Il caos calmo della decrescita ovvero in risposta a Sandro Veronesi.


Adoro il Veronesi scrittore, condivido parte delle preoccupazioni di questo pezzo sulla (de)crescita, ma non le conclusioni secondo cui ogni innovazione andrebbe nel senso sbagliato e quindi verso la distruzione del globo.

Ogni ricerca produce risultati che poi possono essere utilizzati in un modo piuttosto che in un altro o non essere utilizzati affatto.

La decrescita sarà essa stessa figlia dell’innovazione perché discenderà da nuovi modelli e da nuove tecnologie.  Per esempio è da nuove tecnologie che nascerà un materiale che assorba sole con meno superficie del silicio e consentirà di chiudere le centrali termoelettriche. E quando potremo teletrasportarci non avremo più bisogno di auto, treni ed aerei e quindi l’aria sarà meno inquinata. E contemporaneamente non sappiamo quali eventuali problemi potrebbero portare le due scoperte di cui sopra.

Un tempo il fuoco che restava sempre accesso divorava le foreste e massacrava intere tribù e razze di animali. Nelle caverne si moriva di freddo, le donne morivano di parto. Chi decide qual è il momento di decrescere? O meglio…chi decide su cosa decrescere e su cosa continuare a crescere?

Questa contrapposizione tra crescita e capitalismo da una parte e decrescita è figlia di un errore ideologico che mischia le pere con le mele.

La crescita non è un fenomeno economico, bensì sociale, legato alla evoluzione dell’uomo intesa come collettivo. E’ un fenomeno globale e non classista. E’ forse l’unico fenomeno comune a tutta l’umanità. Chi si estrae da questo fenomeno lo fa come individuo e in modo consapevole. Oggi sono le classi medio-alte che possono apprezzare il fascino della campagna, spendere qualcosa in più per carne e verdura biologica, andare in bicicletta perché abitano in centro, dotare le case di sistemi ecologici per produrre energie. Andate a parlare di decrescita ad una famiglia che abita in qualche casermone di cemento confinante con il raccordo.

Ci sarebbe qui, da scomodare Eraclito, Levi Strauss e persino Marinetti. Sul fatto che siamo in una di quelle fasi di crisi economico e sociale che solitamente determina cambiamenti e redistribuzioni di ricchezza ed evoluzioni passando attraverso una guerra. Oppure che nessuno di noi può pretendere di stabilire quale deve essere lo stile di vita altrui a meno di instaurare una dittatura, ma la Storia ci ha già insegnato cosa accade a voler imporre un unico barattolo di cetrioli da distribuire ad ogni famiglia. Il modello individuale, i desideri soggettivi non possono rappresentare un modello sociale.

L’unica arma rivoluzionaria è la cultura diffusa che aumenta la consapevolezza dell’umanità e consente scelte migliori in quanto più ragionate.

L’analfabetismo comporta astensione o clientelismo. Non è un mero discorso elettorale. L’astensione può essere anche astensione dalla conoscenza, il clientelismo può essere anche clientelismo mentale. Quello elettorale, per esempio, conduce politici al governo non orientati al bene comune, corruttibili dalle multinazionali e che quindi governeranno la crescita malissimo. Non è forse questo il vero nodo? Gira, gira, gira…smontando il processo in mille pezzi non arriviamo forse sempre nello stesso punto? E’ la politica che va ripensata nei suoi processi di selezione e crescita.

Il guaio non è l’innovazione. E’ chi gestisce i processi evolutivi, anche microcosmici. Agli operatori della cultura (o intellettuali come si diceva una volta),  di cui Veronesi fa parte, spetta il compito di accendere la luce sul tavolo giusto. Non di allinearsi ad un’idea, come accadeva nel novecento (Dio ce ne scampi dagli intellettuali allineati), ma di esercitare quel pensiero critico e libero per poterlo trasmettere in modo virale. Perché è proprio dalla vera libertà, quando essa sarà patrimonio democraticamente diffuso, che scaturirà la decrescita di massa perché sarà una scelta spegnere la tv, andare a piedi, leggere un libro, andare in bici, fare l’amore su una spiaggia il venerdì perché il venerdì non lavorerà nessuno, eccetera, eccetera, eccetera.

E non so perché ma questa discussione, mi ricorda dannatamente la caverna platonica e il fatto che la storia dell’uomo non è affatto una linea, ma come sostengo da anni, una spirale.

23 pensieri riguardo “Il caos calmo della decrescita ovvero in risposta a Sandro Veronesi.

