Ciao Napoli. Arrivederci Napoli.

maradona
Questa mattina Il Mattino ha pubblicato la lettera con cui, saldando il mio debito di cuore, ho salutato Napoli. Eccola qui.

In un’enoteca vicino alla casa che abbiamo abitato in questi due anni c’è una foto di Maradona. Non è la solita foto del Maradona deificato, con il sigaro in bocca, un po’ Che Guevara un po’ scugnizzo. E’ una foto gigante di Maradona di spalle, in bianco e nero, che sale le scale dello Stadio San Paolo. Indossa una tuta, sembra piccolo giovane ed indifeso e una marea di fotografi lo aspetta in cima alla rampa. Credo fosse il suo arrivo a Napoli e nulla mi ha raccontato bene Napoli come quella foto. Lo stupore, la generosità, l’esitazione davanti alla bellezza, l’incoscienza. (la foto e’ di Luciano Ferrara, grazie a una letrice di FB che me lo ha segnalato)

Sto per lasciare Napoli e devo pagare un debito. Ho un debito con questa città come non lo ho avuto per nessun altra eppure ne ho abitate tante di città. Treviso, Torino, Bergamo, Roma, Zurigo. Le ho amate tutte, ma nessuna era mai riuscita a pretendere di essere mia, mia era solo Roma, che invece ultimamente si è chiusa persino ai propri abitanti.

Ho trovato a Napoli un tessuto imprenditoriale sano, un’irrefrenabile creatività che si, certo è quello che si dice di Napoli dell’arte di arrangiarsi, ma sta diventando qualcosa di più evoluto e raffinato, non è un caso che Apple scelga di venire qui ad aprire il suo centro di sviluppo app. Le app, in generale, sono l’ingegnerizzazione di quello che qui è un modello esistenziale. Cercare soluzioni. Per sopravvivere, per delinquere anche, certo. Ma non solo. Non nego che questa capacità contenga una doppiezza, la stessa doppiezza contenuta nel genere umano.

Ho lavorato con una squadra di napoletani a cui la sera dovevo spesso chiedere di andare a casa, che basta, possiamo continuare domani. Ho conosciuto ristoratori che offrono la cena a chi entra da solo con il muso lungo, non si fa pagare il conto a qualcuno che deve essere consolato. Ho conosciuto ristoratori che sono capaci di offrirti da mangiare solo perché’ sono stati bene a parlare con te durante la cena o che se non te la offrono devo tirare fuori cose dalla cucina per fartele assaggiare. Parrucchieri cresciuti a San Giovanni a Teduccio che quando erano piccoli il padre li teneva a fare i compiti in bottega mentre fuori si moriva di eroina, che oggi tornano da Londra e aprono a Napoli, testardi, una scuola di formazione. Ho conosciuto operai che si sono diplomati di notte. La parte nobile di Napoli mischiata a quella plebea, senza la spocchia del lei non sa chi sono io che a Roma ammala tutti. E in tutti, a tutti i livelli, un’idea di vita, una visione, un amore identitario per la propria città e poi tanta, tantissima cultura ovunque, di altissimo livello. Era un piacere parlare con le persone, cogliere la continua curiosità. A Napoli sono tutti curiosi.

Ho visto la Napoli che verrà coperta dai cantieri lentissimi, ho visto il potenziale enorme che contiene questa città. Ho visto il traffico maledetto, sì, basterebbe poco per rendere Napoli più vivibile in termini di aria da respirare e di tempi di percorrenza. Ho visto meno rabbia che a Roma, forse per l’abitudine alla disperazione. Ho visto un’attitudine alla convivenza maggiore di quella che sta esibendo Roma. Ok, sei qui anche tu, ce la faremo insieme. Ho visto la Napoli dei quartieri e quella del Vomero che scende a Napoli quando viene giù con la funicolare. Quella dei pizzettari che fuori dal cliché’ mondiale vanno in giro per il mondo a fare da start-up a modelli di business basati sulla pizza.

