti con i polsi distrutti dal tunnel carpale, senza sicurezza, schiavizzato e umiliato e sotto continuo ricatto in mancanza di qualsiasi tipo di concertazione.

Esiste solo un operaio per questa sinistra: quello Fiat. Egli viene assurto a simbolo oggi come negli anni settanta. Ed anche qui: attenzione. Non sto dicendo che fare l’operaio in Fiat è bello e altrove no.

Poi c’è lo statale che una volta lo piazzavi per controllare il governo della cosa pubblica (e aveva almeno un senso visionario sanamente socialista) ora ce lo piazzi per avere in cambio voti. Ma il vero statale, quello alienato allo sportello, quello innamorato del suo lavoro, quello che meriterebbe di fare carriera  viene umiliato dall’egualitarismo o dalla raccomandazione. Guardate cosa abbiamo fatto: abbiamo umiliato i lavoratori pubblici, rendendoli uguali ai bassi livelli oppure distorcendo la macchina statale dandola in mano a manager strapagati e raccomandati e rendendola inetta, inefficace e preda degli speculatori.

Quel partito fatto così riconosce le maestranze della cultura, dell’università, della ricerca perché in qualche modo gli sono utili alla sopravvivenza. Ma quella roba lì non ha conferito in questi anni la dignità ad un larghissimo pezzo del Paese.

Ecco cosa è successo. E’ successo che il mio collega fa un lavoro che non è sufficientemente degno. E’ un quadro aziendale. Non è un lavoro romanticamente ignobile e nemmeno un lavoro intellettuale. La classe media per la sinistra è un melting pot di paraculi, di gente che ha rinunciato ad inseguire il suo sogno di gioventù (magari creativo). E’ il perdente, il traditore. Non è un caso che ci siano pochissimi lavoratori nel settore privato nella dirigenza apicale dei partiti di centro sinistra. E nel 2012 chi si è laureato e lavora nel privato è considerato buono per le destre. Non ci siamo accorti che magari sono i figli degli operai. O della borghesia illuminata degli anni settanta che tanto piaceva alla sinistra e che non necessariamente hanno seguito le orme dei padri o magari quelle orme non erano perseguibili.

C’è un’intera generazione di diseredati politici. Quelli che si accontentano di accendere un mutuo, di comprare una macchina, andare in vacanza. Quelli che a noi ci fanno schifo perché non sono impegnati secondo il nostro metro di giudizio.

La verità è che non abbiamo conferito alcuna dignità alla semplicità dell’esistenza, la verità è che noi guardiamo con terrore a quel prototipo. Perché pensiamo che un operaio, se solo potesse, farebbe altro e quindi è un lavoratore da salvare dal sistema. Invece pensiamo che l’agente commerciale, il negoziante, il commerciante, il piccolo imprenditore abbia deliberatamente scelto di fare quel mestiere. E quindi ha una colpa: essere il sistema, incarnarlo. Abbiamo privato quella dimensione di emozioni e affetti. Non l’abbiamo considerata degna di poter contenere dentro di se i germi sani del futuro. E quindi l’abbiamo espulsa, epurata dal nostro bel immaginario fatto di cultura, di intellettuali e di operai.

E ora che uno del PD riesce a parlare con quella gente senza farla sentire reietta noi ci incazziamo? Sì, è vero. Lo faceva anche Berlusconi di parlare con alcuni di loro. Buongiorno sinistra! C’è un pezzo di Paese che vota chi lo considera. La diversità sta nel messaggio non nel modo di comunicare con quella parte di Paese.

Io non penso affatto che la sinistra moderna passi per la resa al governo delle banche e della finanza. Non penso che dobbiamo arrenderci al consumismo, ad andare in macchina anche per andare dal tabaccaio di quartiere. A non leggere più libri sulla carta. Ad inquinare perennemente. E nemmeno che dobbiamo arrenderci allo smantellamento della cosa pubblica perché non riusciamo a farla funzionare (anche perché l’abbiamo umiliata lottizzandola di gente incapace, ma fedele e diciamocelo!)