  1. Per me quello che ancora in molti non capiscono è che nei prossimi decenni avverrà una svolta che è riduttivo definire storica per l’umanità , sarà una svolta epocale: la fine dell’espansione umana dopo che 200.000 anni fa l’homo sapiens è comparso su questo pianeta, fine dell’espansione per esauriti limiti di spazio e di risorse.
    Sarà così almeno fin quando i viaggi tra sistemi solari saranno qualcosa di almeno pensabile.

    Premetto che ho una critica fondamentale riguardo alle teorie della decrescita, quello di essere sostanzialmente un altra ideologia esattamente come quella comunista e quella del liberismo sfrenato con il corollario della crescita perpetua ( condizione impossibile per evidenti motivi ma che continua ad essere sostenuta da autorevoli studiosi per motivi di dogmi e di abitudine a principi che funzionavano già male nel 900 ma che ora sono alle corde ).

    Comunque almeno la teoria della decrescita ha il pregio di essere più al passo con i tempi cogliendo il nodo fondamentale delle sfide che abbiamo davanti. l’epilogo sarà certamente un grande cambiamento nel modo di vivere con due varianti che però non saranno affatto indifferenti, un cambiamento governato che porterà a mantenere e o migliorare il benessere raggiunto oppure un cambiamento traumatico derivante dal fallimento nel governare il processo , che alternerà crolli e lunghi periodi di consunzione.

    Si Pensa che la teoria economica che esige sempre la crescita sia valida solo perchè la storia ( soprattutto recente ) dell’uomo ha visto un crescita quasi esponenziale, ma non si ragiona sul fatto che molta parte è stata fodata sul consumo di risorse limitate e/o non rinnovabili , quali territorio , ambiente , combustibili fossili , giacimenti minerari. Le teorie economiche di fronte a questa obiezione hanno sempre risposto che il consumo di risorse sarebbe stato in modo più o meno automatico risolto dalla tecnologia.

    Oggi sappiamo che non è così per 2 motivi:

    1 – Il processo non è affatto automatico , la ricerca richiede ingenti investimenti che in molti settori devono essere per forza pubblici , l’investimento complessivo in ricerca dell’umanità , seppure ampio non è stato in realtà sufficiente rispetto alla sfida, almeno per ora.
    2 – Il processo non da neanche risultati scontati , pur con adeguati finanziamenti spesso non si arriva a sviluppare le tecnologie sperate. Molte tecnologie promettenti nel breve periodo poi si rivelano problematiche; solo a titolo di esempio , da 50 anni ancora si aspetta una soluzione alle scorie nucleari , si aspetta il nucleare pulito , tecniche valide di produzione dell’idrogeno, sull’accumulazione e trasporto di energia e molto altro.

    Ovviamente esistono anche tecnologie che i risultati li danno , per esempio abbiamo raggiunto possibilità di efficienza che prima non c’erano grazie a elettronica e telecomunicazioni , il solare è una realtà seppure di nicchia ma spesso si f fatica a decidere di utilizzarle. Vecchie tecnologie obsolete hanno un inerzia ( interessi economici ) che ostacola l’affermarsi di nuove , etc.

    Un precedente significativo di questa nuova condizione in cui ci troviamo cioè in un mondo che non è più un universo ma piuttosto un isola esiste, purtroppo non è positiva : l’ascesa e la decadenza della civiltà dell’isola di pasqua dove gli abitanti per creare una crescita immediata consumarono irrimediabilmente le risorse limitate di cui disponevano, condannando le generazioni successive ad una decadenza morale e materiale tralatro con la morte dell’80% della popolazione.
    Si dovrebbe presupporre che essendo dotati oggi di strumenti culturali ben diversi , gli esseri umani non debbano ripetere lo stesso errore. Ma non lo darei troppo per scontato visto l’accanimento delle elite dei vari popoli nel non fare i conti con una realtà che esiste.

    Detto questo io rimango sempre convinto che così come è sbagliato forzare la crescita economica oltre quelle che sono le prospettive di sostenibilità nel lungo periodo sia parimenti sbagliato forzare la decrescita.
    Mi piacerebbe parlare di teorie di crescita sostenibile ( o meglio sviluppo per sganciarlo da quel dato parziale seppur a volte indicativo che è il Pil ) oppure su teorie dell’efficienza da contrapporre a quelle dell’espansione ( espansione che è ormai vicina ai suoi limiti , di quanto è difficile dirlo ma questo ha importanza limitata )

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  2. Oh, finalmente.
    Allora, posso? Adesso esagero ma senza polemizzare.