Ho conosciuto una Napoli che era diversa da quella che avevo letto in Gomorra. Non ho nulla contro Gomorra libro e nulla contro Gomorra serie tv, ma so che Napoli ha bisogno anche di altre voci, “Gomorra” non può essere l’unica narrazione di questa città perché è una narrazione parziale, una narrazione che vive nella mitologia criminale, ma non ne coglie la profondità del quotidiano. Non ho visto la camorra ovunque. Ho sentito che c’era, certo. So che c’è una guerra spietata, un modello di vita pieno di soldi che attrae i ragazzi più giovani di alcune zone che si scannano per il potere. Come a Roma sapevo che c’era Mafia Capitale percepivo la malattia annidata nei partiti, nelle istituzioni, forse anche nella criminalità diffusa che avvinghiava alcune parti della città. Ma Napoli, a livello mondiale, è segregata solo in quella storia, ci sono altre milioni di storie che se raccontate possono fare uscire Napoli da questa nebbia di pregiudizi di cui è avvolta. Il tema non è essere contro Gomorra e negare Gomorra, il tema è che Gomorra è una parte di Napoli che rischia di descrivere il tutto. E questo non è giusto.

Napoli merita di essere visitata perché l’opportunità di Napoli è quella di aprirsi, per questo una narrazione parziale e nera rischia di isolarla e farla tornare in quel guscio maledetto.

Il peggior dispetto per la camorra è dire: venite a Napoli.

E’ portare gli occhi del mondo sulla città, il che significa generare opportunità economiche per la città che non siano il crimine, ma come sta accadendo adesso siano il turismo e tutto quello che il turismo in una città come Napoli può contenere: le sue isole, il cibo, il vino, l’arte, i musei, la sua architettura sovrapposta e inanellata alla ricerca del sole e della vista sul golfo.

Napoli è Parigi con il mare, è Madrid senza l’impero, ha una vena di follia che passa anche per il sangue certo, ma anche per grandi passioni. E’ come una città dove ricordarsi dell’adolescenza se la si è dimenticata. Non a caso nei libri della Ferrante la vita e la città si compenetrano, lei sì che ha saputo dare a Napoli la sua complessità attraverso la narrazione. Dice il mio amico scrittore Luigi Pingitore: Napoli è una delle migliori parti di noi. Luminosa, greca, tufacea, vanitosa, tellurica e insaziabile.

Venite a Napoli.

Napoli vs Roma

Roma avrebbe bisogno di una stagione. Ne discutevo oggi a parte invertite con una napoletana famosa che vive a Roma. Ci confrontavamo sull’era che sta vivendo Roma rispetto a Napoli, un gioco di specchi contrapposti a soli 200km di distanza, solo un’ora di alta velocità ferroviaria, quasi una metropolitana del III millenio. Roma è difficile. E’ complicata, è una città piena di “no”, piena di bastoni ficcati nelle ruote degli sconosciuti e di scale immediate per chi, invece, frequenta salotti, palazzi, Chiese. Roma è la città del “chi conosci”.
 
Napoli è la città del “in qualche modo faremo”, spazi infiniti e lo so che chi non abita qui non riesce a crederci. Napoli è la città del “cosa sai fare” come dovrebbe essere qualsiasi luogo d’Italia.
 
Ieri mi è capitato nello stesso giorno per lavoro di visitare il carcere di Nisida, un carcere minorile dove è nato un laboratorio di pasticceria (vi metto qui il link, così se vi serve una colomba per Pasqua la ordinate da loro) e una cantina piccolissima che fa del vino buonissimo alle pendici del Vesuvio. Napoli offre aria continuamente, apre strade, nell’anarchia spesso abusata da un crimine selvaggio, si spalancano le porte del merito che a Roma non esistono neppure.
 
Sto riflettendo su questa differenza abissale con la nostalgia della lontananza dalla mia città e la sorpresa continua per la città che mi ospita. C’è molta storia antica in questo modo diverso di essere e in questo momento persino la frammentazione politica di Roma racconta un’era che sembra non poter diventare stagione condivisa. Ecco io credo che a Roma serva qualcosa di miracoloso, di potentemente anarchico, una specie di esplosione entusiasta che contamini il modo di stare insieme, di stare nel traffico, di andare al lavoro, di vivere la sera e il tempo libero. Serve una quantità di amore colossale difficile da scovare nella melma in cui è precipitata la Capitale. Scusate il post scomposto, forse poco politico, ma avevo un morso in gola e lo dovevo dire. Non basterà un sindaco. Non basterà un partito. Serve un abbraccio immenso.
 

Il sud e la monodimensione narrativa.

Il Sud. Vorrei dire tante cose, soprattutto su Napoli senza apparire di parte che è quello che temo di più.