Penso piuttosto che la sinistra moderna debba passare per un sguardo diverso, quello sguardo da cui si è sentito colpito il mio collega. Uno sguardo, quello che dobbiamo acquisire, che conferisca dignità a tutta la società, che comprenda che a volte uno fa l’impiegato o l’agente di commercio o la cassiera per campare mogli e figli (o viceversa) e magari nei fine-settimana invece di andare in un circolo del PD, porta i figli al parco, e magari sì…anche in un centro commerciale per passarci un po’ di tempo e non solo perché si sia arreso a sognare un mondo migliore. Magari il mondo migliore si può costruirlo tutti insieme, ognuno come può e secondo le sue possibilità, senza pretendere alcuna supremazia intellettuale. Noi non dobbiamo imporre una visione del mondo, dobbiamo portare la maggioranza del Paese a riconoscersi in un Paese migliore  e a partecipare alla sua costruzione: innescare un senso di collettivo è una cosa profondamente di sinistra ed è ciò che serve davvero per ripartire. La redistribuzione delle responsabilità è una missione di sinistra ed è la base (anche) per una redistribuzione della ricchezza.

Se pensiamo che più della metà del Paese sia cretino, asservito alla TV e inconsapevole della propria deriva cultura vuol dire che sotto sotto sogniamo una dittatura che imponga a tutti un modello di vita, quello da noi considerato migliore.

E forse è venuto il momento di farsi un paio di domande su cosa sia una democrazia matura perché forse, noi a sinistra, non lo sappiamo fino in fondo.

Buongiorno, sinistra. Svegliati.

p.s. ah, tutto questo rimane vero comunque, anche se domani dovessimo scoprire che Renzi è l’anticristo mandato da Satana per distruggere il mondo. I compagni (me inclusa) ci riflettano bene.

La bocciofila sovietica.

“Un partito nuovo? Mi sembra una castroneria che D’Alema non può aver detto. Perché se le primarie le vince Renzi si farà una lotta politica. Con un regolamento di conti in un congresso. È chiaro che un segretario della statura di Renzi il Pd lo espelle rapidamente”.

Così Beppe Vacca direttore dell’Istituto Gramsci.

No dico ma di cosa stiamo parlando?

Del dominio del PCUS o del futuro del Paese? Renzi vince le primarie e noi lo cacciamo? Siamo dei geni assoluti.

Si informano i democratici che stiamo facendo le primarie per la premiership non per la bocciofila sovietica e se uno vince le primarie perché intercetta voti e quindi “piace di più” di altri (sempre che questo accada), facciamoci due domande.

Ancora una volta qualcuno sta dimostrando perché abbiamo sempre avuto la vocazione minoritaria: perché prima il partito e poi il Paese, il partito come recinto dei migliori dove fuori sono tutti cretini.

E qualcuno degli ex PCI si faceva andare bene il PD finché ne aveva la supremazia.

Vogliamo pensare che, semplicemente, sta nascendo il PD, finalmente?

A proposito di Cayman…

Un ottimo Gad Lerner ci ricorda che mentre l’Unità riprende la questione della cena (dichiarata e pubblica) tra Renzi ed alcune banche, aggiunge che è

[…] “più grave che ci sia cascato lo stesso Bersani, con il suo proclama purista: “Non accetterei consigli da chi ha la società alle Caiman”. Davvero? Temo debba cancellare metà della sua agenda telefonica. Le conversazioni con i Gavio, le affettuosità con i Tanzi, l’affidamento della sua segreteria politica a Filippo Penati, la confidenza con i vari Consorte e Sacchetti che nel frattempo si costituivano fondi per decine di milioni all’estero… devo continuare?” […]

Davvero è tutta colpa di Giorgio Gori?

Su Europa, rispondo allo scrittore Scurati sul caso Gori, sulla TV, sul Grande Fratello.

“La domanda che dobbiamo farci è se la tv sia uno strumento culturale con cui “educare” una popolazione o piuttosto non sia un’industria come tante altre, che produce programmi, fa audience e sulla base di questo ultimo dato, venda spazi pubblicitari per pubblicizzare prodotti di altre industrie. In generale, mi rifiuto di pensare al popolo italiano come qualcuno da educare o diseducare. Mi ostino nel riconoscere a tutti uguale dignità. So bene, o meglio presuppongo presuntuosamente, che non tutti abbiamo la stessa capacità di discernere, ma non potrei mai pensare di essere migliore degli altri e quindi di imputarmi una specie di superiorità intellettuale. Per questo la democrazia è più complicata e minacciosa. Per questo in ogni dittatura si censura il dissenso, si chiudono giornali, si racconta un’unica verità: non si consente la libertà del telecomando o della lettura.”