    ->La decrescita sarà essa stessa figlia dell’innovazione perché discenderà da nuovi modelli e da nuove tecnologie.

    Quella di cui stai parlando è crescita ecocompatibile, non decrescita. È una cosa completamente diversa.

    -> Silicio, teletrasporto.
    A parte che non è affatto detto che il teletrasporto consumi meno delle auto, ma immagino che fosse un esempio: abbiamo già degli ottimi collettori di energia solare, basati sul carbonio anzichè sul silicio. Si chiamano alberi. A differenza dei collettori al silicio, non hanno bisogno di energia per essere prodotti, e rilasciano nell’atmosfera un gradevole profumo di ossigeno. Possono essere bruciati dentro un motore Stirling per produrre calore ed energia elettrica insieme.
    È anche una questione di mentalità. Si installano pannelli solari in mezzo alla campagna anzichè piantare alberi perchè non ci sono abbastanza motori stirling in giro, ma anche perchè ciò che è tecnologico convince, ha più impatto di immagine. Eppure la resa energetica è minore se consideri l’energia necessaria a produrre i pannelli.
    Ma il vero problema è che un sistema industriale ecosostenibile deve consumare al massimo tanta energia quanta riesce a ricavarne dal sole. E sinceramente dubito che si possano produrre tutte queste auto, portatili, telefonini etc con i pannelli solari. Magari mi sbaglio, ma al momento la situazione a quel che mi risulta è questa. Quindi decrescere non vuol dire solo consumare meno energia e inquinare di meno: decrescere significa innanzitutto PRODURRE di meno uscire dal meccanismo di “crescita infinita del PIL” in cui i nostri stati sono incastrati.
    E in che modo ci sono incastrati? Semplice: con la vendita dei titoli pubblici. Non è una cazzata, l’Argentina è fallita per questo meccanismo qui. Per decenni gli stati hanno continuato a vendere titoli pubblici convinti che sarebbero stati pagati con la crescita del PIL dei decenni successivi, nell’illusione che fosse eterna. In questo modo si sono incatenati mani e piedi alle banche. L’Italia è una felice eccezione, è l’unico paese dove i titoli pubblici sono in percentuale considerevole in mano ai cittadini, se pure meno di anni fa.
    Alla luce di tutto questo, la frase “Questa contrapposizione tra crescita e capitalismo da una parte e decrescita è figlia di un errore ideologico che mischia le pere con le mele” è proprio sbagliata. Il capitalismo si basa sull’accumulo di capitali dovuto alla crescita costante del PIL, ed è in crisi perchè il meccanismo si sta inceppando. Il capitalismo rapina i prodotti dei lavoratori, migliorandone un minimo il tenore di vita (ma in questo periodo non più) e accumula il sovrappiù nelle mani di pochissimi. Marx ha detto tante cazzate ma sul plusvalore ci aveva intivato. Immagino che tu abbia visto le cifre sulla concentrazione delle ricchezze negli ultimi anni, sulla forbice sociale che si allarga, sulla classe media che sparisce e sulle ricchezze in punta che aumentano a dismisura. Questo è il capitalismo, e questa è la crescita. In tempi di grassa (petrolio a basso prezzo) la cuspide sociale era meno piccata. In tempi di magra (110 a barile) la cuspide si assottiglia. Per questo dire che capitalismo e decrescita non sono contrapposti è lei una frase ideologica. Ideologia neoliberista, per la precisione (quella dominante nel tuo partito in effetti).

    ->Andate a parlare di decrescita ad una famiglia che abita in qualche casermone di cemento confinante con il raccordo.

    Infatti è proprio a loro che la decrescita può portare vantaggi, svuotando il raccordo e piantando meli sul tetto del casermone.

    ->Oggi sono le classi medio-alte che possono apprezzare il fascino della campagna, spendere qualcosa in più per carne e verdura biologica, andare in bicicletta perché abitano in centro, dotare le case di sistemi ecologici per produrre energie.