Quindi quello che scrivo qui non ha nulla a che fare con Renzi e questo governo (e quindi eviterò di elencare i luoghi dove l’industria del sud sta ripartendo o si è allargata), ma ha a che fare con le mie origini siciliane, con quello che ho vissuto a Roma prima che tutti parlassero di “Mafia Capitale” e con questi 14 mesi a Napoli.

Nessuno nega che al sud ci siano dei problemi infrastrutturali e, se me lo consentite da meridionale e quindi senza razzismo di sorta, esiste sicuramente un problema di vasta corruzione politica che si manifesta nelle preferenze elettorali autentica piaga regionale contro cui bisognerebbe combattere ogni giorno (ah come ci mancano gli intellettuali impegnati tutti i giorni) e non con l’editoriale del giorno delle elezioni.

Sicuramente la riforma del titolo V e il federalismo bislacco dato in pasto dalla sinistra all’allora Lega di Bossi per paura elettorale ha generato ancora più danni al sud. Penso alla gestione della sanità per dirne solo una. Una che pesa solo il 90% dei bilanci regionali per capirci. E per chi ha provato la sanità pubblica veneta la differenza è evidentissima. Nessuno si presenta in ospedale senza farsi annunciare da qualche amico che a sua volta conosce un primario. Anche se il sud è pieno di eccellenze sanitarie di cui nessuno parla se non ci si trova per caso.

Ma il sud non è riducibile alle sole mafie. Bisognerebbe togliere alcune regioni del sud dal sud o decidere cosa è sud, dove si ferma il sud. Se Molise e Abruzzo e Basilicata sono sud per esempio. O la Sardegna.

Non solo il sud non è riconducibile alle sole mafie, ma bisognerebbe provare a raccontarlo in modo complesso, accettando, per esempio di parlarne bene ogni tanto. Di Napoli mi stupisce la voglia di lavorare delle persone. Io questo non me lo aspettavo per esempio, perché avevo un pregiudizio. Chissà che mi pensavo dopo avere letto anni e anni di pezzi sul fancazzismo del sud sulle leggi 104 e sui finti invalidi. Mi stupisce la diffusa eccellenza che riesce a liberarsi in una città il cui racconto è così potente che Napoli la conosci solo se ci vivi qualche mese, altrimenti di Napoli crederai sempre ciò che scrivono i giornali: spari, camorra, grida per stendere lenzuola e in motorino senza casco. Certo che Napoli è anche questo. Ma Napoli è anche una tradizione culturale di altissimo livello diffusa in modo molto più capillare che a Roma dove la cultura nasce e muore nei salotti del potere, senza branchie, destinata a morire sugli usci delle case-attico del giornalista editorialista che può farti vivere o morire. Napoli sta liberando energie imprenditoriali e giovanili che solo chi ha la pazienza di stare a guardare come un’ospite può  vedere. E parlo di tutto, persino del parrucchiere tornato da Londra, vissuto a San Giovanni in mezzo alle siringhe che ha aperto a Napoli invece che a Londra. Ecco forse solo quelli come me possono cogliere tutto questo fervore, questa voglia di riscatto diffusa. Insisto sulla parola “diffuso”. E’ quello che sta accadendo sotto i miei occhi, un intenso e immenso brulicare che in una città in cui i partiti sono quasi totalmente assenti dalla vita quotidiana (chi viene da Roma percepisce la differenza) sta invadendo luoghi e strade. Esiste chi riqualifica quartieri e genera luoghi di arte e cinema. Chi riunisce le tradizioni enogastronomiche e ti fa scoprire che l’Italia non è solo la Toscana. Chef iperstellati che conducono ristoranti nel mezzo della terra dei fuochi. Chi diffonde cultura attraverso lo sport ed è un secolo che lo fa, metodicamente. Chi strappa dal degrado piccoli pezzi di città.

C’è da fare a Napoli? Tantissimo. E ci sono anche tantissime opportunità. Ad ogni tavolo a cui mi sono seduta ho sentito il discorso della fuga o del restare, è vero. Ma ho sempre percepito una cosa che a Roma non trovavo: la voglia di ascoltare, la curiosità. Ecco il sud è curioso. Non è assuefatto come il nord o la città del potere. Esiste una forma ingenua della conoscenza che è anche profondamente legata ad un complesso d’inferiorità misto ad orgoglio. Ti ascolto forestiero o giovane con un’idea e poi così potrò parlarti di noi ed aprirti una porta. Parlare con le persone a Napoli non è mai scontato, è sempre un viaggio nuovo.

