Il welfare clericalfascista di Roma Capitale


Mi arriva una mail da Roma Capitale, firmata Alemanno. E’ una mail che mi arriva perché sono iscritta a Cliccalavoro.it, non mi arriva dal comune. Il che significa che il comune ha comprato i miei dati – che già aveva – da Cliccalavoro.it o che all’interno di una serie di accordi o di scambi commerciali, fa inviare una newsletter ai contatti di Cliccalavoro e di chissà quanti altri network che raccolgono dati.

E già ci sarebbe materia per incazzarsi. Anche perché per promuovere questo convegno il Comune sta spendendo una montagna di soldi in comunicazione, non al livello di quelli spesi per la beatificazione di Papa Woityla, ma comunque tanti. Mi piacerebbe sapere quanti.

Un’altra cosa che mi manda in bestia. La famiglia con la F maiuscola. Quella che tutti dicono sia scritta nella Costituzione, ma che in realtà è scritta nella loro Bibbia (peccato che il comune di Roma si confonda ultimamente e troppo con lo Stato Vaticano). Quella di un maschio e di una femmina sposati. Cioè quella che ha la F maiuscola solo per la sua composizione, non per la sua qualità. Perché una Famiglia come dicono loro lo era anche quella arrestata nel cosentino che ha seviziato, violentato, torturato il figlio che oggi ha 6 anni.

Ovviamente sto provocando.

Mi manda in bestia che si imponga la visione della famiglia come un luogo retorico di assistenza e socialità e che in questa visione infantile e favolistica non si vedano le difficoltà delle famiglie spesso rappresentazione di difficoltà individuali: disoccupazione, disparità di genere, inesistenza di strutture per l’assistenza a disabili ed anziani. Asili nido dove fare emergere le vere socialità, il vero ingresso alla comunità diffusa.

E poi, sì, mi manda in bestia sapere che in ogni quartiere, in ogni palazzo, ci sono Famiglie di gay e lesbiche alcune con bambini a cui l’unica cosa che riusciamo a dire a tutti è che nessuno li deve pestare per strada, riducendo la loro esistenza ad una sopravvivenza.

La Roma che ho in testa io è una città piena di asili nido. Di scuole. Di luoghi dove la disabilità possa vivere e non vegetare. Di luoghi di sfogo e non di violenza. Perché la verità è che demandare tutto all’interno delle mura famigliari (o al massimo includendo associazionismo e volontariato, spesso macchine da soldi) è la più grande violenza che si possa fare alla società.

Esaltare questa forma di welfare (strumentalizzando i risultati del Censis) è caricare tutto sulle donne. E’ delegare tutto alla politica più becera, quella che finanzia le associazioni ideologicamente vicine. Non volere cambiare la forma di questo Welfare è il disegno di una politica fortemente di destra, fortemente clericale a cui noi dobbiamo rispondere senza tentennamenti, con una coraggiosa, lungimirante, meravigliosa idea di città inclusiva.

Dove tutti, davvero tutti, possano abitare completamente. Non solo con i corpi.

7 pensieri riguardo “Il welfare clericalfascista di Roma Capitale

  1. Mah, se la memoria non m’inganna, la Famiglia, quella di cui parlano loro, quella cristiana, era composta da: padre, dedito ad alcune ore di lavoro, molte ore di bar, di vino o birra di più o meno pessima qualità (in base al censo). Di ritorno a casa, picchiava gli altri membri della Famiglia, perché era in suo diritto. Madre, che si occupava delle faccende domestiche e di figliare senza fiatare. Nel tempo libero, faceva le stesse cose del padre: bere e picchiare i figli. La prima, di nascosto. I figli, crescevano più o meno in silenzio, in attesa di diventare come Madre o Padre. Questa è la famiglia di quando i valori erano ancora importanti. Se la tengano, visto che ha generato figli come loro.