    A parte che io ho uno stipendio da dottorando e non son certo nella fascia di reddito medio-alta. Se i poverinon lo possono fare è proprio perchè i frutti del loro lavoro se li sta godendo qualcun altro. A cambiare questo stato di cose servono le riv…oooops! Ma a parte le riv….oooops, tu pensi sul serio di riuscire a redistribuire la ricchezza con le leggi e un parlamento in tempo di crisi in cui il petrolio diventerà sempre più caro, si sfrutteranno sempre di più gli scisti bituminosi e la terra sarà sempre più scarsa? Andiamo verso tempi di guerra, Cristiana. Golpe, ribellioni e casini. Del resto in Italia un governo golpista c’è già, sostenuto dall’alleanza PD-PDL. Sta continuando ostinatamente nella strada devastante percorsa finora e tu lo sostieni. Le rivolte si moltiplicheranno. E spero tanto di sbagliarmi perchè le mie rotule sono quasi fuori uso e non son bravo a correre su e giù per i rittani come faceva Fenoglio.

    -> nessuno di noi può pretendere di stabilire quale deve essere lo stile di vita altrui
    veramente i governi di ogni razza e colore l’han sempre fatto. Posso evitare di imporlo con la forza mandando i ribelli al gulag, certo, è meglio. Ma se lo stato può mandare la gente in guerra a crepare non vedo perchè non può confiscare la ricchezza al 5% più ricco della popolazione per appianare il debito. AH! Forse c’entra qualcosa il fatto che quel 5% è al governo? (vedi i redditi dei ministri).

    -> L’unica arma rivoluzionaria è la cultura diffusa che aumenta la consapevolezza dell’umanità e consente scelte migliori in quanto più ragionate.
    È la migliore, non l’unica. In effetti più ci si sposta a sinistra più alta è la percentuale di lettori assidui e di laureati. L’estrema sinistra poi ne è piena, compresi quelli che vanno in Val Susa.

    ->Il guaio non è l’innovazione.
    Son d’accordo. Ma nella mia testa non ho ancora chiaro quale sia il guaio, so solo che c’è ed è grosso.

    ->Perché è proprio dalla vera libertà, quando essa sarà patrimonio democraticamente diffuso, che scaturirà la decrescita di massa

    A me sa che non abbiamo tempo per arrivarci. Servirebbero almeno due tre generazioni (ho fatto l’insegnante in passato e so che la scuola conta per circa il 20% nella formazione dell’allievo, se non meno), ma non abbiamo tutto questo tempo perchè l’ecosistema sta cedendo adesso. Di nuovo, spero di sbagliarmi: ma a me danno questa impressione gli articoli su Le Scienze, non gli opuscoli di Marxismo Illustrato.

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      1. Lo posso dire con cognizione di causa: un altro tipo del Manifesto/PdUP di Lettere che ha fatto una traiettoria alla Pigi Battista. Mino Fuccillo, uno con una grande possibilità di carriera dietro di sé. Non mi fiderei troppo…

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  3. Veronesi non vuole attaccare l’innovazione in sé.

    Non c’è scritto che l’innovazione è solo l’amianto, bensì che non possiamo pensare che l’equazione innovazione=futuro-migliore sia vera.

    Il caso amianto è citato come controesempio per argomentare, non per stabilire e dimostrare l’equazione opposta innovazione=futuro-peggiore.

    La tesi è che non basta solo dire che l’innovazione risolverà i nostri problemi, almeno non lo farà fino a quando non avremo ridiscusso il sistema in generale. Non si tratta di imporre l’autarchia fascista ma di dire che fino a quando non verrà messo in discussione che il sistema può stare bene solo se cresce, l’innovazione potrà rivelarsi utile ma non abbastanza.

    ” Ma cosa mai dovrebbe essere innovato, in un sistema che produce miseria laddove dovrebbe produrre ricchezza, se non il modello stesso? […] parlare di innovazione oggi, senza nemmeno accennare alla necessità di una ridefinizione del modello socioeconomico di riferimento, è sovranamente inutile, e fa venire in mente una battuta del grande Lenny Bruce, con la quale mi piace finire questo intervento: Ho inventato l’acqua in polvere, ma non so in cosa scioglierla”

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  4. Guarda che “hei pecorella” ha ragione.
    Innanzitutto la guerra psicologica per demoralizzare l’avversario è più che legittima.
    Secondo ha ragione nel merito. Sono vere le cose che dice. Il carabiniere è lì, pagato, per difendere interessi economici enormi (ed energivori come pochi). Lui è lì per propria convinzione. Chi combatte per soldi è un mercenario, chi combatte per le proprie idee o per la propria terra no.
    Terzo, ha un vastissimo sostegno popolare in Val di Susa – e non è da escludersi che sia valsusino pure lui.
    Una ribellione è una ribellione, la legalità è un concetto invntato dal potere. L’etica è molto più importante.
    “L’obbedienza non è una virtù” (don Milani)
    “Il nostro esercito si è sempre coperto di disonore aggredendo popolazioni inermi” (don Milani)
    “La resistenza individuale e collettiva agli atti dei poteri pubblici che violino le libertà fondamentali e i diritti garantiti dalla Costituzione è diritto e dovere di ogni cittadino”. (Dossetti, in assemblea costituente).