Il sud. Certo che al sud bisogna mettere le mani. Ma non si può pensare che un governo in tre anni faccia saltare schemi secolari. E’ impossibile. Possibile che nessuno ricorda la storia del sud? Le terre ai soldati delle guerre puniche. Il latifondo. Le dominazioni e la quasi totale assenza di Medioevo se si esclude Palermo ai tempi di Federico II. E’ impossibile scindere il sud dalla sua storia come è impossibile pensare che uno Stato possa fare una strada in 37 giorni con i soldi di un privato. Comprensibile, suggestivo, ma impossibile perché lo Stato deve fare una gara d’appalto trasparente e deve garantire la strada per decenni (e se questo in passato non è stato fatto è sbagliato e chi ha sbagliato deve pagare). E tanto per farvi capire come la penso sono tra quelli che in Sicilia cominciano ad augurarsi la vittoria del M5S unico evento che forse può portare all’azzeramento totale dell’attuale classe dirigente che forse i partiti non riescono a fare.

Io voglio pensare che il sud si può salvare con l’aiuto del governo, sì, ma con l’aiuto di se stesso perché la diffusione di alcuni aspetti tipici del sud hanno a che fare con la classe politica diffusa e quindi (quindi!) con la popolazione del sud. Il sud si salva se decide di salvarsi, se si innesca un circolo virtuoso per cui Sud e Stato cominciano a darsi e a dare. Ecco dobbiamo trovare quella chiave e quella chiave si trova raccontando la complessità del sud e non condannandolo ad una narrazione superficiale, monodimensionale che lo schiaccia contro un destino ineluttabile, il tempo di un editoriale estivo e via. Tocca raccontarlo profondamente accettando tutto. Anche ciò che sta nascendo. Anche chi è restato e resiste. Anche chi ci vive bene, lavora duramente e non chiede favori a nessuno. Anche le trattative del governo che lasciano aperte fabbriche a Caserta. Anche chi ha deciso di costruire scatolette con le ruote nel più profondo sud da distribuire in tutta Europa e non solo.

E dopo 14 mesi se qualcuno vuole farsi un giro di Napoli con me io lo accompagno. Umilmente e con curiosità, lo accompagno.

Napoli 7/03/2015

C’è qualcosa di così maledettamente spagnolo in questo riversarsi in strada, in questa perenne estate che non conosce stagioni. Tutto esiste per uscire all’aperto, per spalancarsi. La stessa sguaiatezza, le grida, la lingua sfrontata, non sono altro che un uscire da sè. Come il gesto di spalancare finestre al sole. Così. 

Napoli.

Napoli è una città complicata. E’ una città Stato con i suoi riti, le sue tradizioni, la sua lingua. Nessuna delle tantissime città in cui ho abitato è così “straniera” per me che ho le radici tra i morti di mafia e la Pianura Padana e dovrei avere l’abitudine a tutto e al suo contrario. Napoli è chiusa e divaricata, inciampi e ti rialzi. Ti incazzi e ti innamori nello stesso momento, ti strema, peggio di un capriccio inspiegabile. Non conosce lo spazio altrui e lo invade e nello stesso tempo ti si nasconde, ti sfugge. Cerca di fregarti e ti porge generosamente la mano quando meno te lo aspetti. Non la sentirò mai la mia città come è stato per altri luoghi. Lo so. Mi sentirò sempre ospite, anche dovessi restarci per anni. La odierò e quando me ne andrò mi mancherà. Lo so. Non posso capire chi è nato qui, chi ci resta e nemmeno chi va via. Osservo queste ore da straniera, la morte di un napoletano famoso, sento la musica di Pino Daniele messa fuori in strada con le casse dai baretti. Ascolto. Osservo. Questo lutto che sarò difficile raccontare, perché tutti ne parlano, ma tutti ci scivolano sopra, in motorino in tre senza casco, contromano per i vicoli del centro. Tutti se lo aspettano. Tutti si aspettano il dolore e l’indifferenza insieme.

Napoli non si fida e non consente di lasciarsi andare. E’ come vivere un primo giorno ogni giorno. C’è solo il presente. Niente futuro. Forse è il vulcano.

Che magnifico spettacolo sta città.