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  2. hai espresso quello che è esattamente il mio pensiero sul cosiddetto “welfare” delle associazioni di pseudo-volontariato cattoliche. dico pseudo, perchè con tutti i soldi che mangiano al contribuente, e che valgono a finanziarle, non mi pare si possa parlare di volontariato; inoltre è singolare quanto poco siano trasparenti quando si tratta di rivelare quanti soldi prendono, quanti ne usano per fare la loro carità e quanti invece per altri scopi. tu parli della più grande città italiana, io in un comune di 7000 abitanti ti posso confermare. questa idea di carità, intesa sempre come una situazione fra diseguali; il ricco che allunga la mano per fare l’elemosina al povero; l’aiuto agli immigrati inteso come uno sportello in canonica, dove lasciare la borsa della spesa a chiunque vada a chiederla (senza un minimo vaglio preventivo sul reale stato di bisogno di chi va a prenderla, la borsa); poi però cerchi di argomentare in termini di diritti, cerchi di capire che l’integrazione la si fa conoscendo, indagando, cercando di prendere contezza, ad esempio, dello sfruttamento vergognoso di centinaia di marocchini nelle nostra campagne, a quindici ora la giorno sotto il sole, senza un posto dove dormire e lavarsi (molti dormono sui campi), e ti arrivano risposte sconcertanti: il pio segretario del pd locale che ti dice “beh, ma guarda che loro li sanno quali sono i loro diritti, e spesso vanno in comune a chiedere, e sono anche arroganti”, oppure un’altra mente, che tanti anni fa ha fatto la stagione estiva in fabbrica, come tutti facevano, come tutti abbiamo fatto, per pagarsi il mare, e ritiene questo sufficiente per dire “guarda che non è che loro siano sfruttati, perchè anch’io…”. hai ragione, questa non è solidarietà, ma carità, ed è un’idea profondamente di destra, perchè presuppone diseguaglianza, presuppone gesti che costano pochissima fatica, buoni per farsi vedere, e pulirsi la coscienza, non certo per risolvere i problemi; un’idea che fa in modo che chi dà, in realtà riceva molto di più; è un’idea che, purtroppo, permea molti settori del pd; e che contribuisce a rendere quel partito, allo stato delle cose, piuttosto invotabile…

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    1. L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio.
      Italo Calvino, Le città invisibili, 1972

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  3. OT: Verrebbe da commentare: Stasera, su Kazzenger, ma è tragico:

    http://www.repubblica.it/cronaca/2012/06/27/news/facebook_abortire_gay-38041317/?ref=HREC1-12

    “Abortire un bimbo gay è un atto di fede”
    Pronta denuncia contro pagina Facebook
    Sul social network un gruppo invita a interrompere la gravidanza se al feto “viene diagnosticata l’omosessualità”. Millantando tesi pseudo scientifiche e collegamenti con ospedali e ricercatori. Gli attivisti: “Istigazione all’odio e abuso della credulità”

    Oppure è una “geniale” trovata per sfruttare il conflitto cognitivo dei bigotti clericali omofobi: l’aborto è un male assoluto, l’omosessualità anche, per cui se l’aborto previene l’omosessualità è un male minore (ma potrebbe essere vero anche il contrario: se l’aborto è un male assoluto, l’omosessualità sarebbe un male minore…)
    Sembra una cosa da Comma-22, tipo le persecuzioni contro i cristiani in Giappone nel 1600, dove li obbligavano ad abiurare il cristianesimo giurandolo su Cristo e la Madonna… secondo me non è un banale omofobo o un troll, è qualcuno che sta facendo un esperimento di manipolazione psicologica abbastanza sottile (anni fa una tizia si finse lesbica sul blog di Paolo Attivissimo, scatenando polemiche a non finire con un altro commentatore cattolico integralista, poi fu smascherata: era una studentessa di psicologia che si stava laureando sulla costruzione dell’immagine e dell’identità di genere in rete. E poi c’è stata “Amina”, te la ricordi?

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