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  5. Uno era questo? :
    Guarda che “hei pecorella” ha ragione.
    Innanzitutto la guerra psicologica per demoralizzare l’avversario è più che legittima.
    Secondo ha ragione nel merito. Sono vere le cose che dice. Il carabiniere è lì, pagato, per difendere interessi economici enormi (ed energivori come pochi). Lui è lì per propria convinzione. Chi combatte per soldi è un mercenario, chi combatte per le proprie idee o per la propria terra no.
    Terzo, ha un vastissimo sostegno popolare in Val di Susa – e non è da escludersi che sia valsusino pure lui.
    Una ribellione è una ribellione, la legalità è un concetto invntato dal potere. L’etica è molto più importante.
    “L’obbedienza non è una virtù” (don Milani)
    “Il nostro esercito si è sempre coperto di disonore aggredendo popolazioni inermi” (don Milani)
    “La resistenza individuale e collettiva agli atti dei poteri pubblici che violino le libertà fondamentali e i diritti garantiti dalla Costituzione è diritto e dovere di ogni cittadino”. (Dossetti, in assemblea costituente).

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  6. Nell’altro dicevo che non staimo assistendo agli scontri di poliziotti con studenti annoiati e borghesi ma contro gente che difende la terra su cui vive, quindi Pasolini c’entra quanto i cavoli a merenda.

    I valsusini hanno una lunghissima tradizione partigiana che risale al 1600, ne vanno orgogliosissimi e si considerano i loro eredi. La distinzione tra valsusini buoni e centri sociali cattivi che vogliono far zizza è fasulla e buona per fregare l’opinione pubblica: se volessero, li avrebbero già cacciati a pedate. La verità è che non vogliono perchè sulle barricate ci sono principalmente valsusini, a tirar sassi ci sono principalmente valsuisini, a tagliare le recinzioni ci sono principalmente valsusini. Si difendono come possono da una forza di occupazione straniera e colonialista con l’appoggio degli extraparlamentari, pochi, che in questi anni sono gli unici che gli han dato una mano.

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  7. allora parlo di quello che conosco:

    nel dopoguerra c’è stato il boom del consumo di carne, un mondo che usciva da una crisi dilaniante, da una guerra mondiale devastante e da un orizzonte di povertà, scopriva improvvisamente in benessere di avere carne in tavola ogni giorno. I consumi elevati non tenevano il ritmo di un allevamento vecchio stampo, rispettoso dei tempi e dei modi nuovi, c’era bisogno di una crescita e allora si è trasformato l’allevamento in nuove tecniche intensive. non più manzi al pascolo che potevano partecipare al ritmo agricolo, ma chiusi in stalle o recinti e allevati in meno tempo pompati con mangimi e farmaci. Gli animali così allevati vivono sulle loro deiezioni, che non solo non sono più utili alla campagna, ma diventano potenzialmente tossiche, il rumine era una macchina perfetta, basta che non gli si desse cereali, che non è in grado di digerire, ma questo non andava d’accordo con le coltivazioni intensive di mais e altri cereali modificati e resistenti, quindi si iniziò a dare a questi manzi proprio cereale, peccato che così sviluppassero tumori del rumine, per le irritazioni croniche. La nuova industria zootecnica risolse anche questo: bastava macellare le bestie prima che sviluppassero la malattia e aggiungere al loro pastone potenti dosi di antibiotici per arginare le infezioni… Insomma una carne immangiabile, poco sana, per la gioia del benessere. Oggi siamo tutti d’accordo che allevare la carne così non sia una buona scelta, è più cattiva di sapore, potenzialmente tossica per il nostro organismo e ha determinato la scomparsa di tante altre coltivazioni e allevamento che erano alla base di un sistema agricolo sano… Insomma stiamo tornando indietro a tecniche più antiche, ma alla fine più sane…
    Questo racconto per dirvi che talvolta fermarsi a pensare e fare un passo indietro è una possibilità, anzi di questi tempi rischia di essere una necessità! E guarda Cri, che non è solo una questione per borghesi ricchi che si possono permettere la verdura bio 😉 ma è la salute dei nostri figli. L’agricoltura dovrà necessariamente decrescere, da un’idea sbagliata e antieconomica di industria agricola e tornare a un artigianato virtuoso che consenta una vita migliore ai contadini e prodotti più salubri ai consumatori…

    Ciao A

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        1. però non capisco una cosa: se quel tipo di allevamento non poteva supportare la richiesta crescente di carne della popolazione allora, come potrebbe farlo oggi tornando semplicemente indietro?
          Siccome il maggiore apporto di proteine (ma anche di vitamine e altri nutrienti disponibili ovunque e in ogni stagioni grazie ai conservanti che hanno come ottima controindicazione anche il limitare l’insorgere del botulino e affini …) è alla base della migliore nutrizione media e quindi del miglioramento generale della qualità della vita, la soluzione non può essere “tornare al dopoguerra”, ma trovare il sistema di avere un’agricoltura e un allevamento che diano prodotti accessibili a tutti senza distruggere.
          E senza isterismi, se pensiamo che la mucca pazza è nata anche perché pensando che un certo solvente che si usava per trattare il mangime delle vacche fosse nocivo alla salute (cosa che poi si è rilevata errata) non lo si è usato generando il passaggio del prione dalle pecore (da sempre ammalate di scrapie) alle mucche.

          Insomma alessandro, per come la dipingi tu queste agricoltura e allevamento biologici restano necessariamente “di nicchia”.

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      1. ops l’ho detto anche sopra, ma repetita juvant. Il localismo in agricoltura non è possibile, se non vogliamo far tornare le malattie del localismo: mancanza di determinati nutrienti in determinate zone e in determinati periodi dell’anno.
        La lista delle patologie sconfitte grazie al commercio agricolo non si contano sulle dita di una mano nel mondo … piuttosto dovrebbe aumentare il commercio verso quelle zone dove ancora purtroppo una carestia può generare morti.

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  8. Riccardo da Parigi, ti faccio un corso rapidissimo di catena alimentare:
    le piante assorbono nutrienti dal terreno e dall’aria (CO2), tutti gli altri se ne nutrono direttamente o indirettamente.

    I nutrienti stanno nelle piante, gli animali che noi mangiamo si limitano a concentrarli (sprecandone moltissimi a causa della seconda legge della termodinamica).

    Tutte le proteine e i nutrienti che servono si trovano nelle piante, ad eccezione della B12 che si trova nelle uova e in alcune muffe.

    Il tuo discorso non sta in piedi, spiacente.

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    1. Ahahah e quindi secoli di malnutrizione sono dovuti al fatto che non si mangiavano le piante?
      Hai mai sentito parlare del fatto che in alcune zone della terra non crescono alcune piante? Ti risulta che in Svezia in condizioni “naturali” possano crescere pomodori (per dire)?

      Certe volte non so dove sia il cervello delle persone …. ma con chi stiamo cercando di parlare … immagino che al supermercato bio-vegetariano si trova di tutto, non lo metto in dubbio, anche a Oslo, solo che dubito che le cose vengano coltivate in un allegro fiordo norvegese …

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      1. riccardo, ragionando così si collassano i ragionamenti. Localismo in agricoltura non significa ritornare a prima della scoperta dell’America 😉 non è che nella vita tutto sia bianco e tutto sia nero. siamo arrivati ad un certo punto di progresso e benessere, bene e chi vuole negarlo, non è che rimpiangiamo la pellagra. Ma si può tranquillamente dire (credimi è il mio lavoro) che alcune aberrazioni dell’industria agroalimentare sono sbagliate, palesemente sbagliate! ed è meglio invertire la rotta come hanno già fatto. Rileggiti la storia delle vacche e vedi se non vale la pena interrompere un’idea di crescita continua e fare un passo indietro 😉
        ciao A

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  9. Riccardo, non so cosa si trova al bio vegetariano visto che di solito mangio i pomodori del mio orto, ma di certo nei supermarket dove ti rifornisci tu non si trova nè intelligenza nè volontà di capire.
    Una cosa è scambiare ciò che è necessario, una cosa è scambiare milioni di tonnellate di merci superflue, far arrivare le mele dal chile, l’uva dal Venezuela e i pomodori dall’Olanda (che è quello che succede, casomai tu non lo sapessi). Famoso il caso dei due camion di patate uno greco che andava a venderle in svezia e uno svedese che andava a venderle in grecia e si son scontrati a metà strada, era su tutti i giornali.

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